Cosa succede se le bombe raggiungono i depositi di uranio in Iran?
- Postato il 18 giugno 2025
- Cronaca
- Di Blitz
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Proprio come accadde con l’inizio del conflitto tra Russia e Ucraina, anche oggi, con l’escalation militare in Iran, si riaccende una paura che molti pensavano sopita dai tempi della Guerra fredda: cosa succederebbe se un attacco colpisse direttamente i depositi di uranio arricchito iraniani? Lo scenario preoccupa non tanto per l’eventualità di un’esplosione nucleare in senso stretto, quanto per le conseguenze ambientali, chimiche e strategiche di un’azione militare su siti sensibili come quelli di Natanz o Fordow.
Tra le preoccupazioni più concrete, si discute dell’eventuale impiego della GBU-57, una bomba anti-bunker estremamente potente, che però può essere fornita solo dagli Stati Uniti. L’uso di questo ordigno richiederebbe l’approvazione diretta del presidente americano Donald Trump, configurando di fatto un coinvolgimento, seppur indiretto, degli Stati Uniti nella crisi. Poiché non esistono precedenti simili nella storia recente, le ipotesi su cosa potrebbe accadere in caso di bombardamento di un sito di arricchimento sono basate su simulazioni e deduzioni tecniche.
Natanz sotto attacco e i veri rischi della contaminazione
Il sito di arricchimento dell’uranio di Natanz, situato 220 chilometri a sudest di Teheran, è il più grande e noto dell’Iran. È dotato di difese aeree ed è lì che si trovano circa 10.000 centrifughe, la maggior parte delle quali arricchisce uranio al 5%, un livello considerato compatibile con usi civili, come la produzione di energia.
Natanz è già stato colpito nei primi giorni di attacchi da parte di Israele, dunque sappiamo già dall’Aiea guidata da Rafael Grossi che non ci sono state emergenze dal punto di vista delle possibili radiazioni. Tuttavia, le centrifughe sono strumenti delicati: vibrazioni, esplosioni, o interruzioni dell’energia possono comprometterne la funzionalità anche a distanza.
La domanda che molti si pongono è: se l’uranio prende fuoco o viene colpito direttamente, può verificarsi una reazione nucleare? L’esperienza di Chernobyl nel 1986 ci insegna che solo l’instabilità del nocciolo e una concatenazione di eventi portarono all’esplosione e alla dispersione radioattiva. In realtà, l’uranio arricchito presente nei siti iraniani non è sufficiente da solo a generare un’esplosione atomica. Serve non solo l’uranio arricchito, ma anche il detonatore, i missili e rampe di lancio adeguate.
Il pericolo più immediato è di natura chimica: durante il processo di arricchimento, l’uranio viene trasformato in gas attraverso la combinazione con il fluoro. Questo gas è estremamente volatile e, se disperso, può causare danni gravi a livello locale, sia per inalazione che per contatto con la pelle.

Fordow e l’incognita delle bombe americane
Oltre a Natanz, l’Iran dispone anche del sito di Fordow, situato 100 chilometri a sudovest di Teheran. A differenza di Natanz, qui il numero di centrifughe è inferiore, ma molto più potente. L’uranio raggiunge un livello di arricchimento del 60%, molto vicino al 90% necessario per la costruzione di un ordigno nucleare.
È proprio da Fordow che arriva uno dei segnali di allarme più forti per l’Agenzia internazionale per l’energia atomica. L’Aiea ha pubblicato un rapporto in cui si esprimeva la chiara preoccupazione che l’Iran lavorasse, almeno in prospettiva, a delle armi. Tuttavia, la semplice presenza di uranio altamente arricchito non equivale alla capacità di fabbricare e utilizzare una bomba.
Israele, con le proprie forze convenzionali, non sarebbe in grado di penetrare la protezione di Fordow. Solo le GBU-57 americane potrebbero farlo. Ma “non abbiamo precedenti” sull’effetto reale che un attacco così profondo avrebbe su un sito come quello.
Nel 2023, un episodio simile avvenne in Ucraina, quando un deposito di armi all’uranio impoverito fu colpito dalle forze russe. Anche allora si temette per una nube tossica, ma i sensori europei, come quello di Trieste, non rilevarono nulla di anomalo.
“Cosa accadrebbe se le GBU-57 colpissero ripetutamente e in profondità Fordow?” La risposta, per ora, non può che essere affidata all’intelligence israeliana e americana. Tuttavia, l’ipotesi prevalente è che la quantità di materiale immagazzinato non sia sufficiente a causare un disastro su larga scala, almeno secondo le informazioni pubblicamente disponibili.
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