Così il nobile francese Savary spiegava nel Seicento l’Europa agli europei

  • Postato il 13 dicembre 2025
  • Di Il Foglio
  • 2 Visualizzazioni
Così il nobile francese Savary spiegava nel Seicento l’Europa agli europei

Recensire un libro di trecentocinquant’anni fa? Ci ha pensato Carlo M. Cipolla, di cui il Mulino ripubblica "Tre storie extravaganti", una saporita escursione storica che, in cento pagine e tre capitoli, parla di banche, Europa e Turchia tra il XIV e il XVIII secolo. E – perla nell’ostrica – dedica l’ultimo terzo a raccontarci appunto “Le parfait négociant”, una voluminosa guida al commercio e alla finanza scritta da Jacques Savary. Pubblicata nel 1675 dopo vicissitudini e ribaltoni che farebbero romanzo a sé, pullulava di osservazioni antropologiche in anticipo sui tempi e di attenzione al “fattore umano”, sapendone leggere la centralità nello sviluppo economico. Non freddi numeri, insomma. E non solo istruzioni per l’uso del commercio, dei formulari e delle pratiche. Ma la prima guida di un genere, che, fondandolo, già lo trascendeva, trasformandosi in un reportage sullo stato del commercio continentale arricchito da franchissimi giudizi sui popoli e le loro attitudini. Un lavoro di classificazione immane, che spiegava l’Europa agli europei. Ma andiamo con ordine. L’autore, Carlo M. Cipolla: sì, proprio lui, quello di Allegro ma non troppo, librino che conteneva il leggendario “Le leggi fondamentali della stupidità umana”. Scritto in inglese nel 1976 e pensato per gli amici, vendette 350 mila copie solo in Italia. Farebbe bene rileggerlo, sta per compiere cinquant’anni e non li dimostra affatto. E sembra il ritratto di una certa classe politica italiana.

Quanto a questo seminuovo Tre storie extravaganti – la prima edizione è datata 1994 – anche qui il tono di Cipolla è quello che gli conosciamo, con la punta intinta nella grazia narrativa. Era uno che scriveva “col sorriso dell’intelligenza”, come avrebbe detto Maupassant, pertanto non sorprende come riesca a rendere appassionanti le vicissitudini di un manuale per commercianti. Che però diventò il primo consapevole autoritratto europeo. Il suo autore, Jacques Savary, era un nobile francese cui Nicolas Fouquet affidò l’incarico di riscossore di entrate nelle terre della Corona. Seguirono arbitrati in alcune controversie commerciali e la revisione delle leggi che regolavano il commercio. Dopo la morte del primo ministro Colbert gli venne chiesto di condurre un’indagine sulla situazione finanziaria delle terre della Corona. Con intelligenza, Savary fece di necessità tomone: poco tempo libero e diciassette figli, la scrittura del manuale gli prese tutta la vita. Strano solo che a produrlo fosse la Francia, che non era una tigre del commercio, sul cui trono sedeva l’Olanda. “Tutto riesce agli olandesi”, scriveva infatti Savary “Laboriosi, abili, sensati e affidabili. Adatti alle manifatture”. Insieme agli inglesi, erano superiori commercialmente ai francesi, che non avevano una Marina adeguata. E se anche l’avessero avuta, “quel che un olandese fa con otto marinai, un francese lo da con dodici”. Poi – annota l’autore – gli olandesi in navigazione si accontentavano di merluzzo, formaggio e birra, invece i francesci pretendevano pane fresco, vino e acquavite. Gli spagnoli? “Trascurano l’agricoltura, le arti, le scienze, il commercio e la guerra. Per fortuna – aggiungeva – hanno buona salute, a differenza dei portoghesi. Il popolo vive in uno stato miserabile, ci sono provincie in cui gli abitanti non hanno mai visto l’effigie del loro re su una moneta”. La Polonia, allo zenith fino a metà del XVI secolo, stava tramontando. “Lavorazione del cuoio e delle pelli senza rivali”, annotava con nostalgia Savary. Grande effervescenza commerciale in Germania, Monaco di Baviera esclusa. Norimberga commerciava con le Indie e gli abitanti di Amburgo erano “laboriosi e diligenti. Le Poste non potrebbero funzionare meglio e la loro banca è la più ricca e meglio regolata d’Europa”. Anche la Svizzera era in ascesa: esportazioni di erbe medicinali, formaggi, cavalli. Di cioccolato neanche l’ombra, il cacao non era apprezzato. Infine, una pennellata sugli italiani. “Sono gentili e onesti”, ci carezzava Savary, “e i loro capitali non restano mai inattivi”. Ma – chiosava – usano termini ambigui nei contratti. Quindi, attenzione: “All’occorrenza possono interpretare tutto a loro vantaggio”.

Continua a leggere...

Autore
Il Foglio

Potrebbero anche piacerti