Così la Cina spinge Manila tra le braccia di Washington. L’occupazione di Sandy Cay letta da Caruso

  • Postato il 28 aprile 2025
  • Difesa
  • Di Formiche
  • 2 Visualizzazioni

A metà aprile, la Guardia Costiera cinese ha effettuato un’operazione su Sandy Cay, documentata con fotografie di quattro ufficiali in uniforme nera che issavano la bandiera cinese sul banco di sabbia bianco. Secondo i media cinesi, gli ufficiali hanno anche “ripulito bottiglie di plastica, bastoncini di legno e altri detriti sulla barriera corallina”, un’attività che potrebbe essere interpretata come un tentativo di stabilire una presenza regolare.

La risposta delle Filippine non si è fatta attendere. Forze navali, costiere e di polizia filippine hanno dispiegato quattro squadre su gommoni verso il banco di sabbia, issando a loro volta la bandiera nazionale filippina. Durante l’operazione, le forze filippine hanno “osservato la presenza illegale” di una nave della Guardia Costiera cinese e sette navi della milizia marittima cinese nelle vicinanze.

Perché la Cina è così interessata a un minuscolo banco di sabbia di appena 200 metri quadrati? La risposta risiede nella sua posizione strategica e nelle implicazioni legali della sua occupazione.

Sandy Cay si trova a soli 3 chilometri dall’isola di Thitu (chiamata Pag-asa dalle Filippine), dove Manila mantiene un importante avamposto militare con una pista di atterraggio e circa 250 residenti. L’isola di Thitu serve anche come base per monitorare i movimenti cinesi nell’area.

Ma c’è un ulteriore elemento strategico nell’interesse cinese per Sandy Cay. Se riconosciuto come caratteristica naturale (e non artificiale), secondo il diritto internazionale, il banco di sabbia avrebbe diritto a un mare territoriale di 12 miglia nautiche (22 km), che si sovrapporrebbe al mare territoriale dell’isola di Thitu.

Ancor più importante, il controllo di Sandy Cay potrebbe potenzialmente rafforzare le rivendicazioni cinesi sulla vicina Scogliera di Subi, una delle caratteristiche geografiche sottoposte a massicce opere di bonifica da parte della Cina, che ora ospita missili, un porto in acque profonde, hangar per aerei e una pista di atterraggio di 3.000 metri. La Scogliera di Subi, essendo originariamente sommersa durante l’alta marea prima delle attività di bonifica, è classificata come un’elevazione di bassa marea e non ha diritto a un mare territoriale secondo il diritto internazionale.

Le dispute territoriali nel Mar Cinese Meridionale hanno radici secolari, ma le tensioni sono aumentate significativamente negli ultimi decenni. La Cina rivendica la sovranità su quasi l’intera area attraverso la cosiddetta “linea dei nove tratti”, respingendo le rivendicazioni concorrenti di Vietnam, Filippine, Taiwan, Malesia e Brunei.

Tra il 2013 e il 2016, Pechino ha intrapreso un vasto programma di bonifica territoriale, trasformando scogliere e atolli in isole artificiali dotate di installazioni militari, comprese piste di atterraggio e porti. Questa strategia di “fatti compiuti” ha permesso alla Cina di rafforzare il controllo su questa vitale via d’acqua, attraverso la quale transitano ogni anno merci per trilioni di dollari.

Nonostante una sentenza del 2016 della Corte Permanente di Arbitrato dell’Aia abbia stabilito che le ampie rivendicazioni cinesi non hanno base legale, Pechino ha continuato a espandere la sua influenza nella regione, alternando dimostrazioni di forza a manovre diplomatiche.

L’occupazione di Sandy Cay si inserisce in un contesto di crescente assertività cinese e potrebbe preludere a ulteriori mosse espansionistiche nella regione. Sebbene non ci siano segni che la Cina stia occupando permanentemente la barriera corallina o abbia costruito strutture su di essa, l’incidente solleva interrogativi sulle future intenzioni di Pechino.

Un possibile scenario è che la Cina continui la sua strategia del “salame” – conquistare territorio pezzo per pezzo – mantenendo una presenza intermittente ma crescente su Sandy Cay, eventualmente istallando piccole strutture di monitoraggio o stabilendo una presenza più permanente della Guardia Costiera.

Dal punto di vista diplomatico, l’episodio rappresenta un test cruciale per l’amministrazione Trump e per il suo impegno dichiarato a “ristabilire la deterrenza” contro l’espansionismo cinese nella regione indo-pacifica. Le recenti dichiarazioni del Segretario alla Difesa Pete Hegseth sulla necessità di rafforzare l’alleanza militare con le Filippine suggeriscono un possibile inasprimento della posizione americana.

Per Manila la crescente presenza cinese rappresenta una minaccia diretta alla sua sovranità e ai suoi interessi economici. Le Filippine potrebbero intensificare la loro cooperazione militare non solo con gli Stati Uniti, ma anche con altri partner regionali come Giappone e Australia, aumentando potenzialmente la militarizzazione della regione.

In questo delicato gioco geopolitico, il rischio di errori di calcolo e incidenti non intenzionali rimane alto. Le esercitazioni militari congiunte Usa-Filippine “Balikatan”, attualmente in corso nella regione, con la partecipazione di oltre 14.000 soldati e l’inclusione per la prima volta di una simulazione di difesa aerea e missilistica integrata, aggiungono ulteriore tensione a una situazione già volatile.

L’occupazione di Sandy Cay potrebbe sembrare un episodio minore nelle complesse dinamiche del Mar Cinese Meridionale, ma rappresenta un significativo passo avanti nella strategia cinese di dominio regionale, con potenziali ripercussioni sul delicato equilibrio di potere nell’Indo-Pacifico e sulla stabilità dell’ordine internazionale basato sulle regole.

Autore
Formiche

Potrebbero anche piacerti