Così le diseguaglianze di genere minano la salute mentale delle donne: la ricerca del Parlamento Ue
- Postato il 18 settembre 2025
- Lavoro
- Di Il Fatto Quotidiano
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La pandemia silenziosa di disturbi di salute mentale è uno dei maggiori problemi delle società moderne e l’Europa ne è tra gli epicentri. Nascosta per problemi di rilevazione e per lo stigma sociale che ancora la circonda, la depressione e altri disturbi mentali dilagano. Molti indicatori indiretti, come il consumo di psicofarmaci (ansiolitici, sedativi, sonniferi e antidepressivi) che è aumentato significativamente tra il 2011 e il 2021 nella maggior parte dei Paesi Ue, sottolineano come le donne ne siano più colpite rispetto agli uomini.
Lo attestano le statistiche: nel 2021 una ricerca sull’ansia e la depressione autovalutate nel contesto lavorativo ha rivelato che il 37% delle donne sperimenta alti livelli di ansia, rispetto al 25% degli uomini. Tra gli adulti in Spagna, una donna su 7 ha riferito di aver assunto tranquillanti o sonniferi, rispetto a un uomo su 14. Numerosi studi si sono così concentrati sulla ricerca delle cause di questa distribuzione ineguale. Nei giorni scorsi, una conclusione a lungo ipotizzata ma mai dimostrata è giunta però da una ricerca condotta dalla direzione generale per i Diritti dei cittadini della Commissione Ue, su mandato della Commissione per i Diritti delle donne del Parlamento europeo: i divari di genere al lavoro, con le loro ricadute salariali, di carriera e pensionistiche, come le disuguaglianze strutturali nella ripartizione dell’impegno nella cura delle persone e della famiglia, che compromettono direttamente e cumulativamente la salute mentale delle donne e la portano a deteriorarsi più facilmente di quella degli uomini.
Non solo il divario salariale e pensionistico di genere, ma anche le nuove forme di lavoro sono tra i fattori che determinano un peggioramento del benessere psichico tra le donne europee. Lo studio del Parlamento Ue risponde anche sul fronte politico, che sinora ha visto proposte frammentate, e raccomanda un’azione coordinata e sensibile al genere nei settori del lavoro, della salute e dell’uguaglianza di genere. È merito della contrattazione sindacale collettiva se l’Italia è meno colpita dal divario salariale di genere tra uomini e donne, con una differenza del 2% nel 2023 rispetto a una media Ue del 12% nel 2023, con alcuni Stati che superano il 18%. Ma sul fronte delle altre cause di disagio psichico per le donne sul luogo di lavoro, è incredibile che l’Italia nel 2021 sia stato l’unico Paese tra i 27 della Ue che non ha fornito dati al questionario Eurostat sulle lavoratrici che hanno subito molestie sessuali sul lavoro.
Lo studio del Parlamento Ue utilizza un approccio metodologico misto, combinando una revisione della letteratura, un’analisi quantitativa dei dati, una mappatura delle politiche e interviste a livello nazionale e comunitario. Per esplorare le molteplici dimensioni della disuguaglianza di genere e i loro effetti sulla salute mentale delle donne analizza anche i quadri giuridici e politici a livello Ue e nazionale, per valutarne l’efficacia nel promuovere l’uguaglianza di genere, il benessere e la salute mentale nei luoghi di lavoro.
Quella che emerge è la fotografia di una Europa ancora profondamente sessista. Per le donne, la relazione tra disuguaglianza salariale e rischi psicosociali si rafforza reciprocamente, influenzando le esperienze lavorative quotidiane e il carico mentale durante l’intera vita lavorativa delle donne. Relegate in settori “tradizionalmente femminili” (segregazione orizzontale) come la sanità, l’istruzione e i servizi, dove le richieste emotive sono alte, i salari e il riconoscimento sono bassi e prevale una cultura delle lunghe ore di lavoro rispetto ai comparti “a prevalenza maschile”, tagliate di fatto fuori dalla progressione di carriera negli altri ambiti (segregazione verticale detta anche “soffitto di cristallo”). Nella Ue, le donne costituiscono circa l’80% della forza lavoro nei settori della sanità e dell’assistenza sociale, riflettendo la forte femminilizzazione di queste professioni. Al contrario, gli uomini rappresentano circa l’80% dei lavoratori nei settori Stem (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica), che tendono a offrire salari più alti e migliori opportunità di crescita. Questi schemi sono influenzati da norme e stereotipi di genere persistenti che incanalano donne e uomini in settori diversi.
Così le lavoratrici europee spesso devono affrontare richieste emotive o cognitive più elevate dei loro colleghi, con obiettivi di performance rigorosi ma coinvolgimento limitato nelle decisioni, senza riconoscimenti e con scarse opportunità di sviluppo professionale, mentre devono sostenere una maggior percezione di insicurezza lavorativa che è più diffusa tra chi, come le donne, fa maggior ricorso a contratti part-time o a breve termine per dover conciliare più alti carichi di impegno familiare. Tutti fattori che indeboliscono l’equilibrio psichico tra sforzo e ricompensa, riducendo la motivazione, aumentando il burn-out e degradando e la salute mentale. Detto in altre parole, sfruttamento maggiore e minore riconoscimento lavorativo causano alle donne più stress, esaurimento e depressione che non agli uomini.
Nel corso della vita, questi svantaggi si accumulano poi e finiscono anche per causare un divario pensionistico di genere, con lacune nella copertura previdenziale, lasciando molte donne anziane in condizioni di insicurezza finanziaria, dipendenti dal partner o impegnate in lavori prolungati. Situazioni di insicurezza e di ridotta autonomia che finiscono per alimentare ulteriormente ansia e depressione anche in età avanzata, aggravando la condizione di isolamento delle donne.
Ma le sfide per la salute mentale delle donne sono influenzate anche dalla vita privata. Se il luogo di lavoro resta una fonte principale di stress, il benessere mentale è sottoposto anche a pressioni derivanti dalla condizione personale come le responsabilità di cura, le difficoltà finanziarie o l’isolamento sociale. Le responsabilità di cura sono ancora distribuite in modo fortemente diseguale. Le donne dedicano molto più tempo alla cura non retribuita, spesso riducendo l’orario di lavoro o passando a contratti part-time per gestire questi impegni. Queste scelte limitano la crescita salariale, i diritti pensionistici e le opportunità di carriera, aumentando lo stress psicologico. Nella Ue in media le donne dedicano 13 ore in più a settimana rispetto agli uomini a lavori di cura e domestici non retribuiti – quasi mezzo giorno extra ogni settimana senza compenso. Il carico di dover gestire lavoro retribuito e la maggior parte delle cure non retribuite è particolarmente evidente tra le donne con figli sotto i 12 anni: in questo gruppo, il 34% delle donne, rispetto al 28% degli uomini, riferisce di sentirsi troppo esausta dopo il lavoro per svolgere i lavori domestici. Le ricerche mostrano che fornire cure intensive (20 ore o più a settimana) è causa di rischi più elevati di stress psicologico. Questa condizione si traduce in una percentuale significativamente maggiore di donne (28%) rispetto agli uomini (8%) che lavorano part-time nel 2024.
Le lunghe interruzioni lavorative legate alla cura delle persone sfociano poi in ulteriori disuguaglianze. Nel 2018, il 33% delle donne occupate nella Ue ha dichiarato di aver interrotto il lavoro per almeno 6 mesi per motivi di cura, contro poco più dell’1% degli uomini. Queste pause, più frequenti tra le donne, rallentano la crescita salariale e l’accumulo pensionistico, aggravano la perdita di competenze e il rientro al lavoro a tempo parziale, bloccando i redditi nel lungo periodo e ampliando i divari salariali e pensionistici di genere. L’uscita dal lavoro retribuito porta anche a maggior isolamento e stress tra le donne.
Così alla fine nella Ue le lavoratrici hanno quasi 1,5 volte più probabilità di soffrire di depressione cronica rispetto ai loro colleghi. Donne giovani donne e madri sole sono esposte a livelli particolarmente elevati di stress e burnout. Ma anche l’accesso al supporto per la salute mentale è limitato e diseguale. In tutta la Ue, le donne affrontano barriere legate a costi, disponibilità e stigma nell’accesso ai servizi di salute mentale. I servizi spesso non sono adattati ai contesti di vita delle donne o alle esigenze di donne migranti, madri sole o con disabilità.
Lo studio del Parlamento Ue dimostra anche che le risposte politiche restano frammentate. La maggior parte dei 27 Stati dell’Unione manca di coordinamento tra politiche per l’uguaglianza di genere, per la salute e l’occupazione, specie sul fronte di misure di genere contro i rischi psicosociali, mentre i piani per l’uguaglianza trascurano la salute mentale come esito strutturale delle disuguaglianze. Per questo l’analisi del Parlamento Ue raccomanda di intervenire su cinque fronti: affrontare le disuguaglianze strutturali di genere nell’occupazione e nel reddito, rendere i luoghi di lavoro più sicuri e inclusivi, proteggere i lavoratori nelle forme di lavoro non standard e digitale, riequilibrare per genere gli impegni di cura investendo nelle infrastrutture pubbliche e private, migliorare i dati, la governance e il coordinamento delle misure.
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