Creare la pace dentro la guerra. L’arte come atto di resistenza dell’umano
- Postato il 16 ottobre 2025
- Attualità
- Di Artribune
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La guerra, oltre a uccidere le persone e distruggere le cose, distrugge anche la nostra capacità di pensare, di concentrarci, di restare lucidi. È come se l’orrore non colpisse soltanto i corpi, ma il pensiero stesso, rendendoci muti, confusi, sospesi. Ecco perché i giorni della guerra — in Ucraina, a Gaza, e ovunque nel mondo — appaiono come giorni di latenza, un tempo immobile in cui le coscienze restano in attesa, incapaci di agire e di immaginare. I morti di oggi non appartengono soltanto ai luoghi del conflitto: pesano su tutti noi, perché ci interrogano, ci feriscono, e ci chiedono di non voltare lo sguardo altrove.
E tuttavia, proprio in questa sospensione, nasce la possibilità di una risposta diversa. La necessità di “creare la pace dentro la guerra”, una pace preventiva, come l’ha definita Michelangelo Pistoletto nel suo videomessaggio per il Giubileo della Speranza promosso dal MEAN (Movimento Europeo di Azione Nonviolenta) in Ucraina.
Il Giubileo della Speranza, promosso dal MEAN per creare la pace dentro la guerra
Il MEAN, ispirato al pensiero e alla testimonianza di Alexander Langer, è nato nel 2022, all’indomani dell’invasione russa, con l’obiettivo di chiedere all’Europa l’istituzione di Corpi Civili di Pace Europei, strumenti di interposizione civile e disarmata. Da allora, il movimento ha organizzato numerose spedizioni di volontari nei territori colpiti, portando non armi ma solidarietà, idee, vicinanza, condivisione.
La quattordicesima missione, significativamente intitolata Giubileo della Speranza — in dialogo con quello istituito da Papa Francesco per il 2025 — non è stata un pellegrinaggio di guerra, ma un atto di amicizia. Come ogni cammino, ogni marcia, ogni traversata e ogni Giubileo, essa ha voluto aprire porte e sentieri, prima di tutto nelle nostre coscienze intorpidite. Non per insegnare, ma per ascoltare: ascoltare ciò che la società civile ucraina esprime e chiede, nella consapevolezza che da questa esperienza anche noi, figli di un’Europa distratta e sazia, abbiamo molto da imparare.

L’iniziativa tra arte, spiritualità e testimonianza civile a Kharkiv
A Kharkiv, città martoriata da decine di attacchi missilistici, l’iniziativa ha intrecciato arte, spiritualità e testimonianza civile. Michelangelo Pistoletto, presente idealmente con il concept della sua opera simbolica Terzo Paradiso, ha offerto agli studenti dell’Università Beketov l’occasione di reinterpretarla liberamente, secondo la propria sensibilità. Nel suo videomessaggio, l’artista ha spiegato che la pace, come l’arte, nasce dall’incontro tra elementi diversi: popoli, culture, idee, linguaggi. Creare significa riconciliare ciò che è opposto, trovare armonia nel conflitto, generare bellezza dal contrasto.
Gli studenti di Kharkiv hanno raccolto il messaggio, riproducendo il Terzo Paradiso su carta, tela e muri: un murales collettivo è nato nel corridoio che unisce la parte dell’università distrutta dai bombardamenti con quella rimasta intatta — un gesto simbolico e potente, che unisce ferita e speranza. Lì, dove la guerra aveva spezzato la materia, l’arte ha ricucito un passaggio di senso.
“Il Terzo Paradiso” di Pistoletto nell’ambito del progetto Giubileo della Speranza in Ucraina
Il Terzo Paradiso, concepito da Pistoletto come opera “open source”, liberamente riproducibile con autorizzazione della Fondazione, è un dispositivo artistico che vive di diffusione, partecipazione e condivisione. Su terzoparadiso.org si trovano testimonianze di questo contagio virtuoso: opere realizzate in scuole, comunità, carceri, spazi pubblici, in tutto il mondo. È un’arte che non si chiude nei musei, ma che entra nella vita delle persone, come segno di pace e di bellezza condivisa. Durante l’iniziativa, il rettore dell’università Beketov, Igor Biletsky, ha pronunciato parole di rara intensità: “La guerra è un male assoluto. Distrugge tutto: case, vite, ma anche le anime e le idee. Tutto. Ma c’è una cosa più brutta della guerra, ed è l’indifferenza”.
In quelle parole si condensa il senso dell’arte in tempo di guerra: non l’estetica, ma l’etica; non l’ornamento, ma la resistenza. L’arte, quando è autentica, obbliga a prendere posizione, a compromettersi, a guardare. È la forma più alta e più fragile di opposizione all’indifferenza.
La riflessione di Artribune sull’arte in tempo di guerra
In questi giorni, Artribune ha riaperto una riflessione cruciale: si può fare arte in tempo di guerra? È una domanda antica — Adorno, Brecht, Fortini l’hanno già posta — ma sempre necessaria. La risposta, oggi come allora, non può che essere duplice: no, non si può; e proprio per questo bisogna farla. Michelangelo Pistoletto risponde con un sistema di pace che è anche un sistema artistico. Franco Fortini, in un verso che risuona come un imperativo morale, ci ricorda: “Il male che è in noi non si lava col canto, / ma tu canta, se puoi, come il servo che porta l’acqua”. L’arte non serve a nulla, se per “servire” intendiamo l’utile. Ma serve a tutto, se intendiamo l’umano, a non cedere all’indifferenza, a mantenere viva la coscienza, a creare varchi di senso dentro il buio. Forse è questo, oggi, il compito più alto dell’arte non è rappresentare la pace, ma anticiparla, farla esistere, dentro la guerra, contro la guerra, nonostante la guerra.
Domenico Ioppolo
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L’articolo "Creare la pace dentro la guerra. L’arte come atto di resistenza dell’umano" è apparso per la prima volta su Artribune®.