Crisi in Medio Oriente e supply chain. Ecco i primi impatti economici e finanziari

  • Postato il 14 giugno 2025
  • Economia
  • Di Formiche
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Come era prevedibile, l’infuriare delle ostilità tra Israele e Iran sta cominciando ad avere ricadute che vanno a toccare i mercati e le rotte commerciali globali. Lars Barstad, amministratore delegato di Frontline (la più grande compagnia di petroliere quotata in borsa al mondo), ha annunciato la sospensione dei nuovi contratti per navigare nel Golfo attraverso lo Stretto di Hormuz, con una decisione che arriva come conseguenza delle crescenti tensioni tra Israele e Iran registrate nelle scorse ore. Il tratto di mare tra l’Oman e l’Iran rappresenta un passaggio strategico fondamentale per l’economia globale: circa un terzo delle forniture mondiali di liquified natural gas (Lng) e un quarto del petrolio globale transitano attraverso questo tratto di mare.

Barstad ha specificato che “pochissimi” armatori sono disposti ad accettare nuovi noleggi nella regione. “Non stiamo contrattando per entrare nel Golfo. Non sta accadendo ora”, ha dichiarato. Tuttavia, alcune navi della compagnia già presenti nell’area salperanno attraverso lo stretto di Hormuz, seppur con maggiori misure di sicurezza e in convogli scortati da forze navali internazionali.

La paura è che l’Iran possa imporre un blocco de facto dello stretto. Tuttavia, nonostante le minacce ripetute di Teheran nel corso degli anni, molti esperti ritengono che una chiusura prolungata dello Stretto di Hormuz sia improbabile, vista la presenza della Quinta Flotta americana nell’area (anche se l’Iran potrebbe ricorrere ad attacchi mirati per interrompere il traffico, come già avvenuto negli anni Ottanta durante la guerra con l’Iraq). Barstad sottolinea però che Teheran ha scarso interesse a bloccare completamente lo stretto, per via della sua forte dipendenza dalle esportazioni petrolifere.

Questa disruption nelle supply chain globali, tutt’altro che inaspettata, ha già dei precedenti. Dalla fine del 2023, gli attacchi Houthi nel Mar Rosso hanno costretto molte compagnie a deviare le rotte dall’Asia all’Europa attorno al Capo di Buona Speranza, evitando il Canale di Suez. Le tariffe assicurative per le navi in transito nel Mar Rosso sono aumentate del 20% dopo gli ultimi raid israeliani su Hodeidah, città portuale controllata dagli Houthi. Peter Sand, analista di Xeneta, evidenzia il rischio di congestione nei porti “alternativi” e meno attrezzati, nel caso le linee container decidano di spostare i loro hub.

I mercati petroliferi hanno reagito con volatilità. Dopo l’attacco israeliano contro installazioni militari e nucleari iraniane, il Brent è salito del 12% fino a 78,5 dollari al barile, prima di calare a 75 dollari. Gli analisti sottolineano che i prezzi restano contenuti solo perché Israele non ha colpito infrastrutture petrolifere, vero tallone d’Achille di Teheran. Un dirigente di una grande compagnia petrolifera ha osservato che il prezzo attuale del petrolio “non riflette il reale rischio di mercato”. Secondo lui, il prezzo di equilibrio, al netto del rischio geopolitico, sarebbe inferiore di almeno 10 dollari, mentre un adeguato premio di rischio lo porterebbe a salire di altrettanto.

Autore
Formiche

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