Da Dagospia a spiato: D’Agostino da due anni vittima di Paragon
- Postato il 20 giugno 2025
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Il Quotidiano del Sud
Da Dagospia a spiato: D’Agostino da due anni vittima di Paragon
Anche Roberto D’Agostino, patron, fondatore e motore del sito Dagospia, è nella lista delle vittime di Graphite, spiato da Paragon
Maledette coincidenze. Dagospia è il sito di news e dintorni che la scorsa estate ha guidato “l’assalto” al caso Sangiuliano-Boccia scavando negli angoli più personali dell’affaire che comunque era pubblico trattandosi di un ministro. Un anno prima, Dagospia aveva osato azzardare nel privato del ministro Lollobrigida spingendosi fino a territori indicibili ma anche qui, trattandosi di un ministro, di pubblico interesse. Fanpage è il sito che, grazie a una coraggiosa giornalista infiltrata, ha condotto l’inchiesta che più ha fatto male al partito di Giorgia Meloni, quella che ha documentato le attitudini e le abitudini fasciste dei giovani del partito. Quelli della ong Humana savings humans, Luca Casarini e persino don Ferrara, si ostinano ad andare in giro per il mare a salvare i migranti costretti su bagnarole destinate al naufragio.
Potremmo andare avanti a lungo nel dire chi ha fatto cosa e perché. Ciò che qui conta è che tutti questi soggetti condividono lo stesso problema: sono stati spiati in Italia con lo spyware Graphite della società israeliana Paragon dato in uso esclusivo, vista la sua invasività, ai nostri servizi segreti. Di Francesco Cancellato e di Luca Casarini già sapevamo. La novità di ieri è che anche Roberto D’Agostino, patron, fondatore e motore del sito Dagospia, è nella lista delle vittime di Graphite, spiato suo malgrado «almeno – dicono fonti di questo giornale – da un paio d’anni». Poco dopo, quindi, l’avvio del primo governo Meloni.
La notizia è uscita ieri. E il primo a darla è stato il senatore Matteo Renzi, leader di Italia viva, ex premier, che conduce quasi in solitaria da gennaio con interrogazioni e interventi in aula la battaglia contro lo spionaggio illegale di stato.
Dopo poco è arrivata la doppia conferma della procura di Roma e di Napoli. Il procuratore Francesco Lo Voi ha infatti disposto nell’ambito del procedimento sul caso Paragon, «accertamenti tecnici irripetibili sui dispositivi telefonici in uso a sette persone, parti lese nell’indagine: il fondatore di Dagospia Roberto D’Agostino e i giornalisti Eva Vlaardingerbroek, Francesco Cancellato e Ciro Pellegrino». L’accertamento riguarda anche i dispositivi degli attivisti di Mediterranea Saving humans Luca Casarini, Giuseppe Caccia e don Mattia Ferrara.
Il conferimento dell’incarico verrà affidato lunedì quando, probabilmente, sarebbe stata diffusa la notizia. È stata anticipata di qualche giorno. Ma nulla cambia. L’indagine al momento è contro ignoti per “accesso abusivo a sistema informatico e quanto previsto all’articolo 617 del codice penale su reati informatici, cognizione, interruzione o impedimento illecito di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche e installazioni abusiva di apparecchiature atte ad intercettare”. L’Ordine dei giornalisti e la Federazione Nazionale Stampa Italiana si sono costituiti parte civile nel procedimento e potranno nominare i propri consulenti.
La notizia ieri è diffusa anche dalla Reuters, una delle agenzie di stampa tra le più autorevoli al mondo, che ha dedicato un lungo articolo al caso Paragon in Italia. E ha definito Dagospia «il sito web che produce gossip salaci con retroscena politici ed è una lettura quotidiana obbligata per molti giornalisti italiani». Questo significa che la storia è destinata a diventare internazionale, a girare sui media internazionali. Con buona pace di governo e parlamento che hanno già provato a tacitarla. Del resto, poveri, precari, sempre più spesso a rischio anche della vita, quella del giornalista è una professione ancora percepita come un baluardo di democrazia e una garanzia per tutti.
In questa storia c’è una prima parte che inizia a gennaio quando Paragon denuncia l’uso improprio dello spyware di sua produzione Graphite, in pratica un microfono che si attiva nel telefonino del “bersaglio” (la persona da spiare) senza dover accettare nulla di particolare, senza neppure un clic. La faccenda finisce al Copasir (Comitato di controllo parlamentare sui servizi segreti) che svolge una serie di audizioni – dal sottosegretario con delega ai servizi Alfredo Mantovano ai capi delle nostre agenzie, Dis, Aisi e Aise, e poi la stessa Paragon – e il 5 giugno consegna al Parlamento una relazione che chiude la faccenda: in circa venti pagine si spiega che la nostra intelligence ha usato Graphite secondo i criteri previsti, nessun abuso. E quindi: Casarini intercettato per la sua attività di salvataggio in mare su mandato dei governi Conte 1-2 e Meloni.
Di Cancellato e Fanpage, però, non si sa nulla. Un paio di giorni dopo sulle pagine del quotidiano Haaretz, uno dei più diffusi in Israele, la società Paragon – fondata nel 2019 dall’ex premier Ehud Barak e da Ehud Schneerson, già capo dell’Unità 8200 delle forze armate israeliane, gli 007 telematici – accusa governo e Copasir di «non aver voluto scoprire chi ha spiato i giornalisti» e questo è giusta causa per chiudere il contratto. Questo succede la mattina. Poco dopo, all’ora di pranzo, si fa sentire il Dis, il dipartimento che coordina Aisi e Aise, è fa una mezza smentita il cui senso è: garantire l’accesso a Paragon per questa verifica voleva dire mettere a rischio i canali della nostra rete di intelligence. Un botta e risposta molto acceso che pareva essersi concluso con una nota del Copasir che ha promesso di «desecretare l’audizione di Paragon».
Ora il Copasir è obbligato a riaprire il caso. Il Pd lo chiede in blocco. Renzi e Italia Viva non hanno mai smesso. Il punto è che la nostra intelligence è al centro da un paio d’anni di una guerra interna. Ci sono almeno tre date chiave: l’affaire Giambruno e i due 007 beccati intorno alla sua macchina dopo il caso del fuori onda tv (novembre 2022); le intercettazioni abusive del finanziere in forza all’Antimafia Pasquale Striano, la squadra Fiore a Roma e Equalize a Milano; l’addio di Elisabetta Belloni che ha guidato il Dis fino alla fine del 2024. Nel mezzo una serie di ufficiali e dirigenti silurati e pensionati anzitempo. In questo marasma qualcuno ha abusato di Graphite e lo ha usato contro i giornalisti. Una democrazia deve pretendere una risposta.
Il Quotidiano del Sud.
Da Dagospia a spiato: D’Agostino da due anni vittima di Paragon