Da Morrone ceffone da Oscar alla sinistra

  • Postato il 22 maggio 2025
  • Di Panorama
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Non conosco Michele Morrone e, non essendo un grande cinefilo, non ho visto il suo film più famoso, pellicola polacca a sfondo erotico dal titolo 365 giorni. Tuttavia, anche senza avere cognizione delle sue qualità di attore, mi ha colpito ciò che ha scritto dopo aver partecipato alla trasmissione di Francesca Fagnani sulla Rai. A Belve, Morrone aveva detto di non amare il mondo dello star system e dei premi nazionali. «Non ho riscontrato negli attori italiani l’umiltà delle star hollywoodiane, che hanno gli Oscar mica i David. Qui da 30 anni si premiano tra loro». E già il messaggio era chiaro. Ma poi, su Instagram, Morrone è stato ancora più esplicito e ha dato un sonoro ceffone ai cinematografari che, pur non avendo mai fatto un film decente in vita loro, si atteggiano a intellettuali colti e impegnati.

Il post è una critica perfetta al circolino di artisti engagé, alla gauche caviar di Cinecittà. «Non mi sento parte di un cinema, quello italiano, che se la canta e se la suona da solo, pieno zeppo di pregiudizi nei confronti dei “diversi” che, se non hai studiato alla Silvio D’amico o al Centro sperimentale, non sei nessuno, se non la pensi con il cuore a sinistra sei solo un fascista, se non usi scarpe Clark e non dai l’idea di essere trasandato non sei un vero attore».

Morrone non sarà un grande interprete o, forse, non lo ha ancora dimostrato. Tuttavia, a differenza di tanti che per fare carriera sono pronti a digerire qualsiasi cosa, rinunciando alla propria storia, almeno ha le idee chiare e non si fa condizionare dal conformismo culturale della nouvelle vague dei progressisti con la cinepresa. «Artisti che fanno i finti inclusivi democratici, sinistroidi che, dopo aver preso un cazzo di David, si sentono dei scesi in terra e si concedono il lusso di fare della morale di sinistra non perché tengono veramente al loro Paese, ma semplicemente perché fa figo fare l’attore impegnato nel sociale e nella politica». D’accordo, Morrone non ha la raffinatezza di un Pier Paolo Pasolini, che attaccava i manifestanti che picchiavano i poliziotti o i sepolcri imbiancati del progressismo comunista; tuttavia, non mi pare che difetti di coraggio nell’accusare il sistema che domina la parrocchietta di registi e attori nostrani. Non mostra peli sulla lingua nel criticare il compagno Luca Marinelli, attore che ha interpretato Mussolini ma che, poi, ha sentito il dovere di chiedere scusa per aver vestito i panni del dittatore.

«Tristi e finti poeti maledetti, ubriachi di Rimbaud e Baudelaire, ma con lussuosi appartamenti e villini al mare (Rimbaud non c’aveva una lira). Siete più tristi delle vostre stesse idee. Gente che “si sente male e ha sofferto” per aver interpretato il ruolo del duce ma che, come per magia, si riprende molto bene da questo tumulto dopo aver incassato 1,5-2 milioni di euro. Patetici». Il ritratto che Morrone fa dei suoi colleghi è feroce, ma calza a pennello addosso a registi e attori culturalmente impegnati, pronti a sposare qualsiasi causa, compresa quella della transizione energetica, dimenticando però l’attico abusivo che si sono fatti costruire in pieno centro a Roma. Sono gli stessi che si indignano se nel teatro che porta il nome di papà si tiene un convegno sulla reimmigrazione, ma se qualcuno propone loro di ospitare due profughi siriani trovano sempre una scusa che li giustifica, dicendo di aver già fatto molto per la causa degli extracomunitari. Sono quelli che abbiamo visto lamentarsi al Quirinale per la revisione dei fondi che lo Stato ogni anno eroga a film che nessuno vede e che fanno fuggire gli spettatori.

Per loro, la destra fascista vuole imbavagliare l’arte. In realtà, come abbiamo dimostrato pubblicando l’elenco dei finanziamenti che il ministero della Cultura ha distribuito a mani basse nel corso degli anni, non c’è nessuna arte da imbavagliare, ma solo film scadenti da dimenticare. Non c’è alcun capolavoro da difendere, ma soltanto gli interessi di una lobby che si è fatta sistema e che campa da anni nonostante gli insuccessi, accusando il «popolo» delle sale di non capirla.

Per questo se ci fosse un Oscar per premiare la franchezza e l’anticonformismo, Morrone lo avrebbe già vinto.

Autore
Panorama

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