Da Papa Leone una lezione di giornalismo: una testimonianza su come si è trasformato il mestiere
- Postato il 13 maggio 2025
- Politica
- Di Blitz
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Dal Papa una vera e propria lezione di giornalismo. Non la si potrebbe chiamare altrimenti quella che Leone XIV ha dato a chi fa informazione, compreso il sottoscritto.
Usa parole forti il pontefice parlando nella sede romana della stampa estera: “Disarmate le parole, non andate alla ricerca del consenso, Usate toni che portino alla pace”.
Ecco: è quel che non avviene oggi se abbiamo lo scrupolo di leggere attentamene i giornali o guardare la tv. Quando cominciai a fare questa professione (parlo del lontano 1956), il capo redattore mi chiamò il primo giorno che entrai in redazione e mi disse: “Certamente avrai una tua preferenza politica, ma quando ti metti alla macchina da scrivere devi dimenticarla. Il giornalista deve essere “super partes”. È un suggerimento che non ho mai dimenticato e non dovrebbero dimenticare tutti coloro che fanno informazione.
Al contrario del Papa, divisioni profonde

Invece, oggi succede che, come nel Palazzo (spesso e volentieri criticato), esiste una vera e propria divisione: si va a destra o a sinistra a seconda di come la si pensa. Guelfi e Ghibellini, avversari a tutti i costi, dimenticando la sacralità della notizia. “Non esistono giornalisti super partes”. mi confessò tempo fa un collega e tirò fuori l’esempio di Indro Montanelli, il quale, al contrario, il giorno in cui si accorse di non andare più d’accordo con il direttore Piero Ottone, piantò Il Corriere della Sera per fondare un “suo” giornale che ancora oggi si può acquistare in edicola.
“Come eravamo”, si potrebbe scrivere. Ma i tempi sono cambiati sostengono coloro che non la pensano così. A questi colleghi, più o meno giovani, vorrei chiedere: che cosa ne pensate di quei giornalisti che, attratti dalla politica, varcano la soglia di Montecitorio o di Palazzo Madama per poi far ritorno a scrivere? Come si può ritenere non faziosa quella persona che, tornata sui suoi passi, ha ripreso la vecchia professione abbandonata momentaneamente?
Giornalisti e politica
Eppure esempi di questo genere se ne contano a decine, inutile fare nomi e cognomi, anche i lettori li conoscono. Comunque, trovano spazio, nessuno si pone tanti interrogativi, anzi sono molto richiesti da chi ha le loro stesse idee. Allora, l’informazione non la si può più definire così, la verità va a farsi benedire e se questo giornalismo lo si considera di parte non si può dar torto a chi lancia tali accuse.
È una “moda” che ha preso piede e nessuno osa scandalizzarsi. Avviene anche nella televisione pubblica che dovrebbe essere lontana da simili faziosità.
Non è un modello di oggi: quando si parla di spartizione dei telegiornali tutti sanno che l’uno, il due o il tre hanno orientamenti diversi. Ci fu un tempo in cui uno di questi tg fosse soprannominato “Telekabul” o ancora oggi c’è chi ritiene che esista una “Telemeloni.
Se allora il pontefice redarguisce la categoria e le ricorda che “dobbiamo disarmare le parole” per una informazione più corretta non possiamo dargli torto. Non si deve inseguire appunto il modello della competizione, ma quello della realtà. Un conto è andare alla ricerca di uno scoop, cioè di una notizia in esclusiva, un altro è indirizzare il resoconto a seconda delle convinzioni politiche di ciascuno di noi.
È un discorso (o un insegnamento) che dovrebbe valere anche per la magistratura. Si parla oggi di “toghe rosse” o di altre correnti che la pensano diversamente con toghe di altro colore, Però, di grazia, che cosa può pensare il cittadino di un giudice che ha preferito fare il parlamentare e poi, bocciato, torni ad esprimere un giudizio e quindi una sentenza?
La bagarre politica non ha mai un momento di tregua e i giornali la seguono pedissequamente. Rossi e neri si alternano, chi ha ragione e chi torto? Nessuno lo può dire con certezza perchè magari la verità è nel mezzo. Destra e sinistra fanno a gara per mettere KO l’avversario. Ma chi può giurare sulla credibilità di chi ci rappresenta in Parlamento?
Non è un fenomeno solo italiano, per carità. Sentite come la pensa il laburista Keir Starmer, primo ministro del Regno Unito: “”Chi non sa l’inglese non venga qui da noi”. Alla faccia della globalizzazione e di quanti sostengono di aprire le frontiere.
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