Da Sigonella al Muos, fino ai radar a Lampedusa: le proteste nella Sicilia militarizzata. “Così noi diventiamo un target”
- Postato il 7 settembre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
- 2 Visualizzazioni
.png)
L’aereo israeliano arrivato a Sigonella – la base militare tra Catania e Lentini – ricorda ancora una volta come ci sia un pezzo di Italia marchiato a stelle e strisce. È la Sicilia, porta d’Europa e avamposto statunitense e della Nato per la una posizione cruciale nel Mediterraneo. Mentre le imbarcazioni della Global Sumud Flotilla salpavano alla volta di Gaza, un KC-130H israeliano ha fatto scalo per 3 ore e 35 minuti a Sigonella per, ufficialmente, un “atterraggio tecnico”. Mentre l’opposizione attende spiegazioni su questo e altri aerei di una nazione che “sta conducendo un massacro” – come scrive Angelo Bonelli di Avs – dall’altro lato i siciliani sono sempre più preoccupati che l’isola, in questo momento storico scosso dalle guerre, possa diventare un obiettivo militare.
“La base ci espone sempre a grossi rischi, soprattutto quando soffiano i venti di guerra”, spiega Teresa Modafferi, componente dell’osservatorio contro la militarizzazione delle scuole e delle università: “Noi chiediamo – aggiunge – la smilitarizzazione di Sigonella. Base che modifica e condiziona anche il traffico aereo civile. I venti di guerra ci preoccupano, ora come in passato, ma nei momenti critici il timore aumenta”, aggiunge Modafferi. Dire no alle basi americane, in Sicilia oggi assume un diverso significato: “Abbiamo fatto un corteo con 15mila persone per dire no alla guerra, non accadeva dal conflitto in Iraq”, afferma Alfonso Di Stefano del comitato catanese di solidarietà con il popolo palestinese: “Abbiamo denunciato che è decollato l’aereo israeliano che porta munizioni, il nostro slogan è ‘La Sicilia sarà più bella senza Muos e senza Sigonella’ e organizzeremo per questo una nuova protesta per chiedere la smilitarizzazione di quella che noi è la base della morte”. Del territorio “militarizzato” fa parte anche Punta Bianca, nell’Agrigentino, dove per almeno sei mesi all’anno i militari – italiani e americani – sparano e si esercitano (da oltre mezzo secolo) nonostante il poligono si trovi ai margini di una riserva naturale, in un luogo fragile soggetto a crolli. Ma delle riserve sembra importare poco.
C’è poi Niscemi, comune in provincia di Caltanissetta, dove ha sede il Muos, un sistema di comunicazioni satellitari militari ad alta frequenza tra i più grandi d’Europa, gestito dagli Usa. Se le altre stazioni di terra si trovano in posti deserti – nelle Hawaii, in Australia e in Virginia – a Niscemi è stata costruita in una riserva naturale, una sughereta, a pochi chilometri dal paese. Da anni la struttura è al centro di polemiche e manifestazioni. Oggi a Niscemi si organizzano proteste e ronde collettive contro un mezzo di comunicazione bellica che – secondo cittadini, attivisti e comitati – provoca anche effetti nocivi sulla salute della popolazione. Il “Muostro” è oggi un mezzo utilizzato per la guerra, come denuncia Giancarlo Ania, insegnante che parte del movimento “No Muos”: “Prima abbiamo tentato di impedirne l’installazione per gli impatti negativi su persone e ambiente. Oggi protestiamo perché da Niscemi si fa la guerra, in Ucraina come in Palestina e in Africa: il Muos fornisce intelligence, guida i droni e i bombardamenti delle forze Usa e dei loro alleati. Così Niscemi e la Sicilia diventano un target”.
E mentre il governo italiano fa marcia indietro sull’inserimento del Ponte sullo Stretto tra le spese militari (previste nel nuovo obiettivo Nato del 5% del Pil) dopo il no degli Usa, le installazioni militari creano preoccupazione anche a Lampedusa, la piccola isola che il 12 settembre lancerà la candidatura come patrimonio immateriale Unesco della sua “cultura dell’accoglienza”. “Da poco è stata ultimata l’installazione dell’ennesimo radar nella parte di ponente dell’isola, queste nuove strutture si sommano a strutture Nato e radar che in un’isola così piccola hanno un grande impatto”, sottolinea Giacomo Sferlazzo, dell’associazione Pelagie Mediterranee: “Gli scenari di guerra – spiega – mettono Lampedusa in una zona di rischio, come è stato durante la crisi libica. Tutto questo va sommato agli sbarchi e alla crisi del Mediterraneo che fanno della nostra isola una frontiera militarizzata”. Tutto questo avviene in Sicilia, dove – tra basi, sistemi di comunicazione militare e radar – in tanti chiedono la fine delle guerre.
L'articolo Da Sigonella al Muos, fino ai radar a Lampedusa: le proteste nella Sicilia militarizzata. “Così noi diventiamo un target” proviene da Il Fatto Quotidiano.