Dall’agricoltura rigenerativa alla skincare: abbiamo visitato il Giardino Scientifico dove nascono le creme di Comfort Zone. Il fondatore: “Abbiamo due case la nostra pelle e il nostro pianeta”
- Postato il 28 aprile 2025
- Beauty E Benessere
- Di Il Fatto Quotidiano
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Ci sono molti falsi miti sull’adottare abitudini di vita più sostenibili, specialmente per quanto riguarda la cura di sé. Che i prodotti monodose (virali su TikTok) siano una necessità, nonostante lo spreco che provocano, per esempio, o che non saranno di certo i nostri singoli acquisti, da soli, a salvare il mondo. Ma soprattutto, è radicata l’idea che bisogna per forza fare un compromesso al ribasso, dimenticandosi delle performance e dell’effetto finale: che “naturale”, insomma, significhi più blando e meno efficace.
Coniugare sostenibilità, ricerca e risultati invece è la missione di [ comfort zone ] (scritto proprio così, tra parentesi) la linea per la cura della pelle del Gruppo Davines. Una realtà nata in Italia specializzata in formulazioni e trattamenti altamente performanti con una forte attenzione alla sostenibilità, sia nel processo produttivo che nella scelta degli ingredienti, tra cui alcuni provenienti dall’agricoltura biologica rigenerativa. Un viaggio durato oltre 30 anni, la cui ultima tappa è la Stazione Centrale di Milano: il brand ha aperto un pop up store aperto fino al 29 maggio con test per la pelle di ultima generazione, rituali rilassanti e, ovviamente, i prodotti che hanno reso Comfort zone famoso nel mondo.
La storia di Davines è iniziata nel 1983 come attività di fabbricazione su licenza di prodotti per capelli. Alla guida c’erano Gianni e Silvana Bollati: il nome del marchio era infatti un omaggio ai figli Davide e Stefania. Ed è stato proprio Davide Bollati, dopo un master in Cosmetologia negli Stati Uniti e il diploma alla Harvard Business School, a prendere le redini dell’azienda nei decenni successivi. Dall’ingresso in azienda nel 1992 ha rifondato i laboratori di ricerca – cuore pulsante del brand – e spinto il proprio marchio oltreconfine. Dopo i capelli, è arrivata la cura della pelle: nel 1996 nasce [ comfort zone ], con le parentesi nel logo che “abbracciano” l’idea di cura di sé.
In quarant’anni il brand si è ampliato e rinnovato: oggi è presente in oltre 10mila centri estetici e 5000 spa nel mondo. La filosofia dei fondatori, però, non è mai cambiata. “Un’idea di bellezza intesa come pelle sana, con una mente sana, in un pianeta sano” spiega Davide Bollati durante un incontro con la stampa nel quartier generale dell’azienda. “Oggi è facile parlarne, ma non lo era nel 1996, quando è nato tutto”. La filosofia dietro Comfort Zone è racchiusa nella definizione di “conscious skincare”, cioè bellezza consapevole e responsabile. Responsabile nei confronti del pianeta, verso chi lavora nell’azienda e, ovviamente, nei confronti di chi userà i prodotti. È una costante ricerca dell’equilibrio perfetto tra sostenibilità e performance: crema con un’etica, ma che piacciono al pubblico principalmente, e semplicemente, perché funzionano.
La parola “green” è diventata un po’ onnipresente nel mondo della moda e del beauty, specialmente ad aprile dedicato dell’Earth Day e dedicato alla salvaguardia della natura. Spesso però è un termine nebuloso ed è difficile capire dove finisce l’impegno e inizia il marketing. La sostenibilità non è un interruttore, che può essere acceso o spento, è una scala di sfumature: si può scegliere di fare un passo avanti in questa direzione ogni giorno. È un percorso, non un’etichetta. Bollati lo spiega proprio dal luogo dove tutto nasce, il Davines Group Village, inaugurato nel 2018 alle porte di Parma, ampliato nel 2025 con la creazione del Davines West Village. Dalle ampie finestre dei laboratori si vede il Giardino Scientifico che custodisce piante provenienti aromatiche, medicinali e tintorie da tutto il mondo. Gli esemplari vengono studiati per le formule professionali dei prodotti: particolarmente interessanti sono la witch hazel (l’amamelide) le violette, i gerani e il bergamotto. In più costituiscono una piccola oasi di benessere a portata di mano, letteralmente al di là delle finestre.
L’importanza dell’agricoltura rigenerativa
L’agricoltura rigenerativa è il pilastro del brand, il motore che dà vita a tutta la filiera produttiva. Se si parla di prodotti “naturali” o di “origine naturale”, infatti, è imprescindibile sviluppare un metodo di coltivazione che faccia la differenza. Non esiste una definizione univoca di cosa sia l’agricoltura rigenerativa, ma si possono individuare alcuni principi fondamentali: non depauperare il suolo, ruotare le colture variandole negli anni, evitare per quanto possibile la chimica (in particolare i pesticidi). Importante, poi, è l’uso dei cover crops in autunno, piante erbacee “di copertura” che in autunno e in inverno proteggono il suolo dall’erosione. Ultimo principio, ma fondamentale: favorire la biodiversità, facendo coesistere piante che usano le risorse del suolo in modo diverso. Portare l’agricoltura rigenerativa su larga scala, ci avvertono, è una sfida. Ma ci si può impegnare. A pochi passi di distanza dal Village e dalla serra è nato il primo Centro Europeo di Agricoltura Biologica Rigenerativa – Eroc – un laboratorio a cielo aperto dove poter misurare “i risultati” dell’agricoltura biologica rigenerativa. Eroc, infatti, non viene usato solo dall’azienda: è anche un centro di ricerca scientifica e polo educativo aperto alle visite di studenti, università, agricoltori e ricercatori.
Cosa significa essere una B Corp
Non stupisce quindi che nel 2016 il Gruppo Davines sia diventato B Corp: è stato di fatto riconosciuto un modo diverso di fare impresa, che oltre al profitto mette al centro il rispetto delle persone, delle risorse e dell’ambiente. L’obiettivo, quindi, è crescere attraverso la bellezza e la sostenibilità, in una logica di “disaccoppiamento”, spiega Bollati, cioè “aumentare il fatturato diminuendo le emissioni al tempo stesso, che non è proprio automatico”. Le vendite, comunque, confermano il percorso di crescita del Gruppo Davines, che include il marchio per la cura dei capelli Davines e della cosmetica Comfort Zone. Lo scorso anno si è chiuso con un aumento a doppia cifra del fatturato (295 milioni di euro): + 12% rispetto al 2023. Gli Stati Uniti trainano le vendite all’estero, confermando che essere “Made in Italy” non è un valore solo nella moda o nel cibo, ma anche nel settore della bellezza.
Gli eroi della pelle di Comfort Zone
I prodotti, presenti nelle spa e in 125 farmacie, i prodotti Comfort Zone ora si possono scoprire nel pop up store alla Stazione Centrale di Milano. Tra le ‘chicche’ da non perdere ci sono i prodotti in formato viaggio, perfetti per essere infilati in valigia prima di salire su un treno e i nuovi lanci. Si parte con le protezioni solari stick SPF50 Family di Sun Soul (indispensabili nella bella stagione) e il trattamento labbra Hydramemory, che verrà presentato a maggio. Il pop up è anche l’occasione per scoprire gli “eroi” di Comfort Zone, come il siero intensivo Sublime Skin o la miscela di oli floreali per l’aromaterapia Tranquillity, racchiusa nell’inconfondibile flacone squadrato.
Prendersi cura della pelle (e della Terra)
Passeggiando tra i laboratori e il giardino scientifico – un vero polmone verde in uno dei distretti più trafficati del Nord Italia – si esce con la sensazione che un altro modo di produrre sia già possibile, ma richiede un impegno collettivo che coinvolge anche i consumatori. Il punto non è sostituire un packaging con un altro, o un ingrediente con un altro, ma cambiare modo di pensare e di acquistare, ricordandoci che non possiamo fare a meno dell’ambiente che ci circonda. Se la terra è malata, anche il nostro cibo è malato, e probabilmente lo saremo anche noi. Non è molto diverso il discorso per la skincare: la pelle è il nostro organo più esteso, la barriera tra noi e il mondo. Merita attenzione, rispetto e soprattutto tempo. “Abbiamo due case – spiegano dal brand – la nostra pelle e il nostro pianeta”. È ora di prenderci cura di entrambe.
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