Dazi, accordo Usa-Vietnam. Il dollaro debole complica quello con l’Ue
- Postato il 2 luglio 2025
- Economia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Quotidiani aggiornamenti per la questione dazi. Il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato di aver raggiunto un accordo con il Vietnam in base al quale il paese asiatico non imporrà dazi sui beni americani importati mentre pagherà una tariffa del 20% sulle sue esportazioni negli Stati Uniti. Il Vietnam vende negli Usa beni per oltre 130 miliardi di dollari l’anno mentre importa prodotti statunitensi per soli 15 miliardi, realizzando così il terzo surplus dopo quelli di Cina e Messico. Si tratta del terzo accordo raggiunto sinora dalla Casa Bianca dopo quelli con la Gran Bretagna e Cina.
Proseguono invece i negoziati con Bruxelles mentre si avvicina la scadenza del 9 luglio, data in cui finirà la “tregua” concessa da Trump per dare spazio ai colloqui, con il presidente americano che non pare intenzionato a concedere proroghe. Ci sarebbe l’escamotage di un’intesa di massima da definire poi nei dettagli. Altrimenti, in attesa di un accordo, Washington potrebbe imporre dazi del 50% su tutti i prodotti importati dall’Ue, poco meno di un embargo.
Verosimilmente si ragiona su dazi base del 10% e più alti per settori come auto o siderurgia. In cambio via le regole europee sui colossi del web ed ammorbidimento dei vincoli sull’import di alimentari dagli Usa. Nel frattempo Trump ha già portato a casa l’insabbiamento della minimum tax sulle multinazionali.
Secondo il Financial Times però “le capitali europee hanno inasprito la loro posizione nei negoziati , insistendo affinché gli Stati Uniti abbandonino immediatamente le tariffe doganali sull’Ue come premessa di qualsiasi accordo quadro”. Ma, come spesso accade, Bruxelles deve conciliare istanze non sempre conciliabili, con i vari paesi membri che hanno strutture produttive e settori economici di punta diversi. La Germania ha molto a cuore la tutela dell’industria automobilistica, la Francia è più attenta all’agroalimentare e via dicendo.
A complicare le trattative c’è pure il marcato deprezzamento del dollaro nei confronti dell’euro: circa il 13% da inizio anno. Di fatto è una specie di ulteriore dazio imposto sul made in Europe, visto che con un dollaro più debole i beni importati dal Vecchio Continente diventano più cari (mentre costano meno quelli che compriamo dagli Usa). Semplificando un poco, anche sommato solo ad una tariffa base del 10%, il deprezzamento avrebbe quindi un impatto di quasi il 25%, ovvero una condizione molto dura per l’Europa e peggiore rispetto alle previsioni. Nella teoria l’imposizione di dazi dovrebbe portare con se un rafforzamento della moneta del paese che alza barriere. È avvenuto il contrario a causa di flussi finanziari, si vendono asset denominati in dollari per ribilanciare i portafogli diminuendo il peso di un paese ritenuto meno affidabile e con deficit e debito in aumento.
Stamane il premier spagnolo, Pedro Sanchez, ha avvertito che il motore che ha spinto lo sviluppo globale si sta “ingrippando” nel contesto di guerra commerciale e che i dazi rappresentano “un freno” alla crescita mondiale. Il leader socialista ha messo in guardia sull’effetto dei dazi sulla crescita mondiale, che cadrà al di sotto del 3%, “il livello dove resisteva dopo la pandemia”, con la conseguenza che a pagare saranno “i più vulnerabili”.
L’agenzia di rating statunitense Moody’s ha rivisto da stabile a negativo l’outlook (la previsione, ndr) sui rating sovrani globali, ovvero i giudizi di affidabilità sui titoli di Stato, a seguito dell’incertezza sulla politica commerciale e della potenziale revisione del commercio globale mentre la forte escalation in Medio Oriente conferma che “i rischi geopolitici continueranno a influenzare le condizioni del credito sovrano, con la possibilità di volatilità e improvvise turbolenze”. Ridotte anche le stime di crescita nel 2025 “per tutte le regioni”: l’Europa Occidentale, dove sono state tagliate dello 0,3%, emerge come una delle aree “meno vulnerabili alle incertezze sul commercio” mentre vengono dimezzate, dal 2 all’1%, le previsioni sul pil del Nord America.
Monta la preoccupazione tra gli imprenditori italiani. Il presidente di Confindustria Emanuele Orsini azzarda qualche numero. “Si parla solo di dazi al 10%, ma con la svalutazione del dollaro che vale il 13,5% arriviamo al 23,5%. Un numero che ci preoccupa. Secondo le nostre stime l’impatto per la nostra industria può valere circa 20 miliardi coinvolgendo 118mila occupati“.
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