Delitto di Garlasco, i consulenti di Sempio contro quelli della Procura: “Pregiudizio interpretativo su impronta 33”
- Postato il 3 luglio 2025
- Giustizia
- Di Il Fatto Quotidiano
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Anche i consulenti della difesa di Andrea Sempio, indagato dalla procura di Pavia nella nuova inchiesta sul delitto di Garlasco, bocciano i risultati degli esperti dei pm sull’impronta 33. Quella traccia – non insanguinata – lasciata da una mano destra sulla parete delle scale che conducono alla taverna di casa Poggi che per gli esperti della parte civile non possono essere attribuiti in nessun modo all’amico di Marco Poggi. Nella consulenza di Luciano Garofano (ex generale del Ris che nel 2007 seguì le indagini, ndr) e Luigi Bisogno, esperti nominati dalla difesa, coi legali Massimo Lovati e Angela Taccia, i consulenti della Procura di Pavia, quando hanno attribuito l’ormai nota traccia palmare 33 a Sempio, sono caduti in un “pregiudizio interpretativo“, operando “in totale disaccordo alle procedure accreditate presso la Comunità scientifica di riferimento”. E, in sostanza, hanno confuso per “minuzie”, trovandone a loro dire 15 e attribuendo l’impronta a Sempio, quelle che erano “interferenze murarie“, segni del muro, e non “strutture papillari reali”.
“Errori e mancanza di metodo scientifico” – Che la nuova indagine sarebbe stata caratterizzata da uno scontro tra esperti, era stato chiaro sin dalla riapertura delle indagini, ma l’incidente probatorio in corso e per cui è prevista un altro appuntamento il 4 luglio, allo stato non ha restituito una sola positività sul profilo genetico del 37enne accusato in concorso con ignoti o con Stasi dell’assassinio di Chiara Poggi. Sui rifiuti della spazzatura ci sono i profili della vittima e dell’allora fidanzato, a oggi condannato in via definitiva a 16 anni. Non ci sarà invece al momento un incidente probatorio sull’impronta 33 perché al momento i pm di Pavia, guidati da Fabio Napoleone e dall’aggiunto Stefano Civardi, hanno rigettato la richiesta dei legali della parte civile.
Ma cosa conclude la consulenza della difesa Sempio? Quella traccia “non presenta un numero sufficiente di corrispondenze valide per consentire l’attribuzione certa all’indagato” e mostra “al massimo soltanto 5 punti caratteristici, reali e obiettivamente riscontrabili, che la rendono non utile per i confronti”. Per Garofano e Bisogno è “verosimile ritenere che le evidenze erroneamente indicate dai consulenti della Procura siano da imputare a interferenze murarie, non a strutture papillari reali”. Nelle pagine tecniche della consulenza gli esperti della difesa si occupano, tra l’altro, proprio di quest’ultimo aspetto, precisando più volte che da parte dei consulenti dei pm pavesi “è interamente mancata” la correttezza dei “metodi di rilevazione e accertamento scientifico”. E hanno violato “i protocolli previsti dal metodo di prova validato”. E non risulta che “i laboratori di dattiloscopia del Ris, né tantomeno il dott. Caprioli abbiano ricevuto alcuna validazione-accreditamento del percorso analitico utilizzato”.
“Forzatura geometrica” – Per gli esperti della difesa, in pratica, i consulenti dei pm avrebbero “prima esaminato nel dettaglio” le caratteristiche dell’impronta di Sempio, cosa da “evitare per non rischiare di ‘vedere” delle “minuzie” che “non esistono”, e “soltanto successivamente” hanno “cercato le relative corrispondenze, cadendo in un inevitabile pregiudizio”. Un lavoro inaffidabile, si legge, “dal punto di vista scientifico”. E c’è pure un “errore”, sempre secondo Garofano e Bisogno, che è “facilmente verificabile ad occhio nudo”: ci sono quattro “minuzie” spostate “verso il lato sinistro del palmo”, dove non c’è “reale corrispondenza con le creste papillari” e il tutto con una “forzatura geometrica“. Si è cercato, in sostanza, concludono, di farle “coincidere”.
Storia dell’impronta 33 – L’impronta 33 – che non è mai stata di sangue – risultava già parziale perché mancavano le “creste”. Già all’epoca del delitto la parte superiore ed era stata sottoposta a un doppio test per rilevare la presenza di sangue: il primo aveva dato esito incerto (combur test) quello più specifico (Obti test che rileva sangue umano) aveva restituito un “esito negativo”. L’impronta del palmo della mano era stata rilevata sul muro delle scale che portano in taverna, vicino al luogo dove era stata trovata massacrata Chiara Poggi. Poco più c’erano anche un’impronta del fratello – che era in montagna da giorni – e anche di uno degli investigatori.
La mano dell’assassino – L’impronta quindi compariva fin dalla prima inchiesta del delitto di Garlasco del 2007 ed era stata catalogata dagli esperti – incaricati dai magistrati che hanno indagato nella villetta – come traccia dattiloscopica. Era stata “stata asportata dal muro – diceva il reparto scientifico dei carabinieri – grattando l’intonaco con un bisturi sterile”. Reperto che poi è stato cercato, ma non trovato. Nella relazione dei carabinieri del Ris di Parma dell’epoca c’erano un riassunto preciso, impronta per impronta, di tutte le tracce catalogate lungo il muro della scala di via Pascoli, oltre venti (foto da 31 a 56). Quattro erano attribuibili al carabiniere Gennaro Cassese, una al fratello della vittima Marco Poggi e la traccia 33 – che era apparsa centrale in questa nuova inchiesta – era un’impronta palmare la cui utilità era stata bollata come “nessuna” dal Ris. La nuova consulenza della procura di Pavia è stata fatta sulla base delle foto e ripescata nella nuova ricostruzione della pista alternativa. Sull’impronta 33 non c’è mai stato sangue, ma l’assassino di Chiara Poggi aveva almeno una mano sporca di sangue perché sul pigiama parte destra di Chiara Poggi erano state fotografate delle impronte, impronte andate perdute (fotografate ma non rilevate, ndr) – come scoprì la pg Laura Barbaini nel processo d’appello bis – quando il corpo fu rigirato e la maglietta si intrise di sangue.
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