Delitto di Garlasco, il capello nella spazzatura e le sedie spostate cambiano lo scenario?

  • Postato il 21 giugno 2025
  • Di Panorama
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Sono passati quasi diciotto anni dalla tragica mattina del 13 agosto 2007, ma il delitto di Chiara Poggi continua a riservare colpi di scena. Ieri, nel laboratorio della Questura di Milano, i consulenti del Gip Daniela Garlaschelli hanno rinvenuto un nuovo reperto nel sacco azzurro dei rifiuti della villetta di via Pascoli: un capello lungo tre centimetri, potenzialmente idoneo a un profilo di DNA nucleare. A poche ore dal blackout che ha oscurato gli strumenti per l’analisi, l’incidente probatorio – già ricco di testimonianze e perizie – si arricchisce dunque di un tassello inedito.

Un capello per fare luce sulla scena del crimine

Il capello è emerso durante la catalogazione degli oggetti raccolti dalla procura di Pavia: lo stesso sacco azzurro che, nella consulenza del 2008 firmata da Carlo Previderé e Pierangela Grignani, aveva già fornito i primi risultati genetici utili a riaprire il caso.

Allora, furono analizzati sette capelli stretti nel pugno di Chiara e altri ventinove rinvenuti nella pozza di sangue, ma solo uno presentava il bulbo e superò il vaglio del DNA nucleare – confermato coincidente con quello della vittima – mentre da diciassette fibre pilifere emerse un aplotipo mitocondriale sempre compatibile con Chiara Poggi.

Oggi, lo stesso team guidato da Denise Albani e Domenico Marchigiani tenterà di estrarre un profilo nuovo, nella speranza di individuare tracce di altre presenze sulla scena.

Le incongruenze della testimonianza di Stasi

I riflettori si erano già accesi venerdì scorso durante la puntata di Quarto Grado, con il maresciallo Roberto Pennini – uno dei primi carabinieri intervenuti il 13 agosto 2007 – in studio con il generale Gennaro Cassese.

Pennini ha illustrato una discrepanza sorprendente nelle due versioni rese da Alberto Stasi il giorno del delitto.

«Nel primo verbale, Stasi fornisce una descrizione sommaria del corpo di Chiara; solo dopo essere stato portato davanti a una fotografia scattata dai rilievi, diventa capace di dettagli puntuali. Un’evoluzione troppo netta per essere casuale», ha spiegato il maresciallo.

Secondo Pennini, tra i due interrogatori Stasi avrebbe visionato – sotto gli occhi del maresciallo Francesco Marchetto – una delle foto della scena del crimine, circostanza che spiegherebbe la precisione della seconda deposizione. Un elemento che potrebbe rilanciare l’ipotesi di contaminazione delle dichiarazioni e tornare al vaglio del Gip nel proseguo dell’incidente probatorio.

Sedie, mozziconi e chiavetta USB: la cucina sotto esame

Parallelamente, l’inchiesta riaperta dalla procura di Pavia si concentra sui rilievi in cucina – crocevia di sedie disposte in obliquoframmenti di carta sulla tovaglia e un posacenere privo di mozziconi, segno di un’assenza inspiegabile in una casa dove Chiara non fumava e il padre era in vacanza in Trentino.

Al centro dell’attenzione anche il cestino vicino all’ingresso: telecomando, chiavi e – in cima – la chiavetta USB di Chiara, anziché il dispositivo di accensione del cancello che, secondo la ricostruzione, la ragazza avrebbe usato alle 9:12 per far entrare il suo assassino.

Perché la pen drive era in cima al mucchio di oggetti e non sotto, come logica vorrebbe?

E ancora, le impronte rinvenute – in particolare la traccia 61, con sangue compatibile con la vittima – e i segni di scarpe finora indecifrabili chiedono nuovi riscontri con le tecnologie forensi di ultima generazione.

Il duello tv tra opinioni e contrappunti

Non meno vivace è stato il dibattito la sera dopo su Farwest (Rai 2), dove il giudice Stefano Vitelli – assolutore in primo grado di Stasi – ha ribadito le lacune dell’istruttoria originaria, in particolare sul cosiddetto “alibi informatico” e l’acquisizione della bicicletta.

Di segno opposto il commento dell’avvocato Franco De Rensis, difensore di Stasi, che ha evitato l’ospitata: «Partecipare a un programma con certezze granitiche, ma false, non è nelle mie corde», ha detto in una telefonata.

Sul fronte dell’accusa, l’ex comandante dei RIS Garofano si è detto convinto della solidità della condanna, mentre il generale Cassese ha esortato a non trascurare alcuna anomalia investigativa.

Cosa ci aspetta adesso

Dopo l’arrivo del capello, i prossimi passi saranno scanditi dall’esito delle analisi genetiche: in poche settimane è atteso il profilo del DNA nucleare, che potrebbe confermare o scardinare ipotesi maturate nel corso delle indagini.

Nel frattempo, il Gip di Pavia fisserà nuove udienze per l’esame delle consulenze e l’acquisizione di ulteriori testimonianze, mentre gli investigatori completeranno il confronto tra le tracce di scarpe e le impronte digitaliriscoperti sui mobili della villetta.

Se emergeranno profili estranei alla famiglia Poggi e ad Alberto Stasi, potrebbe aprirsi uno scenario a più persone coinvolte.

In attesa di questi appuntamenti, la procura resta determinata a non lasciare alcun dettaglio al caso: il delitto di Garlasco, a quasi due decenni dal suo compimento, dimostra che la verità giudiziaria nasce anche dal lavoro certosino sui reperti più minuti. Anche un singolo capello può cambiare il corso di un’inchiesta.

Autore
Panorama

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