“Deterrenza delle armi nucleari? Una truffa per giustificare ogni spesa militare”: parla il Nobel per la Pace Florian Eblenkamp

  • Postato il 23 ottobre 2025
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Nel 2017 Florian Eblenkamp aveva 23 anni. Era un volontario di Ican, la Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari. Quella campagna ottenne un risultato straordinario: il premio Nobel per la Pace 2017, per il ruolo cruciale nel portare all’attenzione mondiale le conseguenze catastrofiche dell’uso degli arsenali atomici. Fu l’anno del Trattato delle Nazioni Unite per la proibizione delle armi nucleari, adottato a New York nel luglio 2017. Oggi Florian è dirigente di Ican ed è in Italia, tra l’altro, per incontrare i gruppi parlamentari e partecipare all’audizione del comitato sui Diritti umani della Camera.

Dal 2017 a oggi, com’è cambiato il mondo?
Siamo stati travolti da eventi negativi di portata storica: l’Ucraina, Gaza e altre crisi globali. Sono le notizie che dominano il dibattito pubblico, ma non tutto nel mondo è andato storto. il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, per esempio, è stato firmato da 99 Paesi, soprattutto fuori dall’Europa: è un movimento globale.

Però aumentano i sostenitori della deterrenza, l’idea che le armi nucleari siano essenziali per la stabilità delle relazioni geopolitiche. Come si sfida questa narrazione?
Il pretesto della deterrenza è un cappello usato per giustificare ogni spesa sulle armi, anche quando non ha nulla a che vedere con la sicurezza o la stabilità internazionale. Bisogna dirlo in modo chiaro: la deterrenza nucleare è una truffa.

Perché?
La promessa di una pace fondata sulla paura non trova riscontro nella realtà. Le armi nucleari non assicurano stabilità, anzi: abbiamo visto guerre anche tra potenze nucleari, come India e Pakistan. Ora molti Paesi europei discutono di dotarsene per paura della Russia: è un disastro, la peggior forma di difesa possibile.

Ha funzionato durante la guerra fredda, perché non dovrebbe oggi?
Il discorso è avvelenato alla fonte. Si parla della deterrenza come di qualcosa che “puoi comprare”, una sorta di strumento magico. Invece ha bisogno di tre elementi: le capacità militari, gli strumenti di trasporto e soprattutto la volontà politica di usare quelle armi. Qui sta il punto: la deterrenza entra in funzione davvero se il presidente degli Stati Uniti, o per ipotesi anche un premier europeo, magari italiano, appare credibile nella minaccia di un genocidio di massa, pur di rispondere a Putin. Anzi: un suicidio di massa. È assurdo e moralmente insostenibile, una strategia di difesa folle.

Se ne parla invece come fosse una nuova normalità.
Finché alcuni Paesi manterranno le loro armi nucleari con il pretesto della deterrenza, altri vorranno fare lo stesso. L’Iran, per esempio. Non esiste alcuna base morale o logica per dire che alcuni Stati “possono” avere quelle armi e altri no. Chi lo decide?

Il Trattato sulla proibizione delle armi nucleari ha ricevuto ampio sostegno, ma non ha aderito nessuno degli Stati nucleari, né i membri della Nato.
Cambiamo prospettiva: quegli Stati e i membri Nato rappresentano una piccola minoranza, circa 35 Paesi in tutto. La grande maggioranza degli Stati del mondo lo ha già firmato o ratificato, ma dedichiamo una quantità sproporzionata di attenzione proprio a quei 35 Paesi.

Sono quelli che danno le carte.
Ma la verità è che la maggior parte del mondo non vuole avere nulla a che fare con le armi nucleari. È deplorevole che gli Stati nucleari non vogliano aderire. Ican lavora su vari livelli per rendere universale il trattato: con i governi, con i diplomatici, con le Nazioni Unite. Significa insistere, Paese per Paese, affinché diventi una priorità politica.

In Italia, ad esempio, la politica nazionale sulla sicurezza è in contraddizione con il trattato.
Il trattato esiste solo dal 2017, ma già prima era difficile ottenere un impegno legale dai governi italiani di ogni colore. Ora stiamo cercando di costruire una coalizione, in Italia come altrove: un gruppo di parlamentari che si mobilitino, presentino mozioni, chiedano trasparenza sulla presenza di armi nucleari. Bisogna avere una risposta chiara dal governo: è a favore o contro il trattato?

Sta funzionando?
Lentamente. Oggi, per esempio, parliamo in Parlamento. Una mozione è già passata in Commissione affari esteri per impegnare l’esecutivo a firmare il trattato, ovviamente è stata presentata dall’opposizione, vedremo come andrà. Ma almeno ora c’è una discussione, e il governo dovrà rispondere sul perché non cambia la propria posizione.

L’atteggiamento del governo Meloni non è incoraggiante.
Nel corso della legislatura abbiamo fatto votare due volte una risoluzione in Commissione esteri, una addirittura all’unanimità, chiedendo all’Italia almeno di partecipare come osservatore alla conferenza internazionale, come hanno fatto Germania e Olanda, ma poi il governo e il ministro degli Esteri non si sono presentati. C’è sostegno parlamentare, ma i burocrati si oppongono, influenzati magari da ambasciate americane o francesi.

Mi dice un obiettivo concreto per il futuro prossimo?
Un obiettivo realistico sarebbe che l’Italia iniziasse almeno a partecipare come osservatore alle conferenze del trattato di non proliferazione. È una decisione politica, non un vincolo legale. Potremmo essere a una sola elezione di distanza da questo cambiamento. L’altro obiettivo è ottenere una legge nazionale che proibisca le armi nucleari: non è utopia o un’idea radicale. In molti Paesi europei le voci civili contro il riarmo sono etichettate come “anti-americane” o “amiche di Putin”, senza entrare nel merito. È una battaglia contro potenze enormi, ma va portata avanti un passo alla volta.

Un altro problema: il trattato “New Start” tra USA e Russia sulla limitazione delle armi nucleari scade nel 2026. Quanto sarebbe pericoloso se non venisse rinnovato?
Senza un rinnovo non ci sarebbe più un limite legale, sarebbe il peggioramento di una situazione già critica. L’Europa deve essere protagonista e promuovere un accordo almeno per l’estensione del trattato, anche perché sarebbe il probabile teatro di un eventuale conflitto.

Come valuta la proposta di Trump per un compromesso di pace basato sull’attuale linea del fronte in Ucraina? Zelensky l’ha definita “positiva”.
È bene che si inizi a parlare di come porre fine alla guerra, ma la decisione spetta agli ucraini: devono capire se sia davvero possibile continuare un conflitto così lungo e devastante o se sia arrivato il momento di trovare un compromesso realistico. Poi la sfida diventerà come garantire la sicurezza di Ucraina e altri Paesi europei anche dopo la fine della guerra, visto che la Russia è una potenza nucleare.

E ha lanciato di recente nuove esercitazioni.
Sì, lo ha fatto anche la Nato. Sono esercizi di forza in un contesto molto pericoloso, dove un errore tecnico può scatenare un conflitto devastante.

In questi anni il tema del disarmo nucleare si è legato a battaglie più ampie: la giustizia climatica, i diritti umani, ora la protesta globale per Gaza. Pensa che questi movimenti possano unirsi e creare una domanda politica unica contro la militarizzazione?
Lo spero davvero. Le manifestazioni per Gaza e per la Palestina sono una dimostrazione magnifica che le persone sono interessate alla politica estera e alla solidarietà internazionale. Queste lotte sono collegate: Gaza è bombardata da uno Stato nucleare, l’Ucraina è stata invasa da un altro. Il nostro compito è rendere politicamente inaccettabile questa realtà. C’è un fatto straordinario: quando la gente si muove, il cambiamento può avvenire rapidamente.

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