Dieci buoni motivi per dire che il vertice in Alaska non è andato poi così male. L’opinione di Guandalini
- Postato il 16 agosto 2025
- Esteri
- Di Formiche
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1) Perseguire la pace. L’abbiamo scritto nel nostro ultimo post. Il percorso per raggiungere la fine del conflitto sarà lungo e complesso. Va lodato l’inizio di questo cammino segnato dal vertice in Alaska e parimenti va apprezzata l’intraprendenza di Trump che sta facendo quello che avrebbe dovuto fare l’Europa. Incontrarsi, parlare, mettere al tavolo i contendenti. Isolare Putin (ma come si fa isolare la maggiore potenza nucleare?) non ha fatto altro che rinfocolare la guerra e allontanare i sentiment della trattativa.
2) Un mediocre diplomatico conoscitore di accordi di ‘pace a terra’ (realistici, pragmatici) sa che dal vertice in Alaska non sarebbe uscito né un cessate il fuoco immediato e neppure sarebbe stata spesa una dettagliata intesa tra Mosca e Kiev. Scremiamo gli auspici fuori misura di Trump, prima degli incontri, che si legano a quel suo modo di fare sbrigativo, presto che è tardi, che lo contraddistingue, rimangono sul tavolo le richieste di Europa e Zelensky. Che sanno di vecchio, di usato per niente sicuro, che andranno per forza calibrate nell’eventuale incontro a tre con il presidente ucraino.
3) Pace giusta, no alla cessione di territori e l’entrata dell’Ucraina nella Nato sono presupposti che andrebbero archiviati sine die. Il riecheggiare di queste richieste prima del vertice in Alaska e la presunzione che da quel vertice uscissero realizzate almeno in parte, era un esercizio di pura fantasia. Ho sentito ex ambasciatori, opinionisti (la rozzezza di quelli russi invitati nei talk italiani è macchiettistica) osservatori sostenere la necessità, verso Putin, di non cedere sul fatto di prendere territori di altre nazioni con la forza. Vero. Ma in una trattiva come quella che c’è da imbastire, immaginare di partire con quell’assioma vuol dire far fallire qualsiasi ipotesi di negoziato. Va valutata la realtà per quella che è, tornare indietro è un azzardo inutile.
4) Si dovrà ripartire da due capisaldi. Uno detto da Trump a Zelensky prima del vertice: preparati a cedere territori. Il secondo detto da Putin in conferenza stampa in Alaska quando ha riconosciuto a Trump che se alla Casa Bianca ci stava The Donald invece di Biden, nel 2022, la guerra non sarebbe iniziata. Dentro l’affermazione di Trump e quella di Putin (fino al primo accordo di pace steso, in Turchia, un mese dopo dall’inizio del conflitto; mentre le pretese prima della guerra sono superate e vanno prese a scalare in vista di un accordo) va ricercato un patto da stendere in modo dettagliato nel prossimo trilaterale con Zelensky.
5) L’atteggiamento, ora, di Europa e Zelensky, che non devono tenere, è quello degli offesi. Di quelli delle speranze deluse. E quindi ricominciare a ripetere fino all’ossessione le solite richieste impossibili. Fatte di passerelle, incontri su incontri, dichiarazioni, dimostrazioni fuori tempo massimo, rilanci, mozioni d’affetto senza armi verso il resistente di Kiev. Bene ha fatto Zelensky dire di essere disponibile da subito a un incontro con Putin. Senza condizioni, richieste e vie elencando. Nel frattempo gli sherpa dovrebbero fare uno sforzo preparatorio in più rispetto al vertice in Alaska per individuare soluzioni pragmatiche per chiudere il conflitto.
6) Se salta il tavolo, per l’Europa si metterebbe male. A quel punto la guerra proseguirebbe. Per il Vecchio Continente vi sarebbe l’obbligo di scendere in guerra a fianco di Zelensky. Non sarebbe più tempo di dichiarazioni di principio dei volenterosi. E senza la sponda degli Stati Uniti i quali staranno alla cassa in attesa che gli europei acquistino armi per conto della NATO da destinare al fronte di guerra. Uno scenario drammatico, dai risvolti imprevedibili e senza limiti temporali certi perché si andrà fino a quando uno dei due contendenti soccomberà.
7) È vero che l’Europa sarà al sicuro soltanto se in grado di difendersi. Ma non sarà mai in grado di difendersi da sola. Sarà sempre necessario l’alleato americano. Inutile star lì a strologare magnifiche sorti e progressive. Il Vecchio Continente rimarrà dipendente dalla sicurezza degli Stati Uniti. Per armi nucleari (sul territorio italiano vi sono 70 testate) e tecnologia (la quantità di satelliti che girano sopra la nostra testa non sono paragonabili alle disponibilità europee).
8) Da non sottovalutare in caso di prosecuzione della guerra lo spostamento oltre misura del baricentro sulla questione ucraina (averne fatto un caso mondiale è stato un errore all’origine) asciugando da un lato molte risorse delle singole nazioni europee verso la causa di Kiev e dall’altro aggravando la situazione economica già precaria degli stati guida del Vecchio Continente, ancora alle prese, l’Italia e la Germania, ad esempio, con i costi dell’energia spropositati.
9) Inoltre vi può essere la reazione elettorale in molti paesi che manderebbero a casa gli attuali governanti in carica che hanno gestito malamente la situazione. Inoltre sarà molto probabile chiedersi fino a quando Zelensky resterà alla guida dell’Ucraina. In caso di prosecuzione della guerra il già fragile consenso del resistente di Kiev verrà sempre meno e non sarà così improbabile un rovesciamento degli equilibri interni.
10) Il consiglio di Trump a Zelensky dopo il vertice in Alaska è di fare un accordo. E’ la saggezza di uno che di compromessi (immobiliari) se ne intende. Da subito accetti di fare un incontro con Putin. E addotti a riferimento un tipico accordo tra ‘mercanti’, dove per principio salteranno fuori dalle trattative entrambi insoddisfatti