Dietro a un grande uomo…

  • Postato il 8 ottobre 2025
  • 0 Copertina
  • Di Il Vostro Giornale
  • 2 Visualizzazioni
pensiero altro 8 ottobre 2025

“Dietro a un grande uomo c’è sempre una grande donna”, si tratta di un detto popolare, che ho trovato anche come affermazione di Virginia Woolf anche se una simile attribuzione, a mio giudizio, è alquanto ingiustificata, comunque non importa, ciò che mi sembra evidente è che la pretesa di “riscatto” e di “protagonismo” al femminile, che sembra potersi riconoscere in queste parole, è, al contrario, una sorta di ghettizzazione della donna e del suo ruolo. Credo piuttosto che dietro a un grande uomo, come anche a una grande donna, sia lecito aspettarsi una grande ombra: va sottolineato che l’ombra non ha sesso? Solo il tempo per una breve citazione, ancora una volta dagli scritti di un caro amico, Gershom Freeman: “Non sempre l’ombra più lunga appartiene alla persona più alta, molto dipende dalla luce che l’accompagna”. Affermazione che, in una certa prospettiva, potrebbe positivamente suggerire una diversa lettura del detto di apertura, ma torniamo al tema ricordando, con le parole di Simon de Beauvoir, che “gli uomini hanno favorito il proprio sesso; continuano a favorirlo per interesse, tradizione, inerzia, perché non si accorgono o non vogliono accorgersi che i tempi sono cambiati”. Mi sembra interessante una passeggiata tra alcune figure femminili che sono sempre presentate in relazione al maschile, senza dimenticare che la storia in generale e la loro, nello specifico, sono sempre state scritte e tramandate da maschi ma, soprattuto, analizzate e comprese all’interno di una cultura al maschile. Io sono convinto abbia ragione Simon de Beauvor, i tempi sono cambiati, ma la sua riflessione andrebbe ripensata nuovamente alla luce dei recenti percorsi della cosiddetta cultura dei social. Mi sembra ci sia tanta ignoranza e tanto pensiero arcaico a dominare nei messaggi, nei video e nei like delle nuove generazioni, ma torniamo alla questione del ruolo della donna nei confronti del grande uomo.

Rispettando la cronologia potremmo cominciare con Eva e Adamo: intanto mi sembra rilevante ricordare che, nella versione originale, in ebraico, il termine ‘aDaM indicava una pluralità, l’umanità in tutte le sue varianti sessuali e cromatiche, la traduzione al singolare con un nome prpprio, Adamo, appunto, è successiva e sviante; allo stesso modo il termine ‘aISH, divenuto poi Eva, indicava la dimensione interiore, potremmo indicarla come anima, coscienza, consapevolezza di sé. Non è il caso di ulteriori riferimenti al testo originale del Genesi, limitiamoci alla vulgata più nota: è Eva che si assume la responsabilità della trasgressione, sempre Lei a essere mossa dalla curiosità e dal desiderio di conoscere; ancora e sempre la donna a esortare il proprio ignavo compagno all’azione e ancora Lei che garantirà la sopravvivenza della specie una volta abbandonato l’Eden. Il grande uomo, in effetti, sarebbe rimasto un anonimo animale senza la presenza e l’azione di Eva la quale, al contrario, è ritenuta fondamentalmente responsabile di un peccato che ancora andiamo espiando. Sappiamo che nel messaggio originale il significato era ben altro, indicava il momento in cui l’anonimo animale, attraverso la determinazione dell’auto coscienza, intraprendeva il lungo cammino che lo avrebbe portato a divenire uomo, o donna, capace di sapersi “altro dall’indistinto”. Per chi mastica di filosofia antica il rimando ad Anassimandro è evidente. Sempre in ordine cronologico come dimenticare Penelope, una donna capace di attendere per venti anni il ritorno del marito, di accettare il richiamo del figlio diciottenne, Telemaco, quando l’invita a “tornare nelle proprie stanze” senza intromettersi in discussioni che non le competono poiché “le parole spettano agli uomini”; pur rimanendo la donna che consente a Ulisse di fare ritorno a un’isola che ancora avrebbe potuto considerare come proprio regno per riprenderne possesso; è Penelope, infatti, la regina che ne ha conservato il diritto al marito non accettando alcun pretendente.

Non rispettiamo l’ordine temporale per arrivare subito a Lady Macbeth che, così ancora una volta la descrive un uomo, esorta gli spiriti “Venite, spiriti / addetti ai pensieri di morte, e venite a riempirmi / da capo a piedi di ferocia crudele” che la rendano simile a un uomo nel suo agire, infatti prosegue “Strappatemi questo mio sesso, e colmatemi, / di un capo ai piedi, dalla più atroce crudeltà”; ma chi sarebbe mai stato il marito senza lo sprone e il ricatto sessuale di Lady Macbeth? Non è una questione etica, ma culturale: come Eva, in altra forma lo stesso vale per Penelope, esorta alla trasgressione, non sta alle regole, persegue uno scopo che è impensabile per una donna in un mondo al maschile, insomma, l’ombra del grande uomo ricorda quella biblica degli Elohim nella quale gli stessi si sono finalmente riconosciuti, ma torniamo a epoche più prossime senza abbandonare l’ambito biblico e arriviamo al “primo dei sette segni” individuati da Giovanni nel suo Vangelo, testo diverso tra i quattro canonici, complesso, allegorico, iniziatico. Stiamo parlando del primo miracolo compiuto dal Cristo alle nozze di Cana, addirittura la teologia ufficiale, ricordo Ignace de la Potterie, tende a parlare di mistero più che di miracolo, in fondo Gesù non agisce in maniera scoperta, si limita a far riempire le brocche di acqua che poi, quando verrà assaggiata dal maestro di tavola, si rivelerà vino di eccellente qualità. Si sa, i miracoli sono importanti per corroborare la fede, i discepoli presenti da quel momento in poi lo riconobbero definitivamente come il Messia, lo stesso Agostino affermerà, secoli dopo, “Non sarei cristiano senza i miracoli”. Va anche detto che l’esibizione degli effetti di un magnete gli fecero riconoscere in esso la presenza di Dio, ma torniamo alle nozze. La nostra attenzione si concentra intorno all’incipit dell’intera vicenda e rimando a specifiche esegesi per la vasta e complessa interpretazione di innumerevoli altri “segni e simboli”, il numero tre, le sei anfore e non sette, il settimo giorno ma quanti ancora, contenuti nel racconto di Giovanni: Maria, sposa per antonomasia, si accorge che i commensali “Non hanno più vino” e lo comunica al figlio. Non lo esplicita, ma lo esorta silenziosamente all’intervento, e qui la vicenda si complica: perchè Maria invita il figlio a “rivelarsi”, ad assumere il proprio destino, quello che lo porterà sulla croce e, infine, al termine di una atroce passione, di nuovo tra le sue braccia?

“Quid mihi et tibi, mulier?” (Che vi è fra te e me, donna?) è l’aspra replica del devoto figliolo. Intanto nemmeno la chiama madre e poi manifesta in maniera piuttosto esplicita il suo fastidio interrogandola su quale diritto le consenta tanto pernicioso ardire. Oltretutto pare che Maria stia affrettando il tempo del suo destino funesto, infatti Gesù aggiunge: “L’ora mia non è ancora venuta”. Comunque si risolve a ubbidire alla evidente volontà della madre anticipando un ben più esplicito “Sia fatta la Tua volontà”. Una volta piegatosi alle richieste della madre ecco che la stessa lo investe di un’enorme autorità, che, pertanto, è logico supporre Le appartenesse, se così non fosse stato perché mai il suo ordine ai domestici, “Fate tutto ciò che vi dirà”, sarebbe stato rispettato? Sarebbe interessante una riflessione alla luce di un passo di Marco 3,31,35 nel quale sono riportate le parole del Cristo: “Chi è mia madre? Il mondo è mia madre […]”, l’aspetto teologico, il ruolo del femminile alle radici del Cristianesimo, il dovere all’obbedienza diverrebbero temi rilevanti ma, mi sembra, molto più limitatamente, che solo rispettando le indicazioni di Maria, pungolatrice all’azione, si potranno realizzare addirittura le Sacre scritture così da consentire al Cristo di “divenire chi è” per dirla con Pindaro-Nietzsche, e poter sedere alla destra del Padre, finalmente divenuto il potente Dio che consentirà ai suoi fedeli di sconfiggere l’Impero Romano e sopravvivergli fino a oggi. Al termine della nostra passeggiata al femminile nella storia, il detto popolare di apertura assume ben altro significato e, forse, conferma la lettura filologicamente più accorta del libro del Genesi: il maschile è da intendersi come la parte fisica che, senza il femminile, permarrebbe anonimo nell’omogeneità indistinta, orfana della luce dell’io.

Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.

Autore
Il Vostro Giornale

Potrebbero anche piacerti