Donne d’Impresa: Ginevra Cerrina Feroni, Vice Presidente del Garante della privacy, sui rischi per le famiglie
- Postato il 19 ottobre 2025
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Donne d’Impresa: Ginevra Cerrina Feroni Vice Presidente del Garante della Protezione dei Dati Personali, Intelligenza Artificiale e privacy, l’alto rischio per le famiglie con lo sharenting, cyberbullismo e manipolazione del pensiero.
Incontriamo Ginevra al Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux in ricordo del centenario della nascita di Lelio Lagorio (1925-2025). Non a caso nella sua relazione, Ginevra Cerrina Feroni ci parla della “lezione che Lagorio ha dato a proposito del Governo delle Istituzioni come reale servizio e non come palcoscenico in cui primeggiano la misura nei toni e il rispetto della gerarchia delle fonti”.
Una tradizione che parla ancora al presente come sottolinea Ginevra Cerrina Feroni e non a caso durante questo interessante incontro a Firenze. A seguire gli interventi di Zeffiro Ciuffoletti, Riccardo Nencini ed Eugenio Giani. Era presente anche il Ministro degli Esteri Antonio Tajani che ha ricordato con affetto Lelio Lagorio, uno dei grandi, veri uomini del socialismo-riformista, era lui il così nominato “Ministro in grigio”.
Professoressa ordinaria di Diritto Costituzionale Italiano e Comparato del Dipartimento di Scienze Giuridiche nell’Università di Firenze, avvocata iscrittaall’Albo Speciale dei Professori Universitari, tra i vari e importanti incarichi che ha ricoperto, Ginevra Cerrina Ferroni è stata anche vice Presidente dell’Associazione italiana del Diritto Pubblico Comparato, con importanti ruoli direttivi anche nell’Associazione italiana dei Costituzionalisti.
La sua vita è stata e continua ad essere al servizio delle persone e del Bene Comune. Un’impresa non facile la sua, ancora oggi, quella di ricoprire l’incarico di Vice Presidente del Garante per la Protezione dei dati personali. Dov’è finita, infatti, la privacy a cui tutti tenevamo tanto, oggi che viviamo una straordinaria epoca di social media con la moda, purtroppo ormai così diffusa dello “sharenting”?
I rischi dei nuovi sistemi che raccolgono le informazioni senza consenso sono davvero un problema e grave pericolo per i bambini e le relative famiglie a dispetto di qualunque privacy che viene così naturalmente annullata. Come sottolinea Ginevra: «L’impatto dell’intelligenza artificiale sulla privacy e più in generale sui diritti fondamentali è enorme. In materia di privacy, le preoccupazioni principali sono legate alla vasta raccolta di dati, anche personali, dalla rete per addestrare questi sistemi senza il consenso degli interessati. Inoltre, gli ultimi sviluppi di queste tecnologie stanno portando a una profilazione dell’individuo senza precedenti e a forme inedite di manipolazione del pensiero».
Un campanello d’allarme, quello che Ginevra da tempo va denunciando ma che non tutti hanno voluto e sanno ascoltare e che mette a rischio la nostra vita e la sicurezza dei nostri dati personali. Per conoscerla meglio e di più e per sapere l’evoluzione e il percorso futuro di questa sua difficile impresa a difesa della nostra vita e della privacy, le abbiamo chiesto:
Il tema della sovraesposizione dei minori sui social, in particolare attraverso lo sharenting, è oggi una delle questioni più delicate in materia di protezione dei dati. I bambini crescono in una società dove la loro identità digitale si forma ben prima che abbiano consapevolezza di sé: già a pochi mesi di vita, molti hanno un’impronta online. Una ricerca dell’organizzazione inglese The Parent Zone ha rivelato che i genitori pubblicano quasi millecinquecento foto dei figli prima che questi compiano cinque anni, con una media di circa trecento immagini all’anno.
Il rischio è che queste immagini, una volta pubblicate, diventino parte di un flusso incontrollabile: possono essere copiate, manipolate dall’intelligenza artificiale o riutilizzate in contesti illeciti, anche pedopornografici. Secondo la Barclays Bank, il caricamento indiscriminato di contenuti multimediali concernenti i bambini sarà la causa dei due terzi dei furti di identità che i giovani dovranno affrontare entro la fine del decennio, ovvero 7,4 milioni di questi eventi ogni anno entro il 2030, per un costo di 667 milioni di sterline l’anno. Come non citare poi, i numeri, purtroppo in costante aumento di casi di pedopornografia online e di adescamento di minori da parte di adulti sul web.In Italia non esiste ancora una legge organica sullo sharenting, ma la disciplina si fonda su più strumenti normativi. Da un lato c’è il Codice privacy (d.lgs. 196/2003, come modificato nel 2018), che impone ai genitori di trattare i dati dei figli nel rispetto del principio di responsabilità e dell’interesse superiore del minore. Dall’altro, la Carta di Treviso, le regole deontologiche dell’Ordine dei giornalisti e la legge sul cyberbullismo (n. 71/2017) offrono strumenti di tutela e intervento, anche attraverso il Garante Privacy.
È inoltre attualmente in Parlamento una proposta di legge italiana che mira a disciplinare più chiaramente la condivisione online delle immagini dei minori e l’attività dei cosiddetti baby influencer. L’obiettivo è quello di stabilire regole di buon senso: limiti all’esposizione pubblica dei figli, obblighi di verifica per le piattaforme, e una maggiore tutela economica per i minori coinvolti in attività digitali remunerate, che spesso sfiorano vere e proprie forme di sfruttamento. È una proposta che si ispira, almeno in parte, al modello francese, dove già dal 2020 esiste una legge che regola orari, compensi e diritti dei minori la cui immagine viene utilizzata a fini commerciali online. In Francia, il legislatore ha voluto affermare un principio chiaro: i bambini non sono strumenti di marketing, ma soggetti titolari di diritti che prevalgono su ogni logica di visibilità o profitto.
Nel frattempo, il Garante continua a svolgere un ruolo di presidio e di educazione, anche con campagne di sensibilizzazione rivolte a genitori, scuole e piattaforme, perché la prima forma di tutela resta sempre la prevenzione: riflettere prima di postare, limitare la visibilità dei contenuti, evitare di rendere riconoscibili i volti dei bambini.
Le tutele oggi esistono, ma devono essere conosciute e utilizzate.
Per quanto riguarda il cyberbullismo, la legge n. 71 del 2017 ha introdotto un sistema specifico di protezione per i minori vittime di molestie e violenze online. La norma consente al minore, se ha più di 14 anni, di chiedere direttamente la rimozione, l’oscuramento o il blocco dei contenuti lesivi (ad esempio, foto e video). Se il gestore del sito o del social non interviene entro 48 ore, il minore può rivolgersi al Garante Privacy, che ha il potere di ordinare la rimozione immediata di tali contenuti.
Il Garante ha anche competenze specifiche in materia di pornografia non consensuale (revenge porn): l’art. 144-bis del Codice privacy, introdotto nel 2021, permette a chiunque, anche ai minori ultraquattordicenni, di rivolgersi direttamente all’Autorità per segnalare la diffusione o il rischio di diffusione di immagini intime senza consenso. Anche in questo caso, l’intervento del Garante è molto rapido.
Quanto allo sharenting, la tutela deriva in parte proprio da questi strumenti. Infatti, il Garante ha più volte chiarito che anche la pubblicazione inconsapevole di foto di minori da parte di genitori o parenti può configurare un trattamento illecito di dati, specie se le immagini espongono il bambino a rischi o ledono la sua dignità. In casi simili, il minore può agire, o farlo tramite il Garante, per chiedere la rimozione dei contenuti, analogamente a quanto previsto per il cyberbullismo. Abbiamo inoltre predisposto, come Autorità, una pagina tematica che può aiutare i genitori ad adottare una serie di accorgimenti in modo da ridurre i rischi per i propri figli.
Non credo che la privacy sia destinata a scomparire. Anzi, ritengo che la sua tutela diventerà sempre più decisiva, perché il controllo dei dati rappresenta già oggi una forma di potere.
Chi possiede, elabora e interpreta i dati ha la capacità di orientare i comportamenti individuali e collettivi, di condizionare le scelte economiche, sociali e perfino politiche delle persone.
Anche se non ce ne accorgiamo, in molti casi gli algoritmi determinano già se concederci o meno un mutuo, sulla base di un punteggio di affidabilità costruito non solo sui dati bancari, ma anche sulle nostre ricerche online o sui nostri post sui social network. Oppure, se siamo idonei o meno a essere valutati per un colloquio e successivamente assunti o, in casi estremi, licenziati, grazie ai sistemi automatizzati di selezione del personale che, analizzando i nostri profili digitali. O ancora, agli algoritmi che valutano la nostra propensione al rischio, stabiliscono se possiamo accedere a un sussidio pubblico o stipulare un contratto di assicurazione.
Dietro ogni decisione di questo tipo c’è un dato, e dietro ogni dato c’è una persona, con la sua dignità, le sue fragilità, la sua capacità di correggere una decisione o un comportamento sbagliato: in altre parole, con la sua libertà. È in questo spazio che si gioca la grande sfida del futuro: quella tra l’essere umano e la macchina, tra la trasparenza e l’opacità degli algoritmi.
La protezione dei dati, in questa prospettiva, non è più soltanto una questione di riservatezza, ma diventa una forma di garanzia democratica. Significa difendere il diritto di ciascuno a mantenere il controllo sulle proprie informazioni e sull’uso che ne viene fatto, impedendo che diventino strumento di discriminazione o di condizionamento. Perché chi controlla i dati controlla sempre più anche le opportunità, l’accesso ai servizi, le relazioni sociali, perfino la reputazione.
Eppure, mai come oggi si avverte il paradosso di una società che, in nome dell’innovazione e dell’efficienza, sembra disposta a barattare i diritti con la comodità. “Non ho nulla da nascondere” è la frase più pericolosa del nostro tempo, perché presuppone che la privacy sia utile solo a chi ha qualcosa da temere. In realtà, è esattamente l’opposto: la privacy serve a tutti proprio perché tutela la libertà di essere sé stessi, di cambiare, di non essere costantemente profilati, giudicati o previsti.
Ecco perché, a chi chiede se la privacy sia destinata a scomparire, rispondo che è destinata, piuttosto, a trasformarsi nella vera frontiera della libertà contemporanea: la capacità di ogni individuo di governare la propria identità digitale, di scegliere chi può accedere ai propri dati e per quali fini. Dunque, difendere la privacy significa difendere l’essere umano nel cuore stesso della rivoluzione tecnologica.
Per un Professore universitario, quale io sono, gli interessi e hobby si declinano in un termine: passione. E il lavoro che svolgo è esso stesso passione, non potendo per definizione essere mai un peso. Leggere, studiare, scrivere, formare i giovani, confrontarsi in un dibattito scientifico serrato e fare tutto questo di “lavoro”, è un privilegio assoluto. Potrei poi dirle del cinema, dove entro (da quando ero liceale)spesso e preferibilmente da sola per gustarmi anche due-tre film di seguito. Ne esco sempre arricchita e felice.
La parola che amo di più è libertà, gli spazi aperti, nuotare nel mare grandioso della Grecia o sciare nelle vette più alte che si confondono col cielo. Libertà di essere me stessa, soprattutto di pensare, spesso in modo non conforme alle retoriche da mainstream.
I sogni, per definizione, devono restare tali e protetti nella più profonda intimità perché svelandoli se ne perderebbe la magia e la poesia. Sennò che Garante della privacy sarei…
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