Dopo l’eruzione, Pompei fu riabitata: la città divenne una ‘favela’ romana
- Postato il 8 agosto 2025
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- Di SiViaggia.it
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Quando si pensa a Pompei, la mente riflette subito strade lastricate, domus eleganti, mosaici raffinati e affreschi dai colori vividi, cristallizzati dal tempo. L’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. l’ha resa una città eterna, sospesa in un istante. Ma una recente scoperta archeologica sta cambiando la storia: Pompei non morì del tutto dopo il disastro. Alcuni sopravvissuti tornarono a vivere tra le rovine fumanti, trasformandola in un insediamento di fortuna che, per molti versi, ricorda una “favela” ante litteram.
Oggi il Parco Archeologico di Pompei è Patrimonio UNESCO e attira milioni di visitatori ogni anno, desiderosi di passeggiare tra templi, domus, teatri e strade lastricate rimaste intatte. È un luogo dove storia e archeologia si fondono, testimoniando storie di splendore, tragedia e rinascita.
La scoperta che riscrive la storia
Gli scavi condotti nell’Insula Meridionalis, nella parte sud del Parco Archeologico, hanno riportato alla luce segni inequivocabili di una rioccupazione post-eruzione. Non si tratta di ricostruzioni sontuose, ma di adattamenti funzionali: ambienti ai piani superiori riutilizzati come alloggi di emergenza, pianterreni trasformati in cantine, spazi di lavoro dotati di forni e macine.
Gli archeologi parlano di un insediamento informale, dove si viveva in condizioni precarie, senza le infrastrutture e i servizi tipici di una città romana. Non la Pompei ordinata e prospera dell’epoca imperiale, ma un agglomerato grigio e improvvisato.
Secondo il direttore del sito, Gabriel Zuchtriegel, “la Pompei post-79 riemerge come una sorta di accampamento, una favela tra le rovine ancora riconoscibili della città che fu”. Un’immagine potente, che rompe la narrazione da cartolina e ci restituisce la realtà di un luogo sopravvissuto in modo disordinato e resiliente.

Chi abitava la “nuova” Pompei
Non sappiamo esattamente chi fossero gli abitanti di questa seconda Pompei. È probabile che molti fossero ex residenti che avevano perso tutto, tornati per recuperare ciò che restava o per coltivare la terra circostante. Altri potrebbero essere stati migranti, gente senza radici che vedeva nelle rovine un’opportunità di insediamento a basso costo.
Si ipotizza anche che alcuni vivessero lì per cercare oggetti di valore rimasti sepolti, un’attività che poteva rappresentare l’unica fonte di sostentamento in un contesto così estremo. La vita in questa Pompei ricostruita alla meno peggio doveva essere dura. Le strade erano coperte di detriti, gli edifici parzialmente crollati, l’acqua e le terme non più funzionanti.

Una storia che dura secoli
Al posto delle fontane pubbliche, cisterne improvvisate; invece dei mercati affollati, piccoli spazi domestici dove si panificava o si macinava il grano. Eppure, tra le macerie, questa comunità riuscì a creare un proprio ritmo, una quotidianità fragile ma reale, fatta di lavori manuali, ripari improvvisati e rapporti di vicinato.
Gli studi archeologici suggeriscono che questo insediamento di fortuna non fu un episodio passeggero. La rioccupazione di Pompei potrebbe essere durata fino al V secolo, quando un nuovo evento vulcanico, la cosiddetta eruzione di Pollena, portò all’abbandono definitivo. Ciò significa che Pompei, per quasi quattro secoli, non fu soltanto un sito “congelato” nel tempo, ma anche un luogo vissuto, seppure ai margini della società romana.