Dottor IA: la sanità entra nell’era delle macchine pensanti

  • Postato il 27 luglio 2025
  • Di Panorama
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Soli, davanti a uno schermo interattivo. Con visori tridimensionali e guanti hi-tech, guidati da un’Intelligenza artificiale, intenti a spostare organoidi costruiti in laboratorio all’interno dei nostri corpi, reali: novelli Tom Cruise, che nel film Minority report – del lontano 2002 – raccontava il nostro futuro robotico con decenni di anticipo. Stiamo esagerando, ma non troppo: i medici saranno – e già in parte sono – qualcosa di molto diverso dai camici bianchi che girano in corsia con lo stetoscopio al collo. Secondo l’ultimo rapporto su Il futuro delle professioni mediche e infermieristiche in Italia, appena diffuso da Randstad Research, che ha individuato le «47 professioni sanitare del futuro» – tra le quali cardiochirurghi specializzati in Ia, ingegneri di chirurgia robotica, tecnici per lastre in 3D e tante altre -, nei nostri ospedali nel giro di pochi anni serviranno figure ibride che coniughino medicina e bio-ingegneria, etica della cura e interpretazione degli algoritmi, le infinite possibilità delle intelligenze artificiali con l’arte dell’agire «in scienza e coscienza» senza demandare le decisioni a un robot.

In un Paese come il nostro – ma gli altri non sono piazzati meglio – dove la sanità è in affanno, i soldi non bastano mai e l’università è spesso talmente carente da non riuscire a formare nemmeno i medici di base, la sfida è ardua. Ma il futuro si avvicina, anche qui. Per esempio, nel caso del cancro: per cercare la cura giusta, su misura per ogni paziente, nei laboratori di ricerca di alcuni ospedali vengono già utilizzate creature avveniristiche, chiamate phantom.

«Il phantom è una “replica artificiale di un organo umano”, realizzata con materiali sintetici che ne riproducono fedelmente le proprietà biomeccaniche, come consistenza ed elasticità», spiega Alessandro Zerbi, responsabile della Chirurgia pancreatica di Irccs Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano). «Nel nostro caso, cioè quello del pancreas, sottoponiamo piccoli campioni dell’organo umano ad analisi ingegneristiche che ci danno la possibilità di realizzarne copie stampate in 3D. Su questi phantom, che poi vengono adattati ai casi clinici, è possibile simulare interventi chirurgici “su misura” per ogni paziente. Per esempio, ci permettono di capire prima di operare, in modo incredibilmente realistico, come quel pancreas – che varia da paziente a paziente e può essere più duro o più fragile – reagirà alle suture o ad altre procedure». Non hanno fatto tutto da soli, i medici di Humanitas: i risultati sono frutto della collaborazione con gli ingegneri del Politecnico di Milano, con i quali hanno condiviso mesi di lavoro per mappare le caratteristiche del tessuto pancreatico umano.

Si tratta di un procedimento che può essere replicato con altri organi, e non solo: al Gemelli Science and Technology Park di Roma è possibile sviluppare anche organoidi tumorali, modelli tridimensionali del tumore umano ottenuti da campioni chirurgici del paziente. A quel punto si “testano” le cure sulla copia, capendo come reagirà prima di sottoporre il paziente a trattamenti, magari invasivi.

Nel frattempo Microsoft, secondo quanto dichiarato all’inizio di luglio dal  capo della divisione Ia, Mustafa Suleyman, avrebbe compiuto «un grande balzo verso una superintelligenza nel campo medico», creando un sistema di Intelligenza artificiale chiamato Mai-DxO, capace di replicare il lavoro di un team sanitario, diagnosticando patologie con un’accuratezza dell’80 per cento, contro il 20 dei medici, e riducendo le spese grazie alla scelta di eseguire esami e procedure meno costose.

Davanti a tutto ciò, da noi c’è la frustrazione di sapere che l’organizzazione di università e ospedali – soprattutto pubblici – non è all’altezza delle sfide del futuro.  E le istituzioni cercano di correre ai ripari: poche settimane fa, la Federazione italiana delle aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso) ha istituito il primo Osservatorio italiano sull’applicazione dell’Intelligenza artificiale in sanità pubblica, per monitorare l’evoluzione tecnologica. Ma intanto c’è da lavorare sul sistema, sui processi e su alcune decisioni sbagliate prese dai precedenti governi. «Le norme con cui lavoriamo oggi sono pensate su un modello di sanità risalente a più di 20 anni fa. Ma oggi tutto è cambiato: le infrastrutture, i bisogni, la tecnologia» afferma il presidente di Fiaso, Giovanni Migliore. «Serve quindi il coraggio di rivedere ciò che non è più adatto».

Il pensiero vola al grande flop delle 1.288 Case di comunità, idea dell’ex ministro Roberto Speranza durante il governo Conte (costo approssimativo per l’attivazione: 2,8 miliardi di euro del Pnrr), che non si riesce né a ultimare né tantomeno a dotare di medici e infermieri. «Dobbiamo avere il coraggio di cambiare rotta, se necessario», conclude Migliore. «Se non servono muri, ma infrastrutture digitali, occorre riallineare le nostre decisioni alla realtà, e pure il personale va messo nelle condizioni di saper utilizzare strumenti nuovi». Ecco, le dolenti note: la formazione dei giovani medici e l’aggiornamento di chi sta già in corsia.

In un mondo ancora spesso dominato dai “baroni” universitari, non è semplice comprendere cosa serve alla sanità e tantomeno metterlo in atto, ma finalmente qualcosa sta cambiando.

Nel settore delle emergenze, per esempio: il Centro formazione medica di Roma utilizza la metodologia dell’American heart association per tenere in tutta Italia corsi pratici di rianimazione con simulazione avanzata della realtà attraverso manichini “smart”, che reagiscono esattamente come farebbe il nostro corpo, mentre all’Irccs Policlinico di Milano troviamo il primo centro in Italia a coprire l’intero percorso materno-infantile con simulazioni chirurgiche avanzate e software immersivi, portando – secondo le parole del direttore generale Matteo Stocco – la formazione medica nel metaverso, con esperienze didattiche in realtà virtuale.

Nascono pure nuovi percorsi di studio, pronti a formare figure che presto saranno indispensabili. Come nel caso del corso di laurea magistrale in Health informatics, nato dalla collaborazione tra Università Vita-Salute San Raffaele e Politecnico di Milano, che per primo in Italia forma professionisti in grado di integrare capacità da computer scientist con le conoscenze del contesto sanitario. «Vogliamo portare l’Intelligenza artificiale al letto del paziente», dice il professor Antonio Esposito, ordinario di Radiologia e coordinatore del corso. «I nostri studenti non lavorano solo in laboratorio o su dati simulati, sono immersi nei casi reali, in corsia: questa è una rivoluzione. Abbiamo creato il centro di ricerca “AI Hub San Raffaele”, che è fisicamente all’interno del campus e dell’ospedale, così sviluppiamo soluzioni di intelligenza artificiale dove davvero servono: vicino ai pazienti. Qui il nuovo medico integra competenze di Ia e l’informatico capisce come applicarle alla pratica clinica».

Certo è che tutto questo futuro che corre così veloce da non permetterci di stare al passo, pone anche problemi etici. «Oggi il paradigma della professione sanitaria ruota attorno a tre capisaldi: sapere, saper fare e saper “essere”, quindi avere conoscenza, avere capacità manuali, e saper costruire la relazione umana», spiega Guido Bertolini, capo del Dipartimento di Ricerca epidemiologia medica dell’Istituto Mario Negri, che sta portando avanti tra le altre cose un progetto finanziato da Horizon Europe che mira a utilizzare l’Intelligenza artificiale per promuovere la ricerca in Pronto soccorso. «Tutto questo non basta più: in futuro servirà il quarto pilastro, quello del “saper sapere”. Una conoscenza metacognitiva di secondo livello, che il medico deve sviluppare per gestire le nuove tecnologie di Ia e riuscire a collaborare con loro: e a dominarle con la forza della propria etica ed esperienza».

Per riuscire, per esempio, in caso di diagnosi dell’Ia con la quale non si è d’accordo, magari perché l’occhio clinico ti dice che stai sbagliando, a contestarla e a difendere la tua tesi. Perché la potenza è nulla senza controllo. Era uno spot di più di trent’anni fa: oggi è il filo d’Arianna che deve permettere ai nostri medici di non smarrirsi mai tra le righe di un prompt.

Autore
Panorama

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