Droni, bombe plananti e carri armati: il dilemma della Nato sulle armi del futuro
- Postato il 21 agosto 2025
- Di Panorama
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Le forze armate di tutto il mondo e tra queste quelle della Nato stanno cercando di capire dal conflitto tra Russia e Ucraina come stiano evolvendo la tecnologia e la dottrina del combattimento. Dopo le tante missioni all’estero in ambiente desertico degli anni Novanta e Duemila, dal febbraio 2022 a oggi l’attenzione si è spostata su come vengono usate nuove e vecchie armi nello scenario ai confini dell’Europa. Per esempio, si è avuta la massima conferma che un apparato di intelligence e analisi dei territori porta vantaggi sempre più importanti a chi ne dispone. Ma anche che armi da poche centinaia di dollari, fatte con piccoli droni commerciali modificati, possono neutralizzare carri armati del costo di milioni.
Da questo una domanda: i droni hanno sostituito le armi tradizionali come carri armati e artiglieria? Rispondendo affermativamente si rischia di commettere un errore poiché i Paesi che possono integrare i droni con le armi convenzionali avranno un vantaggio rispetto a quelle che faranno affidamento su masse di droni a scapito della loro potenza di fuoco tradizionale. Per la Nato le implicazioni non sono soltanto tattiche: l’Alleanza sta ricostruendo i suoi eserciti dopo quasi trent’anni di tagli agli investimenti militari, ma ora che i soldi ci sono, il problema è dove allocarli per ottenere il massimo beneficio in futuro. L’errore è in agguato e a farlo è spesso la politica, la quale pensa che se i robot sono il futuro, non ha senso costruire nuovi carri armati né altri sistemi tradizionali. Ma tale deduzione è errata per varie ragioni, anche se consente di costruire un numero maggiore di ordigni e di usarli abbattendo il numero di perdite umane in combattimento. In Europa resta molto da fare in termini di apparati per la guerra elettronica, oggi appannaggio di Usa e Israele, specialmente per la componente aerea di questa disciplina, nella quale assetti da decine di milioni di dollari già oggi interagiscono con altri più economici. Ne è dimostrazione quanto recentemente avvenuto a titolo sperimentale negli Usa, dove un caccia F-35 ha “sfruttato” un piccolo drone quadricottero per dirigerlo e mandarlo colpire il suo obiettivo, riuscendo perfettamente nella missione.
Ma il pericolo costituito dai droni di piccole dimensioni è ormai riconosciuto e mitigato da tutti gli eserciti, come dimostrano per esempio i metodi utilizzati proprio dai russi in Ucraina con l’apposizione di ampie reti che impediscono il contatto intrappolando le piccole eliche – le producono i cinesi con materiali poco visibili – e lo schieramento di misure anti-drone basate su disturbi radio. La successiva contro-contromossa è quindi basata sulla quantità, ovvero nella creazione di sciami di droni abbastanza numerosi da superare le protezioni per sfondamento o saturazione. Ed anche se l’impatto di questa tecnologia in un ambiente di battaglia ancora basato sulla creazione di campi minati, di artiglieria e sul lancio di razzi è stato sconvolgente, una forza armata che non potesse più utilizzare armi “tradizionali” con continuità sarebbe limitata. Ne consegue che si può pensare agli sciami di droni come aggiunta alle armi convenzionali ma non per sostituirle. In Ucraina, da ambo le parti i droni in battaglia fanno ricognizione, paralizzano le manovre dei mezzi pesanti perché li scovano, costringono truppe e veicoli a rimanere al riparo e fortificati rallentandone l’azione. E in più possono colpire. Esemplare, in questo senso, è stata l’operazione che ha visto utilizzare droni russi con visuale in prima persona (Fpv), guidati da cavi in fibra ottica, quindi non soggetti a disturbi radio, colpire le linee di rifornimento ucraine. Tuttavia, se si osserva ciò che è accaduto sul lungo periodo, i droni ucraini hanno certamente rallentato l’avanzata russa ma non sono mai stati in grado di fermarla perché i soldati di Mosca avanzano dietro bombardamenti intensi e dopo aver usato bombe plananti, ovvero ordigni che rimangono in volo per un tempo sufficiente fino a trovare il momento e il luogo giusti per andare a segno. I guadagni sul terreno sono scarsi e il costo è enorme, ma l’Ucraina non ha sufficienti risorse umane nè armi tradizionali a sufficienza per sconfiggere definitivamente gli aggressori. Non è un caso che i generali ucraini chiedano armi tradizionali come i missili Atacms, i sistemi ad alta mobilità (Himars), i proiettili di artiglieria e i missili anticarro nelle rispettive varianti guidate, poiché più precise e quindi efficaci.
L’uso dei piccoli droni è ormai noto anche in chiave di esca a basso costo e di kamikaze; se in gruppo possono saturare i radar della difesa aerea impedendo di distinguere i bersagli costringendo chi si difende a impiegare intercettori costosi che altrimenti prenderebbero di mira missili e razzi. Nella Nato la tendenza è quella di voler utilizzare maggiormente bombe plananti al posto dei droni. Sebbene siano più costose, lo sono meno dei missili guidati: una bomba Jdam costa da 25.000 a 35.000 dollari, mentre un missile Atacms supera il milione. E’ opinione di molti analisti che la Nato dovrebbe usare i droni per aumentare i suoi punti di forza esistenti come la precisione e la possibilità di agire insieme ad assetti aerei e terrestri, e non è un caso che tutti i maggiori programmi esistenti al mondo per caccia di nuova generazione, come Gcap, Fcas, e quelli per l’ammodernamento di velivoli esistenti come il francese Dassault Rafale, non possano prescindere dalla possibilità di compiere attacchi insieme con droni a loro asserviti.