Ducati 996 del 1999, ancora nell’imballo originale: venduta a 63mila euro
- Postato il 25 agosto 2025
- Moto
- Di Virgilio.it
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C’è qualcosa di profondamente bizzarro in una moto che non ha mai percorso la strada per cui è nata. Una Ducati, poi. Un nome che evoca scarichi tonanti, ginocchia sull’asfalto e motori Desmo urlanti. Vederne una chiusa in una cassa di legno per 26 anni, ancora imballata come fosse un bene rifugio, provoca lo stesso brivido di una sinfonia mai suonata. O peggio, mai ascoltata.
La protagonista di questa storia non è un’esagerazione futuristica né un prototipo da salone. È una Ducati 996 SPS del 1999, uno degli ultimi tributi al glorioso motore Desmoquattro prima che l’era Testastretta prendesse il sopravvento. Una vera superbike di razza, costruita per vincere, ma che invece è rimasta ferma, come un animale da corsa mai liberato dal recinto.
Svezia, Padova, poi di nuovo altrove
Consegnata in Svezia alla fine del secolo scorso, questa Ducati non ha mai lasciato la sua cassa originale. Il legno con la scritta “DUCATI” in stampatello, il cellophane protettivo, le componenti ancora da montare. Tutto è rimasto lì, come cristallizzato. Solo nel 2023 la moto è tornata in Italia, precisamente a Tombolo, in provincia di Padova. Neanche il ritorno in patria è però servito a darle ciò che merita: il rombo della prima marcia inserita, la scalata in staccata e la danza sul misto.
Messa all’asta su Bring A Trailer, ha trovato un nuovo padrone per 63.000 euro. Una cifra più che doppia rispetto al valore medio di una 996 SPS usata. Eppure, a giudicare dal resto degli acquisti di “livestudio” – questo il nome dell’acquirente – non è un caso isolato. Lo stesso mese ha comprato una Ferrari 456 GT Speciale del Sultano del Brunei, un set di valigie personalizzate, e una rarissima Jaguar XJ220-N da corsa. Totale? 747.400 euro. Più che un collezionista, sembra un curatore di museo privato.
Una moto fatta per vincere
La 996 SPS non era una Ducati qualsiasi. Solo 2000 esemplari nel mondo, tutti nati con un solo scopo: portare la sportività stradale al confine del Mondiale Superbike. Telaio leggero, componenti in carbonio, cerchi Marchesini a cinque razze, scarichi Termignoni in fibra, e una centralina Eprom dedicata. Non bastasse, il motore erogava 123 CV, con un cambio ravvicinato che implorava la guida sportiva.
Questo esemplare, numero 181, è praticamente un neonato. Due chilometri all’attivo, quelli del collaudo in fabbrica. Con sé porta ancora il telo coprimoto, il kit attrezzi, i retrovisori mai montati, persino una staffa per il faro. Tutto in perfetto ordine. Tutto terribilmente sterile.
Il dilemma del collezionismo moderno
Il collezionismo era una passione. Oggi, in molti casi, è diventato una bolla speculativa. Le auto e le moto non si usano più, si immobilizzano. Oggetti che dovevano generare adrenalina vengono ridotti a feticci imbalsamati. Il tempo, che dovrebbe renderli più saggi e vissuti, viene congelato artificialmente, nella speranza che un domani qualcuno paghi di più per il fatto che nessuno ha osato accenderli. Ma una Ducati non è una tela, né tanto meno una statua. Tenerla in gabbia è un tradimento romantico, prima ancora che meccanico.
Chissà cosa ne sarà della 996 SPS numero 181. Finirà in un salotto come scultura post-industriale? Resterà in un caveau, in attesa del prossimo rialzo dei prezzi? O magari, un giorno, qualcuno strapperà via il cellophane, monterà gli specchietti, la registrerà, e la porterà — finalmente — a sfiorare l’asfalto del Passo della Raticosa? La terremo d’occhio, sperando che possa scatenare tutto il suo potenziale su una bella lingua d’asfalto.