Due anni di conflitto a Gaza: l'orrore è nei numeri
- Postato il 8 ottobre 2025
- Estero
- Di Agi.it
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Due anni di conflitto a Gaza: l'orrore è nei numeri
AGI - La sera dell'8 ottobre 2023, all'indomani del devastante attacco di Hamas, costato la vita a 1.200 persone, il governo israeliano proclama formalmente la guerra al gruppo militante palestinese. Per la Striscia e i suoi due milioni di abitanti si aprono le "porte dell'inferno" promesse da Israele: da allora, sull'enclave palestinese piovono quasi ininterrottamente bombe, mentre l'esercito lancia un'invasione di terra massiccia, che costringe centinaia di migliaia di persone a sfollare.
Due anni dopo, Gaza è ridotta a un ammasso di macerie. Il bilancio parla di almeno 67mila morti e più di 168mila feriti, tra cui un gran numero di amputati. Tra le vittime, ci sono almeno 20.000 bambini. Per la direttrice esecutiva di Unicef, Catherine Russell, sono 64.000 quelli uccisi o mutilati, tra cui almeno un migliaio di neonati.
L'entità della distruzione a Gaza
Non c'è praticamente un solo edificio integro in tutta la Striscia. Secondo l'Ocha (l'ufficio per gli Affari Umanitari dell'Onu), il 92% degli edifici residenziali e l'88% di quelli commerciali sono stati danneggiati o distrutti. I dati Unosat, in base alle immagini satellitari, indicano che almeno il 78% del totale delle strutture ha subito la stessa sorte. Medesimo destino per l'89% della rete idrica e igienico-sanitaria, hanno denunciato a luglio esperti dell'Onu. La quasi totalità degli istituti scolastici (92%) deve essere ricostruita. Nelle ultime settimane l'Idf ha fatto saltare in aria le poche torri e grattacieli ancora in piedi.
Detenzioni e violenze in Cisgiordania
Quasi 11mila palestinesi sono attualmente detenuti nelle carceri israeliane, tra cui 450 bambini e 87 donne, fermati dall'Idf in raid a Gaza o in Cisgiordania, dove le violenze ai danni dei palestinesi si sono impennate per mano dei coloni, tra l'impunità generale e l'aperto sostegno degli esponenti dell'estrema destra messianica che siedono nel governo israeliano. Almeno 3.629 palestinesi sono trattenuti in detenzione amministrativa che non richiede né accuse né processo.
Nel mirino delle forze armate israeliane sono finiti anche ospedali, scuole e campi profughi, accusati spesso dall'esercito di essere usati da Hamas per farsi scudo di civili che pagano un prezzo altissimo. Secondo un conteggio di Al Jazeera, almeno 125 strutture sanitarie sono state danneggiate, inclusi 34 ospedali, lasciando i pazienti senza accesso ai servizi medici essenziali. Almeno 1.722 operatori sanitari e umanitari hanno perso la vita, una trentina i medici detenuti dall'Idf, portati via dagli ospedali.
Il caso del dottor Hussam Abu Safiya
Tra di loro, Hussam Abu Safiya, direttore del Kamal Adwan, a Beit Lahiya, nel nord di Gaza, arrestato nel dicembre 2024 e da allora rinchiuso nella prigione militare di Ofer senza accuse. L'ultima foto che lo ritrae in camice bianco mentre cammina tra le macerie della struttura verso un carro armato israeliano ha fatto il giro del mondo ed è diventata una delle tante testimonianze dell'orrore che avviene a Gaza.
Testimonianze che costano il sangue dei giornalisti palestinesi, letteralmente. Gaza è off-limits per i reporter stranieri, tranne rarissimi casi in cui vengono portati 'embedded' dall'Idf. Sono i giornalisti, fotografi e cameraman locali che da due anni rischiano la vita e quasi 300 l'hanno perduta, per raccontare quello che avviene.
Emergenza umanitaria: fame e carestia
Oltre alla mancanza di acqua, medicine e rifugi dove ripararsi dai bombardamenti incessanti - l'idea di una 'zona umanitaria' nel sud di Gaza è una "farsa", non esiste un luogo sicuro a Gaza, ha denunciato a inizio mese il portavoce dell'Unicef, James Elder - nella Striscia si è diffusa anche la fame, con l'Onu che a fine agosto ha certificato la carestia.
Secondo dati del ministero della Salute gestito da Hamas, citati da Al Jazeera, sono almeno 495 coloro che hanno perso la vita per mancanza di cibo e di questi 154 sono bambini. Quasi un bambino su quattro soffre di malnutrizione grave. Almeno 2.600 palestinesi sono morti mentre cercavano di accaparrarsi un pacco di aiuti umanitari, che entrano con il contagocce e sono distribuiti da maggio dalla controversa Gaza Humanitarian Foundation, creatura israelo-americana che gestisce una serie di centri nella Striscia e che ha rivendicato di aver fornito finora quasi 183 milioni di pasti.
Accuse di genocidio e mobilitazione globale
Un orrore inimmaginabile contro il quale si levano sempre più voci nel mondo, soprattutto dalla società civile che è scesa in massa in strada nelle ultime settimane chiedendo che si metta fine alla guerra. Per la prima volta, lo scorso mese, una commissione internazionale indipendente dell'Onu ha affermato che Israele ha commesso un genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza e ha esortato il governo di Tel Aviv ad adempiere agli obblighi legali previsti dal diritto internazionale per porvi fine e punire i responsabili.
Il riconoscimento dello Stato di Palestina
Nel tentativo di fare pressione su Israele e riportare al centro del dibattito la soluzione politica dei due Stati, a fine settembre a margine dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite diversi Paesi occidentali - in primis Francia, Regno Unito, Canada e Australia - hanno riconosciuto ufficialmente uno Stato di Palestina, sottolineando al contempo che Hamas non debba fare parte del futuro dei palestinesi.
La mossa ha suscitato l'ira del premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha minacciato l'annessione di parti della Cisgiordania come risposta. Questa è una linea rossa da non superare, hanno avvertito gli Emirati arabi uniti, tra i principali firmatari insieme a Bahrein e Marocco degli Accordi di Abramo con i quali nel 2020 sono state normalizzate le relazioni diplomatiche ed è stata avviata una cooperazione in diversi settori, come difesa, commercio e turismo.
Le tregue e la ricerca di un cessate il fuoco
Se le due tregue decretate finora - una nel novembre 2023, durata una settimana, e una seconda proseguita per due mesi tra gennaio e marzo 2025 - hanno dato un po' di fiato alla popolazione della Striscia e permesso il ritorno a casa di 146 ostaggi israeliani, insieme a 58 corpi, ora la comunità internazionale è al lavoro per un cessate il fuoco definitivo e il rilascio di tutti e 48 i rapiti (tra vivi e morti) ancora nelle mani di Hamas.
Il piano Trump e i negoziati di Sharm el-Sheikh
Questo è l'obiettivo primario del piano in 20 punti presentato il 29 settembre dal presidente americano Donald Trump e sul quale sono in corso negoziati indiretti a Sharm el-Sheikh che coinvolgono Usa, Egitto e Qatar come mediatori. Quest'ultimo importante attore regionale è tornato in campo dopo una sospensione degli sforzi in seguito all'attacco senza precedenti lanciato da Israele a Doha contro la dirigenza di Hamas il 9 settembre.
Proprio questo raid ha paradossalmente ridato slancio all'iniziativa diplomatica e, sebbene entrambi obtorto collo, Israele e Hamas sono ora impegnati a negoziare i termini di un accordo che nelle intenzioni di Washington è potenzialmente più ampio e riguarda il futuro della regione. Dall'Egitto finora sono arrivati segnali incoraggianti e la speranza è che si giunga alla fine del conflitto e si apra una nuova pagina per i palestinesi e gli israeliani, in un Medio Oriente profondamente cambiato.
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