Due ricercatori italiani hanno ricostruito il codice degli scafisti, che utilizzano social ed emoticon
- Postato il 1 ottobre 2025
- Cronaca
- Di Il Fatto Quotidiano
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Hanno creato con l’Ai un agente provocatore – Aboubacar Moussa, un giovane nigerino di 23 anni, originario di Zinder – programmato per interagire passivamente e attivamente in ambienti digitali considerati strategici per la “costruzione dell’immaginario migratorio”: da Facebook a TikTok e YouTube, in lingua hausa e francese. Una “infiltrazione immersiva e controllata” in gruppi pubblici e semi-aperti, per mappare le reti relazionali e i nodi informativi, identificare contenuti manipolatori, messaggi di disinformazione o promozione delle tratte illegali. L’obiettivo: ricostruire le “traiettorie digitali” di un ipotetico migrante durante la fase pre-partenza. Così un dottore di ricerca dell’Università della Tuscia, Michele Empler, e un ricercatore della statale di Milano, Livio Calabresi (in un progetto coordinato dal professore Alessandro Sterpa dell’Università della Tuscia e finanziato dal ministero degli Affari Esteri) raccontano di aver identificato finalmente il “codice degli scafisti” sui social network, fatto per lo più di emoticon e foto che lasciano immaginare viaggi sicuri e una vita agiata all’arrivo. Tutto in gruppi alla luce del sole, con anche oltre il milione di utenti e aperti da più di sette anni. La maggior parte delle spinte emigratorie resta legata alle condizioni di partenza o alle violenze lungo le rotte, e i rischi del viaggio sono spesso già noti. Le Agenzie Onu ammettono infatti che l’effetto delle campagne di informazione è stato finora limitato. Decifrare il linguaggio dei trafficanti potrebbe migliorane l’efficacia, oltre a fornire strumenti di contrasto, compresi quelli investigativi e giudiziari.
Il ruolo dei social. Gli autori dello studio hanno raccolto milioni di dati online e anche offline attraverso questionari negli hotspot. Si sono accorti che, per aggirare i controlli, gli scafisti che promuovono le traversate ricorrono alle emoji, ma pure a “infografiche, bandiere, mappe stilizzate, simboli meteorologici o motori” sempre per aggirare i sistemi di monitoraggio automatico e, inoltre, per abbattere le barriere linguistiche tra parlanti di dialetti o lingue differenti. Servono poi a “veicolare narrazioni ingannevoli senza dichiararle apertamente, offrendo immagini o suggerimenti che, pur non contenendo affermazioni esplicitamente false, inducono una lettura fuorviante della realtà migratoria”. Si tratta, in altre parole, di una forma di “disinformazione implicita, fondata sull’interpretazione visiva più che sull’affermazione testuale”. Disinformazione che è il cuore dell’intero progetto di cui fa parte lo studio. Insomma, una trappola psicologica semplificata.
I post su Facebook. Lo studio contiene decine di esempi: “In un post Facebook di un trafficante vengono offerte rotte verso l’Italia da vari paesi (Turchia, Algeria, Sudan, Tunisia) a pagamento, con l’uso di immagini di barche che suggeriscono una traversata facile e sicura, dando l’idea che basti arrivare per essere automaticamente accolti”. I trafficanti promettono “passaggi sicuri” quasi fosse un servizio turistico. “Sempre su Facebook proliferano offerte che pubblicizzano traversate in barca ‘sicure’ o addirittura voli, corredate da immagini ingannevoli (navi da crociera di lusso, finte testimonianze di successo). “Vengono proposti ‘pacchetti’ allettanti – si legge – come ‘i bambini viaggiano gratis’ per far credere che anche famiglie e minori non incontreranno ostacoli”. Poi, i racconti di “successi fulminei”: video e foto su TikTok o YouTube mostrano migranti africani in Europa con auto di lusso o telefoni costosi. Una delle fake news più diffuse è quella del denaro facile: “C’è chi crede (perché così gli è stato detto) che ‘appena arrivi in Europa, il governo ti dia dei soldi di benvenuto’. In particolare, una bufala ben documentata è la voce secondo cui “ogni rifugiato riceve 2.000 euro al suo arrivo’”.
Le emoticon. Si sono anche accorti che invece di scrivere esplicitamente “viaggio in barca dalla Tunisia all’Italia”, un post su Facebook o Instagram potrà contenere una sequenza di emoji di bandiere nazionali e mezzi di trasporto, accompagnata magari da poche parole chiave. “Abbiamo osservato su una pagina denominata emblematicamente ‘Haraga Europa’ l’uso intensivo di stringhe di emoji per raccontare gli esiti delle traversate, una barca, seguita da un’onda o da un nuotatore e poi dalla bandiera di un paese europeo indicano il viaggio per mare verso quella destinazione”. Volti sorridenti con cuori simboleggiano sbarchi riusciti e lieto fine, mentre faccine tristi o cuori spezzati alludono a viaggi finiti in tragedia o a naufragi. “Persino concetti come la clandestinità vengono codificati: l’emoji del fantasma o del ninja”. Sulle piattaforme video come TikTok, è comune trovare didascalie composte da hashtag di località (es. #Alger, #Tripoli, #Lampedusa) combinati con emoji di navi e autobus, “creando un racconto multilingue immediatamente comprensibile. Un giovane hausa del Niger e un coetaneo arabo tunisino riconosceranno entrambi il significato di una sequenza pur chiamando il viaggio con nomi diversi nelle loro lingue”.
Il progetto. “Volevamo scoprire quale sia la disinformazione che circola attorno alle migrazioni dalla fascia del Sahel all’Ue, con l’Italia come target” spiega al Fatto Michele Empler. Il problema era entrare nel sistema. “Abbiamo utilizzato i questionari negli hotspot, poi scandagliato internet con un algoritmo che aveva il compito di raccogliere i numeri e l’Ai ci ha infine permesso di interpretare i dati, di identificare le parole chiave e trovare i canali giusti. Pensavamo fossero nascosti e invece erano lì, sui social, alla luce del sole”. L’analisi del codice, però, produceva degli errori in alcuni punti. “Ci siamo accorti che aveva difficoltà a interpretare le emoji: non avevamo messo in conto che potessero essere utilizzate proprio per non essere intercettate. Una volta inserite nel codice, si è aperto un mondo”. E questa scoperta, ora, potrebbe essere utile per indagini e anche per migliorare i sistemi di controllo.
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