È luglio da sei mesi: il tempo si dilata, le città si svuotano, il calore scivola
- Postato il 26 luglio 2025
- Di Il Foglio
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È luglio da sei mesi: il tempo si dilata, le città si svuotano, il calore scivola
Siamo arrivati. E’ l’ultimo miglio, luglio ha solo un’altra settimana scarsa, ma è uno scherzo del calendario. Qui sembra estate piena da mesi, l’estate di tutti, tranne che la nostra. Le città si svuotano in modo disordinato, è un addio a pezzi e a nevrosi. A Milano non si vedono più quei turisti coi cappelli di paglia, resta qualche americano curioso, i tedeschi con le stesse ciabatte che prendevamo in giro vent’anni fa, “si può stare comodi al prezzo di quella bruttezza?” – e si sghignazzava. Ora quelle ciabatte le portiamo anche noi, qualcuno anche in inverno con i calzini, sentendosi urbano e blasé. Sarà senz’altro la metafora di qualcosa, ma è fine luglio, non ci sono le forze per i sottotesti della vita. Per strada furgoni che consegnano pacchi, centinaia di pacchi di chi compra online, capitalismo tardo notturno, e non ci serve niente. In centro vagolano arabi per negozi, entrano, solo loro, il portiere chiude tutto il palazzo, e comprano, quanto comprano. E poi i pendolari, e i sopravvissuti alle ferie degli altri. I semafori parlano a vuoto, pare un allestimento per un film che non si fa.
Chi rimane prova a usare bene il tempo, non si rassegna a buttare il pil ai lupi, ma negli uffici competenti che dovrebbero collaborare a questi ultimi scatti di senso civico non risponde nessuno, dai solo fastidio – “non hai niente da fare, a luglio, che lavori? Sei così disperato?” – questo direbbero certe segreterie telefoniche, se potessero parlare. Ci si inventano così mestieri provvisori per occupare il tempo: riordinare file, anticipare i compiti di settembre, mandare mail educatissime che non scocciano e non chiedono niente. Sono gesti italiani estivi che non portano da nessuna parte, si fa melina tra sé e sé, un formalismo collaudato con lo scopo di fingere che non siamo immobili, che esista ancora la possibilità che accada qualcosa. Non accade niente, si deve solo far passare il tempo, come in prigione. Fuori il calore scivola ovunque. Strade larghe, più larghe del solito, tramonti di tre ore che non interessano a nessuno. I bar sembrano i bar del paese anche nelle strade di lusso, compaiono le Luisone in vetrina, chi le riconosce le riconosce, per gli altri non si sa che fare. Ogni tanto si sente un motorino lontano, poi di nuovo silenzio. Le città di luglio sono piene di pause, di buchi tra i suoni, restano le zanzare affamatissime, e ci pungono di più, perché siamo pochi e bisogna dissanguare chi capita. E’ Luna e Gnac, la fine di luglio. Venti secondi d’estate e venti secondi di vita normale.
“La notte durava venti secondi, e venti secondi il Gnac. Per venti secondi si vedeva il cielo azzurro variegato di nuvole nere, la falce della Luna crescente dorata, sottolineata da un impalpabile alone, e poi le stelle che più le si guardava più infittivano la loro pungente piccolezza, fino allo spolverio della Via Lattea, tutto questo scritto in fretta in fretta, ogni particolare su cui ci si fermava era qualcosa dell’insieme che si perdeva, perché i venti secondi finivano subito e cominciava il Gnac. Il Gnac era una parte della scritta pubblicitaria ‘SPAAK-COGNAC’ sul tetto di fronte, che stava venti secondi accesa e venti spenta, e quando era accesa non si vedeva nient’altro” (I. Calvino, Marcovaldo). E allora l’attesa diventa il lavoro: aspettare che il mese finisca, aspettare le vacanze, aspettare di vedersi meno pallidi e molli, aspettare di non far niente, ma con l’autorizzazione del mondo. Ma più vuoi che il tempo passi, più quello ristagna e si allunga come un elastico vecchio, ancora e ancora, poi ti si rompe in mano e si sbriciola. Che giornate enormi, queste, come fanno a essere così piene di niente? Sorrisi di compagnia ovunque, si diventa più gentili, da rassegnati.
L’unica cosa che stiamo perdendo è la sensazione che il tempo abbia un verso. Il futuro pare non esista e il passato non serve: resta solo un tempo che appiccica e dà fastidio, una cosa enorme e senza forma. E’ questo il presente, un acquario? E’ questo l’attimo fuggente che dicono di prendersi e apprezzare perché fugit irreversibile? Ma dove fugge se non si muove, è inchiodato? Questa è la parte migliore della vita, l’attesa, quel che dicono di godersi? E come fai a godertela? E’ come stare su un materassino che galleggia in una palude. Meno male che agosto sta per arrivare. E cambierà tutto, manca solo una settimana. Vivremo più veloce, più vicini alle cose azzurre. Magari ci innamoriamo all’improvviso, potrebbe essere l’estate buona, non distraiamoci.