È morto Gianni Berengo Gardin, il fotografo che ha fatto dell’occhio un mestiere

  • Postato il 7 agosto 2025
  • Fotografia
  • Di Artribune
  • 1 Visualizzazioni

Amava definirsi fotografo artigiano, Gianni Berengo Gardin, con riferimento all’esigenza – e alla capacità – di narrare il suo tempo con “verità”, applicando uno sguardo attento e una tecnica consolidata in oltre settant’anni di carriera (“vera fotografia” è la formula con cui ha timbrato le sue stampe autografe, mai manipolate, negli ultimi decenni di lavoro, perché il digitale, sosteneva, “non fa per la fotografia documentaristica”). “Il mio lavoro non è assolutamente artistico e non ci tengo a passare per un artista” ribadiva “L’impegno stesso del fotografo non dovrebbe essere artistico, ma sociale e civile”.

Traghetto di Punta della Dogana, Venezia, 1960 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia Milano / Contrasto Roma
Traghetto di Punta della Dogana, Venezia, 1960 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia Milano / Contrasto Roma

Gianni Berengo Gardin e la fotografia come documento

Classe 1930, nato il 10 ottobre a Santa Margherita Ligure, Berengo Gardin scompare all’età di 94 anni; è stato maestro del bianco e nero, applicato alla fotografia di reportage e di indagine sociale, dal dopoguerra al tempo presente. Un lavoro di documentazione – perché la fotografia è per lui, innanzitutto, documento – che non ha mai rinunciato al filtro dell’ironia e all’incursione di dettagli spiazzanti nella composizione. Sempre devoto alla centralità dell’uomo che abita uno spazio sociale, esaltata dall’approccio narrativo del fotografo alla descrizione del contesto, dei fatti della collettività.
Berengo Gardin inizia a fotografare nel 1954, scegliendo come centro d’elezione la città di Milano, dove apre il suo studio, luogo di riflessione ed elaborazione. Il periodo di formazione (dopo una parentesi parigina, in cui fu anche “portaborse” di Doisneau), però, lo trascorre a Venezia, città a cui sente di appartenere (per discendenza paterna): in Laguna si avvicina, giovanissimo, al circolo fotografico La Gondola; e tornerà a più riprese, passando per la contestazione alla Biennale del 1968, fino al progetto sulle grandi navi datato 2013.
A Milano la sua carriera decolla: collabora con numerose riviste tra cui Il Mondo di Mario Pannunzio (tra il 1954 e il 1965, con oltre 260 fotografie pubblicate) e le maggiori testate giornalistiche italiane e straniere come Epoca, Domus, Time, Le Figaro, Stern. L’approccio alla poetica del fotoreportage è mediato, all’inizio degli Anni Sessanta, da un contatto con Cornell Capa (fratello di Robert), che gli fornisce alcuni libri dei fotografi delle agenzie Life e Magnum. Ma il suo lavoro, meticoloso e attento alla vita quotidiana, sarà molto richiesto anche nel mercato della comunicazione d’immagine.

Gianni Berengo Gardin, Bologna, 1990
Gianni Berengo Gardin, Bologna, 1990

I libri e le mostre di Gianni Berengo Gardin

E ingenti sono i numeri della sua attività espositiva ed editoriale. Protagonista di oltre trecento mostre personali in Italia e all’estero (tra cui le antologiche di Arles (1987), Milano (1990), Parigi (1990) e di New York alla Leica Gallery (1999), ricordando più di recente Palazzo Reale a Milano (2013), l’antologica del MAXXI nel 2022, Villa Pignatelli a Napoli nel 2023 e, tutt’ora in corso, Gianni Berengo Gardin fotografa lo studio di Giorgio Morandi alla Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia, fino al 28 settembre 2025 ), si dedicherà per tutta la vita alla realizzazione di libri fotografici, collaborando anche con altri grandi autori del suo tempo (da Basilico a Scianna): oltre 250 volumi dai quali emerge soprattutto il suo interesse per l’indagine sociale. Dal 1966 al 1983, in collaborazione con il Touring Club, pubblica una serie sull’Italia e sui Paesi europei. Del ’68 è invece il volume Morire di classe, realizzato insieme a Carla Cerati per documentare le condizioni all’interno degli ospedali psichiatrici in molti istituti italiani: la pubblicazione sarà fondamentale nel processo di costituzione del movimento d’opinione che condusse nel 1978 all’approvazione della Legge 180 per la chiusura dei manicomi (nel 2022, Gardin ha ripercorso l’esperienza nel film Nei giardini della mente). Tra le pubblicazioni più recenti, il volume Gianni Berengo Gardin. Il borgo di San Fruttuoso di Camogli, a cura di Guido Risicato (2023), raccoglie gli scatti realizzati nel borgo ligure di San Fruttuoso durante la pandemia, nel 2020, all’età di 90 anni. Mentre Cose mai viste – Fotografie inedite (Contrasto, 2023) è un invito a scoprire lo sterminato archivio raccolto in carriera: un centinaio di immagini selezionate tra due milioni di scatti.

Uno sguardo sempre presente

Tra i lavori più emblematici dell’attività di foto-giornalismo di Berengo Gardin – cui è dedicata una monografia (2005) della collana Grandi Autori della Federazione Italiana Associazioni Fotografiche – si ricordano i reportage dai luoghi del lavoro, realizzati per Alfa Romeo, Fiat, Pirelli e, soprattutto, Olivetti (con cui collabora per 15 anni). Sarà dunque fotografo delle lotte operaie, dell’emarginazione e della diversità (ricorrente anche l’interesse per la cultura Rom), ma anche ritrattista di talento (immortalando anche amici celebri come Dario Fo, Ettore Sottsass, Ugo Mulas), e curioso esploratore del territorio, dai borghi rurali alle risaie della Pianura Padana, alle grandi città. Ma la sua capacità documentaristica la applicherà anche agli scatti di cantiere: per Renzo Piano, innanzitutto, con cui ha intessuto una lunga collaborazione; o nel 2007, durante la realizzazione del MAXXI a Roma. Sconfinato e vario – com’è varia la vita – è il suo catalogo, dai baci rubati negli anni in cui era proibito baciarsi in pubblico agli scatti che documentano L’Aquila ferita dal terremoto. L’occhio di Gianni Berengo Gardin è sempre stato presente.

Livia Montagnoli

L’articolo "È morto Gianni Berengo Gardin, il fotografo che ha fatto dell’occhio un mestiere" è apparso per la prima volta su Artribune®.

Autore
Artribune

Potrebbero anche piacerti