E’ nel secolo che si gioca la partita decisiva per il destino della Chiesa

  • Postato il 11 ottobre 2025
  • Di Il Foglio
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E’ nel secolo che si gioca la partita decisiva per il destino della Chiesa

C’era una volta l’Italia cattolica. Non è l’inizio di una favola, ma una semplice constatazione che suscita le reazioni più diverse: la soddisfazione di coloro che vedono finalmente sgombrato il campo da una pesante superstizione e celebrano la vittoria della laicità, il risentimento di chi rimpiange il tempo in cui la gerarchia cattolica nominava anche i ministri della Repubblica, la furbizia di chi tira semplicemente a campare, ritenendo che comunque tra stato e Chiesa ci si può sempre mettere d’accordo con vantaggio di entrambi, la determinazione di coloro che si ostinano a pensare che ogni tempo è propizio per annunciare e vivere il Vangelo di Gesù Cristo, anche oggi che la secolarizzazione ha dispiegato tutta la sua potenza e il mondo sta prendendo la piega drammatica che conosciamo: la guerra in Ucraina e a Gaza, la crisi dell’Europa e dell’occidente, l’aggressione che le società aperte subiscono da quelle chiuse, il risentimento che sempre più contraddistingue le opinioni pubbliche occidentali, la nuova postura geopolitica degli Stati Uniti d’America e altro ancora. 


A questi temi e al progressivo sbriciolamento della religione cattolica in Italia Luca Diotallevi ha dedicato un libro importante appena uscito da Rubbettino: "La Chiesa si è rotta. Frammenti e spiragli in un tempo di crisi e di opportunità". Ma, esattamente, che cos’è che si è rotto e sta finendo? Per dirla con le parole di Diotallevi, sta finendo “il mondo o un mondo? La Chiesa o un regime ecclesiale e la sua impalcatura ecclesiastica? La fede stessa o un modo di credere?”. Da come le domande vengono poste si capisce chiaramente anche quali sono le risposte dell’autore, rese più convincenti ancora dal solido presupposto teologico ed ecclesiologico che le sostiene: “Andremmo subito fuori rotta – scrive Diotallevi – se ritenessimo che queste risposte suppongono un radicale giudizio negativo sul mondo, sul regime ecclesiastico e sul modo di credere che stanno morendo”. Sarebbe infatti un dimenticare, come ci dice la Lumen gentium, che la Chiesa è sempre santa e sempre bisognosa di purificazione. Non ci si dispone alle novità del tempo presente criminalizzando il passato, ma nemmeno vagheggiandone la restaurazione. In questo tempo di crisi, come in tutti i tempi della storia, ai credenti è richiesto in fondo sempre lo stesso: guardare il mondo con gli occhi di Gesù e cogliere in questo modo il kairoόs, la grazia, diciamo pure, le opportunità che il presente ci offre. 


Tra queste opportunità, ce ne sono alcune che Diotallevi, fedele allo spirito del Vaticano II, considera decisive: ridare alla Chiesa la sua tensione ineludibile tra carisma e istituzione, senza riduzionismi di sorta verso un polo o verso l’altro; liberare il Vangelo dalla sua zavorra religiosa, restituendogli la sua forza vivificante, imprevedibile e liberante; non accettare la religione à la carte, fai da te, come risposta alla crisi della religione tradizionale; prendere nettamente le distanze, come fece Gesù, sia dalla logica degli Zeloti che predicano la guerra santa, sia da quella dei Sadducei che si accucciano dietro al potente di turno; riscoprire la secolarità contro la laicità e la civitas contro lo stato. Programma fin troppo ambizioso, verrebbe da dire. A maggior ragione se proviamo a proiettarlo sul piano politico. Ma Diotallevi dimostra di esserne pienamente consapevole. Oggi come ieri può succedere, e succederà di sicuro, che i cattolici e la Chiesa si dimostreranno inadeguati rispetto alle sfide che hanno di fronte. Ma l’importante è individuare almeno il luogo “dove si gioca la partita decisiva”. E quest’ultima si gioca nel secolo. E’ nel secolo, scrive Diotallevi, “che si dà (e ne va di) ogni particolare kairoόs, ogni opportunità per il Vangelo e la Chiesa”. La partita riguarda dunque in primo luogo i laici, i quali, come dice sempre la Lumen gentium, per loro vocazione, vivono nel secolo e debbono “cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio”. 


L’ecclesiologia che sta alla base di queste considerazioni è chiaramente quella del Vaticano II, secondo la quale il kairόs non lo si scorge certo, per usare le parole di Diotallevi, stando “nel ridotto delle curie o delle sagrestie”, ma compromettendosi fino in fondo col tempo che ci è dato di vivere. Ovvio che per questo non c’è una ricetta bella e pronta. Ma quanto più modelleremo il nostro sguardo su quello del Signore Risorto e tanto più sapremo guardare in faccia le difficoltà e le tragedie conservando la speranza. Questo non è irenismo; è piuttosto “spiritualità del conflitto”, diciamo pure il realismo di chi sa di non poter diventare cinico. E allora ecco la libertà che ci consente di guardare il nostro mondo sempre più sacralizzato, preoccupati certo del suo dominio crescente, ma anche consapevoli del fatto che in questo mondo nessuno nasce più incatenato a un ruolo sociale o sottoposto a poteri che si presumono intoccabili, che siamo, sì, in una società piena di pericoli, ma siamo anche più liberi.

Ci sono in giro, è vero, populismi e wokismi di vario tipo, ma non siamo al de profundis della cultura liberaldemocratica occidentale. E le pagine più belle di questo libro di Diotallevi, almeno per me, sono proprio quelle dove, con argomenti forti, egli esorta i cattolici a difendere il patrimonio liberale della modernità. Come egli dice, le “moderne battaglie per la libertà, in non piccola parte eredi di quelle medievali, hanno strappato ampie dosi di verità a un Cristianesimo che pure le aveva originate”. Il fatto che oggi, per difenderle, siamo costretti a investire risorse che fino a ieri abbiamo “scroccato” agli americani è solo un motivo di riflessione in più, sul quale si spera convergano anche i cattolici italiani.
 

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Autore
Il Foglio

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