Ecco com’è andata l’edizione 2025 della Biennale Teatro di Venezia
- Postato il 20 giugno 2025
- Arti Performative
- Di Artribune
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Ha chiuso i battenti la Biennale Teatro 2025 diretta quest’anno da Willem Dafoe. Oltre 13mila le presenze per un cartellone che ha cercato nelle intenzioni la continuità tra la storia e il presente. Visione e ricerca, rappresentazione e corpo hanno retto come una spina dorsale quanto passato in Arsenale.
“Die Seherin” di Milo Rau
“Tutto accade davanti ai nostri occhi”, dice Ursina Lardi, fotoreporter, in Die Seherin di Milo Rau. Ma in teatro, anche in quello delle Tese in Arsenale, la rappresentazione non può che riportare in scena l’osceno solo come immaginario e immaginazione. Due vite, quella della fotoreporter e quella di Azad Hassan, un uomo iracheno a cui è stata amputata la mano destra dall’ISIS a Mosul. Ferite esteriori come il moncherino del ragazzo e ferite “falsamente” esteriori, come quella che Lardi s’infligge sul polpaccio all’inizio dello spettacolo. In differita, come già fece Gina Pane. Sul monitor Assad, in scena Lardi che amplifica il suo volto sullo schermo del cellulare trascinando sul palco il “genere ritratto” e usando la stessa cornice del dispositivo tecnologico per mostrare il video di YouTube con l’amputazione. Due storie in parallelo ma assai lontane. Vedere e rivedere nonostante una parola epica che non si stanca di raccontare. Quella di Ursina Lardi al microfono in scena, dal vivo. Quella di Assad invece è in differita, a-sincrona, anche nei contenuti, così diversi e inconciliabili. Eppure, le due storie hanno la medesima ossessione, per il teatro che racconta e rappresenta e per la capacità della violenza di forzare prima l’immagine e poi lo sguardo (“in scena si vede come io guardo” dice Ursina ritirando il Leone d’Argento alla carriera). Forse la storia della giornalista, anche se costruita da Rau dopo una lunga e approfondita fase di ricerca, non ce la fa a essere universale. Universale è invece la domanda su come rendere la rappresentazione reale, non nel senso di vera, ma in grado di arrivare a far coincidere immaginazione e immagine. Di questo parla La Veggente – Die Seherin, colei che prima immagina e poi ri-trova. Vecchia questione in fotografia. Cerco quello che già so di trovare o mi apro allo stupore…? Fotografia, teatro, video, qual è il linguaggio che più arriva al vero? L’ibrido che perde i confini disciplinari, ma anche le intenzioni e il destino. I dispositivi si mescolano e come neutri e innocui cavalli di Troia ospitano il male.

“Mangiatori di patate” di Romeo Castellucci
Immaginario e immaginazione questa volta in un nesso causale per Romeo Castellucci che incunea nella memoria latente (e malata) del Lazzaretto Vecchio i suoi Mangiatori di patate. Dispositivo scenico del vuoto che ingurgita e vomita la drammaturgia postmoderna di Piersandra Di Matteo (tanti anni fa responsabile della rubrica di teatro proprio su Artribune). Stationendrama orizzontale e scomposto. Tappe senza soluzione di continuità su cui si staglia l’Angelus Novusdi Benjamin. Sotto di lui le ceneri confuse della storia, i residui del secolo come li aveva immaginati Joseph Beuys. Monoliti, bracci meccanici di un Frankenstein senza volontà creatrice. L’opera omonima di Van Gogh si perde come in un’installazione di Greenaway in cui i personaggi escono dalla storia e diventano drammi singoli di caduta e redenzione. Ci sono le reminiscenze ai piattelli labiali che storpiarono le voci come nel suo Giulio Cesare e poi le sonorità battenti di Scott Gibbons. Le immagini che si liquefano e si ri-coagulano dentro frammenti di engrammi iconografici: deposizioni, tagli laterali alla Rembrandt, il Richard Serra alchimista di Matthew Barney, realismi courbetiani: un unico flusso che scorre nei vuoti del Lazzaretto senza resurrezione, senza soluzione di continuità.
“The Inanna Project” di Thomas Richards
Più nel tema di questa Biennale Teatro decisamente The Inanna Project dell’inossidabile Thomas Richards. Se il corpo è poesia, come recita il tema dell’edizione 2025, la poesia è dentro il corpo e dal corpo si espande e si fa casa, spazio, luogo come lo intendeva Leibniz: “spazio delle relazioni”. Relazioni come risonanza sonora che diventa vita attiva dal corpo al corpo. Suono e musica come essenza dell’umano, soprattutto se questa antropologicamente intreccia le radici nelle profondità di miti comuni. Innana come Gilgamesh, come la Bibbia, come i miti greco-romani. Il lavoro scandito a capitoli incarna ognuno di essi nella cultura vocale degli attori italiani, coreani, caraibici.





“Great Apes of the West Coast” di Princess Bangura
Di identità innestata nella contemporaneità parlava anche il lavoro Great Apes of the West Coast di Princess Bangura. Difficile non solo trovare lo specifico etnico e culturale ma innestarlo nei linguaggi del contemporaneo senza snaturarne la fonte antropologica. Il suo io è un noi, l’identità è comunità. Istinto e divertimento eruttano dallo stesso vulcano interiore e si fanno materia lavica che corrode la differenza tra recitato e sonorità canore.
Il Leone d’Argento ad Ursina Landi
E questa Biennale si ricorderà anche per il senso dato al teatro da Ursina Lardi nel riceve il Leone d’Argento: “un premio è prezioso in quanto è minacciato dalle destre estreme e moderate che stanno smantellando la cultura” ha detto l’attrice davanti al Ministro della Cultura Alessandro Giuli che gliel’ha consegnato. “Il teatro è un fatto politico e oggi viene meno il rispetto e la condizione di chi fa cultura. La classe politica entra a gambe larghe in un teatro che si pone sempre in modo gentile. È politicamente di moda distruggerci, considerarci banali, inutili, superflui, siamo ridicolizzati ma noi dobbiamo stringerci in solidarietà. Se la complessità del mondo sfugge, sta all’arte dare forma al nostro tempo. Dobbiamo essere radicali come ha letto Willem Defoe nella motivazione del Leone d’Argento, muoverci con fragilità e forza sul palcoscenico, con mente lucida e cuore in fiamme”.
Simone Azzoni
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L’articolo "Ecco com’è andata l’edizione 2025 della Biennale Teatro di Venezia" è apparso per la prima volta su Artribune®.