Ecco cosa c’è da sapere sull’AI Action Plan di Trump

  • Postato il 26 luglio 2025
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“Una rivoluzione industriale, una rivoluzione dell’informazione e un rinascimento, tutto in una volta”. Così l’amministrazione Trump descrive l’intelligenza artificiale (AI) nel nuovo AI Action Plan, presentato mercoledì scorso. Con la progettazione, Washington segna una nuova fase nella politica tecnologica nazionale e internazionale: un mix di continuità industriale, ambizione globale e svolta ideologica.

Il piano prevede il taglio delle regolamentazioni per incentivare l’adozione dell’AI, l’accelerazione nella costruzione di data center, l’esportazione di “pacchetti tecnologici completi” verso alleati e partner, e la rimozione di quelli che la Casa Bianca definisce “pregiudizi ideologici” dai sistemi di intelligenza artificiale.

Ma in cosa questo piano differisce dalle precedenti politiche americane sull’AI? Quali saranno gli effetti sull’industria statunitense e sulla governance globale dell’intelligenza artificiale? E quali impatti economici ed energetici potrà avere? A queste domande hanno risposto gli esperti dell’Atlantic Council.

Continuità strategica o svolta radicale?

Graham Brookie, vicepresidente per i programmi tecnologici dell’Atlantic Council, sottolinea che l’AI Action Plan rappresenta una notevole continuità con le precedenti strategie Usa, in particolare per quanto riguarda gli investimenti in infrastrutture, hardware e capitale umano. La vera rottura – afferma – riguarda la governance e le salvaguardie. Brookie solleva inoltre tre interrogativi cruciali sull’attuazione del piano: la disponibilità di fondi pubblici in un contesto di tagli, il rischio di polarizzazione politica nell’allocazione delle risorse e la difficoltà di armonizzare norme con gli alleati mentre si cerca di contenere l’influenza cinese negli organismi internazionali.

Trey Herr, direttore della Cyber Statecraft Initiative, paragona il piano a una nuova corsa agli armamenti tecnologici, senza però che sia chiaro “verso dove si stia correndo”. Nota anche che alcune misure, come il rilancio del CHIPS Act, sono in realtà vecchie iniziative riciclate. E segnala l’ironia di voler sfidare la Cina nei forum multilaterali dopo aver chiuso l’ufficio del Dipartimento di Stato incaricato di gestire proprio questi dossier.

Diplomazia tecnologica e governance globale

Trisha Ray, direttrice associata del GeoTech Center, individua nel piano un messaggio ambizioso: gli Stati Uniti devono soddisfare la domanda globale di AI, non reprimerla, esportando pacchetti completi di soluzioni tecnologiche. Tuttavia, osserva che questo slancio si scontra con severi controlli alle esportazioni, e che Washington è ancora debole nello strato della governance dell’intelligenza artificiale. Ray invita la Casa Bianca a proporre una visione positiva, basata su valori condivisi, per costruire allineamenti duraturi con gli alleati.

Raul Brens Jr., direttore del GeoTech Center, è più critico: definisce l’approccio statunitense come un tentativo di “ingegnerizzare la corsa” in modo unilaterale, con lo slogan implicito “buy American, trust American”. Questo, avverte, potrebbe risultare poco convincente per partner europei e asiatici che stanno costruendo proprie architetture normative fondate su trasparenza, inclusione e sostenibilità. La leadership tecnologica da sola non basta, serve anche fiducia reciproca.

Ananya Kumar, vicedirettrice per il Future of Money, sottolinea che, a differenza dell’EU AI Act – che punta a introdurre barriere normative – il piano americano persegue una logica fortemente deregolatoria, ma si apre al piano internazionale con l’obiettivo di guidare la definizione degli standard globali. Tuttavia, non esiste ancora un “tabellone unico” per questa corsa: ogni attore ha una propria idea di cosa significhi vincere.

Infrastrutture, open source e concorrenza industriale

Nitansha Bansal, vicedirettrice della Cyber Statecraft Initiative, apprezza la visione a tutto campo del piano, che abbraccia l’intera “stack” dell’AI – dall’energia alla forza lavoro. Valuta positivamente l’attenzione all’open source e la promozione di un ecosistema dell’innovazione sostenibile. Evidenzia anche come la riforma dei permessi potrebbe ridefinire la geografia delle infrastrutture AI negli Stati Uniti.

Esteban Ponce de León, ricercatore del DFRLab, mette in guardia sul rischio di concentrazione del potere tra pochi attori dominanti, favorito dalla corsa alla “superiorità dei modelli”. Avverte che il sistema potrebbe degenerare in una competizione fondata su benchmark truccati, più che sulla reale capacità di innovazione. Tuttavia, nota che l’apertura al modello open source riflette una competizione più fluida e multipolare, dove a contare potrebbe non essere un singolo modello vincente, ma la capacità di costruire ecosistemi dipendenti dall’AI statunitense.

Energia e geoeconomia dell’intelligenza artificiale

Joseph Webster, senior fellow presso il Global Energy Center, identifica due ambiti energetici con potenziale consenso bipartisan: l’espansione della rete elettrica intelligente – indispensabile per sostenere l’esplosione dei consumi dei data center – e gli investimenti in batterie avanzate a doppio uso, che potrebbero potenziare sia veicoli autonomi sia capacità militari.

Mark Scott, ricercatore presso il DFRLab, osserva che molte priorità interne del piano americano – snellimento normativo, promozione della ricerca, attenzione alla forza lavoro – coincidono con quelle europee. Ma avverte che, sul piano internazionale, la strategia “Make America Great Again” potrebbe urtare la visione europea di un cyberspazio aperto e interoperabile, creando una frizione crescente nei rapporti transatlantici.

Autore
Formiche

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