Ecco cosa lega l’Indipendenza del 1947 all’India di oggi
- Postato il 16 agosto 2025
- Esteri
- Di Formiche
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Il 15 agosto 1947 l’India ottenne l’indipendenza dal Regno Unito, sancita dall’Indian Independence Act, che pose fine al raj britannico e creò due dominion: India e Pakistan. Quella data rappresenta l’indipendenza di fatto e di diritto; oggi, nel 2025, Nuova Delhi mira a dimostrare di possedere anche una piena indipendenza strategica in un mondo sempre più orientato verso il multipolarismo – e l’India intende essere uno di quei poli. Il gesto simbolico dell’ammainare la Union Jack e il discorso “Tryst with Destiny” di Jawaharlal Nehru, pronunciato mentre il Paese celebrava tra le ferite della Partition, restano icone di una lotta lunga e complessa, guidata da Gandhi e dal Congresso Nazionale Indiano attraverso campagne di disobbedienza civile come la Salt March e il Quit India.
Nei decenni successivi, l’India ha costruito solide istituzioni democratiche, mantenendo il pluralismo e l’alternanza politica; ha superato le carestie con la Green Revolution negli anni ’70; ha aperto l’economia con le riforme del 1991, diventando un polo globale per i servizi informatici; e ha guidato il Movimento dei Non Allineati. Oggi, progetti come Digital India e la piattaforma Unified Payments Interface (UPI), con miliardi di transazioni mensili, insieme alla capacità di produrre e distribuire vaccini in tutto il mondo, mostrano un Paese che vuole coniugare sviluppo interno e proiezione globale, rafforzando la propria autonomia nelle scelte strategiche.
Nel 2025 l’India è la economia in più rapida crescita al mondo. Secondo la Banca Mondiale, nonostante le turbolenze internazionali, il Pil è aumentato dell’8,2 % nel 2023/24 grazie agli investimenti pubblici in infrastrutture e al dinamismo della manifattura e dei servizi. Le riserve valutarie hanno raggiunto l’«all‑time high» di 670,1 miliardi di dollari nell’agosto 2024. La piattaforma GIS Reports descrive l’India come la più grande economia emergente, con un Pil di 4 mila miliardi di dollari, il quarto esercito più potente al mondo e un mercato interno di 600 milioni di lavoratori con età media di 29 anni.
Nel decennio scorso l’India è passata dal gruppo delle “Fragile Five” alle prime cinque economie mondiali: l’indice globale dell’innovazione la vede salire dall’81ª posizione nel 2015 alla 39ª nel 2024. Nel 2024 la piattaforma di pagamento UPI ha elaborato transazioni per 279,4 miliardi di dollari in un solo mese; il settore della difesa ha visto crescere la produzione del 174 % e le esportazioni di oltre 30 volte. L’India è inoltre promotrice dell’International Solar Alliance, con 119 paesi firmatari e 99 ratifiche nel 2024, e ha giocato un ruolo centrale nel G20 ospitato a Nuova Delhi nel 2023.
Gli stati Uniti e i partner occidentali la considerano cruciale per bilanciare la crescita cinese, mentre l’India partecipa anche a fori alternativi come BRICS e Shanghai Cooperation Organization (Sco) – dimostrazione di come quella indipendenza sia di fatto parte della strategia del paese.
Sin dalla guerra fredda l’India ha seguito una dottrina di autonomia strategica: evitare alleanze rigide per mantenere libertà decisionale. Questa tradizione continua nell’era multipolare. La stessa fonte sottolinea che Nuova Delhi partecipa a fori minilaterali come il Quad (India–USA–Giappone–Australia) e l’I2U2 (India–Israele–EAU–USA) ma rimane attiva in BRICS e Sco. L’obiettivo è “ingaggiare l’America, gestire la Cina, coltivare l’Europa, rassicurare la Russia, coinvolgere il Giappone, allargare il vicinato ed espandere le tradizionali costituency di sostegno”, come ha scritto il ministro degli Esteri Subrahmanyam Jaishankar.
Il ritorno di Donald Trump per un secondo mandato alla presidenza statunitense nel gennaio 2025 ha inaugurato una fase turbolenta nelle relazioni con l’India. La Casa Bianca ha annunciato a luglio la reintroduzione di tariffe del 25% sull’acciaio e del 50% sull’acciaio indiano a giugno, criticando Delhi come “grande abusatrice di tariffe”. Il 7 agosto Washington ha annunciato un nuovo dazio del 25% sull’India come punizione per l’acquisto di petrolio russo, portando l’aliquota totale al 50%. Secondo Brookings, questo annuncio rischia di far “deragliare” una partnership finora cooperativa, scatenando una forte reazione pubblica in India e lasciando perplessi molti ex responsabili politici americani. Trump colloca l’India tra i pochi paesi con l’aliquota più elevata dei suoi dazi, determinando “il momento peggiore” nelle relazioni bilaterali da anni.
Secondo Asia Society, il governo indiano ha tuttavia cercato di rimediare, “no panic” è il messaggio diplomatico, mentre ha abbassato alcune tariffe su prodotti statunitensi (dalle motociclette Harley‑Davidson al bourbon), puntando a chiudere un accordo commerciale bilaterale entro l’anno. Il primo ministro Narendra Modi ha fatto in modo di avviare consultazioni diplomatiche e diversificare gli sbocchi verso Asia, Unione europea e Africa, firmando un accordo di libero scambio con il Regno Unito e avviando un dialogo strategico con l’UE. Parallelamente ha notificato al WTO la possibilità di applicare dazi di ritorsione per 7,6 miliardi di dollari e sta costruendo coalizioni con altri paesi colpiti dai dazi americani. Tuttavia l’India evita l’escalation, consapevole dell’importanza della cooperazione difensiva e dell’impegno congiunto nell’Indo‑Pacifico.
Per affrontare l’incertezza creata da Washington, l’India punta sulla multi‑allineamento: impegnarsi con più potenze senza legarsi a una sola. Pur sotto pressione dall’amministrazione Trump, l’India resta un partner essenziale nella strategia indo‑pacifica degli Stati Uniti, ma continua a mantenere legami con la Russia – non a caso il primo ministro indiano è stato tra i leader sentiti da Vladimir Putin prima dell’incontro odierno con Donald Trump – e pianifica contatti diretti tra Modi e il leader cinese, Xi Jinping. L’autonomia strategica consente a Nuova Delhi di cooperare in modo vasto; la forza economica di essere ascoltata; lo sviluppo tecnologico di essere futuribile; la potenza demografica di essere credibile. La recente adesione dell’Unione Africana al G20, promossa dall’India, e l’organizzazione del Voice of Global South Summit dimostrano inoltre la volontà di porsi come ponte fra Nord e Sud Globale, una dimensione su cui Nuova Delhi scommette particolarmente.
Alla dimensione multilaterale si affianca inevitabilmente l’impegno indiano per costruire nuove rotte commerciali e logistiche che riducano la dipendenza dalle vie tradizionali controllate da altre potenze. Tra le principali iniziative infrastrutturali, l’India punta sull’IMEC, corridoio lanciato al G20 di Nuova Delhi nel 2023 insieme a Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati e UE, che collegherà il Paese al Mediterraneo via Golfo Persico, riducendo tempi e costi rispetto alla rotta di Suez e offrendo un’alternativa alla Belt and Road cinese. Già nel 2024 Nuova Delhi e Abu Dhabi hanno avviato un “corridoio digitale” e modernizzato porti, con scambi in crescita. Parallelamente, l’India investe nel Corridoio Internazionale Nord‑Sud (INSTC), creato nel 2000 con Iran e Russia, che collega Mumbai al Caspio e all’Europa e integra il porto iraniano di Chabahar, riducendo di un terzo tempi e costi di trasporto. L’India sostiene anche i suo interessi nel “corridoio Zangezur”, che dopo l’accordo trumpiano tra Azerbaigian e Armenia potrebbe avere una nuova fase di centralità, che Nuova Delhi vuole evitare che intacchi i propri piani.
Questi progetti testimoniano anche che il concetto di “indipendenza” si sta trasformando: nel dopoguerra l’obiettivo era liberarsi dal colonialismo, oggi è garantire autonomia strategica costruendo reti che riducano la vulnerabilità ai blocchi di altre potenze e diversificando le partnership economiche.
Alla ricerca di sicurezza marittima e prosperità, l’India ha abbracciato la visione di un Indo‑Pacifico libero e aperto. L’idea di “Indo‑Pacifico” nasce dagli alleati USA e Giappone ma è stata adottata da New Delhi perché la crescente influenza cinese nell’Oceano Indiano la spinge a proiettarsi oltre il proprio vicinato. L’India si definisce “ponte” fra attori diversi e sostiene un ordine basato sul diritto internazionale e sulla libertà di navigazione, ma tiene a precisare che le sue priorità si concentrano più sull’Oceano Indiano che sul Pacifico.
L’adozione della strategia non significa allineamento automatico con Washington, però: l’India è stata inizialmente cauta per evitare di essere percepita come strumento di contenimento anti‑cinese e ha insistito nel mantenere la propria autonomia strategica. Oggi Nuova Delhi sostiene i principi di Free and Open Indo‑Pacific e coopera con Stati Uniti, Giappone e Australia nel Quad, mentre rafforza legami con Paesi europei e ASEAN. La geografia la rende un nodo indispensabile per le rotte marine fra Africa, Medio Oriente e Asia orientale, consolidando la sua reputazione di “baluardo” nei free and open spaces.
L’indipendenza del 1947 nacque come lotta per la sovranità e la dignità di un popolo. Oggi, nel 78º anniversario, quelle stesse aspirazioni si traducono nella volontà di essere un attore autonomo in un mondo multipolare. Non a caso, la campagna Atmanirbhar Bharat (“India autosufficiente”) mira a ridurre le dipendenze esterne e a rafforzare la produzione nazionale, mentre la dottrina della multi‑allineamento permette di evitare di essere trascinati in conflitti fra grandi potenze.
La crisi con l’amministrazione Trump è una cartina di tornasole: Nuova Delhi non vuole farsi dettare la politica estera da Washington né rinunciare ai rapporti energetici con Mosca, ma non intende nemmeno compromettere la cooperazione strategica con gli Stati Uniti. Per questo sceglie la via del dialogo, diversifica i mercati e rafforza i legami con altri partner (UE, Regno Unito, Australia, Medio Oriente). La capacità di tenere botta allo scontro commerciale con gli Stati Uniti può dimostrare quanto l’India del 2025 sia lontana dall’India fragile del post‑indipendenza.
Celebrando l’anniversario, l’India ricorda le sofferenze e i sacrifici del 1947, ma guarda soprattutto al futuro. La trasformazione in economia dinamica e attore globale testimonia il successo di decenni di riforme e della scelta di non allinearsi rigidamente. Tuttavia le sfide restano: disparità sociali, disoccupazione giovanile, transizione energetica e tensioni interne. La capacità di conciliare sviluppo interno e ambizioni globali, difendendo al contempo la propria autonomia strategica, definirà il significato dell’indipendenza nell’era contemporanea.