Ecomafie o imprenditoria deviata? Il Forum PolieCo mette a nudo il grande inganno dei rifiuti

  • Postato il 1 ottobre 2025
  • Di Panorama
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Si sono conclusi a Napoli, i lavori della 17esima edizione del Forum Internazionale PolieCo sull’Economia dei rifiuti, promosso dal Consorzio nazionale PolieCo per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene, con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica. Tanti i temi trattati dalla nuova normativa ambientale, sui rischi della corruzione negli appalti green e sulle ultime frontiere tra riciclo chimico e meccanico e gli “acquisti verdi” ossia il sistema con cui le pubbliche amministrazioni scelgono beni e servizi sulla base di criteri di sostenibilità ambientale.

Un tempo simbolo di degrado urbano e minaccia per la salute pubblica, oggi i rifiuti sono diventati una delle industrie più redditizie al mondo. La metamorfosi è sotto gli occhi di tutti: quello che un tempo era un costo per lo Stato e per i cittadini si è trasformato in un settore che genera profitti miliardari. Raccolta, riciclo, smaltimento e perfino traffici illeciti muovono interessi colossali, attirando imprese regolari ma anche organizzazioni criminali che hanno fiutato l’occasione di trasformare l’immondizia in un tesoro. Il meccanismo è semplice. Ogni comunità produce scarti che devono essere gestiti, e ciò che fino a qualche decennio fa era solo una voce di spesa nei bilanci comunali si è trasformato in un ciclo economico in grado di produrre ricchezza a ogni passaggio. La raccolta, il trasporto, il trattamento e persino la rivendita delle cosiddette «materie prime seconde» alimentano un mercato fiorente. A spingere la crescita hanno contribuito incentivi pubblici e fondi europei, oltre a una crescente domanda di materiali riciclati. Ma accanto all’economia ufficiale, si è sviluppata una rete parallela che sfrutta falle normative e controlli carenti, alimentando un mercato sommerso sempre più sofisticato.

Ecomafie o imprenditoria deviata? Il Forum PolieCo mette a nudo il grande inganno dei rifiuti

Fu Legambiente, negli anni Novanta, a coniare il termine «ecomafie» per descrivere la penetrazione dei clan nei traffici legati ai rifiuti. All’inizio sembrava un fenomeno marginale, ma le inchieste giudiziarie hanno dimostrato come camorra e ’ndrangheta abbiano costruito fortune colossali gestendo discariche abusive, falsificando certificati e facendo sparire tonnellate di rifiuti tossici. Eppure oggi, come ricorda la direttrice del Consorzio PolieCo, Claudia Salvestrini, quel termine appare riduttivo: «Parlare ancora di ecomafie è sbagliato, il termine è diventato abusato. Io parlerei piuttosto di imprenditoria deviata e organizzata come le mafie. È dal 2006 che mi occupo di traffici illegali e la realtà è che la maggior parte di questi reati vede ormai la partecipazione di imprenditori che si muovono come famiglie criminali». Il fenomeno, infatti, si è evoluto. «Negli anni siamo passati da un traffico totalmente illegale, gestito da soggetti senza alcuna autorizzazione, a società regolarmente costituite e autorizzate che, strada facendo, deviano nell’illegalità», sottolinea Salvestrini. La ’ndrangheta, un tempo restia a entrare in questo settore perché i guadagni della cocaina erano ben più alti, ha oggi cambiato strategia: «Si è insinuata nel traffico dei rifiuti con tutta la sua forza economica. E non solo: si è gettata anche nel business dei certificati verdi e bianchi, titoli negoziabili basati sull’efficienza energetica e sull’uso delle energie rinnovabili, che rappresentano un’enorme fonte di guadagno per chi li possiede»

I tentacoli della ’ndrangheta

La dinamica è ormai collaudata. «La ’ndrangheta si infiltra acquistando società in difficoltà economica. Le rileva immettendo liquidità e diventa proprietaria della materia prima, cioè i rifiuti, e dei certificati ambientali legati a quelle attività. Questi certificati possono poi essere rivenduti a prezzi altissimi in Paesi che non riescono a rispettare i loro obiettivi sulle energie rinnovabili», spiega la direttrice di PolieCo. Ma non ci sono solo carta, plastica o metalli. «C’è un settore che sembra dimenticato da quasi tutta l’Italia: i rifiuti ospedalieri tossicologici. Non sappiamo oggi dove vadano a finire», denuncia Salvestrini. E aggiunge: «Lo smaltimento regolare dei rifiuti ospedalieri può costare fino a 1.000 euro a tonnellata. Se invece vengono smaltiti illegalmente, i costi crollano e i margini di guadagno diventano enormi». Il quadro si complica ulteriormente con l’espansione internazionale dei traffici. Container dichiarati come materiali riciclati partono dai porti italiani per finire in Africa o in Asia, in Paesi privi di impianti adeguati e rifiuti elettronici e plastica vengono smontati a mani nude, bruciati in discariche improvvisate o sepolti in terreni agricoli. Comunità del Ghana, della Nigeria o dell’India vivono circondate da montagne di scarti provenienti dall’Europa, respirando fumi tossici per recuperare qualche grammo di metallo rivendibile. Un «colonialismo ambientale», lo definiscono gli esperti, che arricchisce pochi e scarica i costi sanitari e ambientali su popolazioni già fragili.

Il Consorzio PolieCo

In Italia un ruolo cruciale è affidato al Consorzio PolieCo, nato per gestire e avviare al riciclo i beni in polietilene. Si tratta di un organismo senza scopo di lucro che obbliga per legge produttori, importatori e distributori ad aderire affinché adempiano alle proprie obbligazioni ambientali, garantendo tracciabilità e limitando il ricorso a materia prima vergine. Ma PolieCo è anche una sorta di sentinella delle distorsioni del sistema. «Abbiamo denunciato più volte l’esportazione illegale di container dichiarati come riciclati che in realtà finiscono in Paesi privi di sistemi di trattamento, dove vengono incendiati o sepolti con conseguenze devastanti», avverte Salvestrini. Le mafie, però, non sono le sole protagoniste. La Camorra resta storicamente «titolare» del settore, mentre Cosa Nostra ha avuto un ruolo in comparti specifici, come dimostrano gli incendi di alcuni stabilimenti collegati a famiglie mafiose di primo piano. La mafia albanese, invece, si muove sui traffici internazionali: fino a qualche anno fa l’Albania accettava i rifiuti dall’Italia, oggi i confini sono chiusi ma i carichi arrivano spesso come falso CSS, combustibile da rifiuto. Il vero nodo, secondo Salvestrini, resta quello dei controlli: «Non è un problema di leggi. L’Italia ha un numero altissimo di norme ambientali, forse più di qualsiasi altro Paese. Il problema è la debolezza dei controlli. Bisognerebbe rafforzare gli organi preposti, aumentando personale e risorse. Non ha aiutato la modifica che ha limitato le verifiche nei porti: proprio lì i controlli sono indispensabili». Il paradosso è evidente: i cittadini pagano le tasse per un servizio di raccolta che dovrebbe garantire igiene e tutela dell’ambiente, ma finiscono per subire i danni sanitari e sociali di un sistema infiltrato dalla criminalità organizzata. Interi territori, come la Terra dei Fuochi tra Napoli e Caserta, sono stati devastati da decenni di smaltimenti illegali, mentre milioni di persone all’estero vivono immerse nei rifiuti prodotti dai Paesi più ricchi. Il business dei rifiuti rimane dunque un terreno di scontro in cui si intrecciano legalità e corruzione, economia circolare e traffici clandestini, buone pratiche e frodi sofisticate. I consorzi come PolieCo sono strumenti indispensabili per aumentare la trasparenza, ma non bastano da soli a fermare un meccanismo che continua a muovere miliardi. Finché smaltire correttamente costerà molto e i controlli resteranno insufficienti, ci sarà sempre qualcuno pronto a trasformare l’immondizia in oro sporco.

Autore
Panorama

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