Economia russa, gli scricchiolii ci sono ma il crollo è solo una speranza occidentale

  • Postato il 9 giugno 2025
  • Economia
  • Di Il Fatto Quotidiano
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Da oltre tre anni l’Europa si attende un’“imminente” crisi dell’economia russa per effetto delle sanzioni erogate contro Mosca. All’inizio della guerra in Ucraina c’era chi preconizzava un collasso russo nel giro di pochi giorni. Mario Draghi, nel suo intervento all’assemblea generale dell’Onu dell’ottobre 2022, parlava di “un effetto dirompente” delle sanzioni sull’economia e la capacità bellica russa, sottoscrivendo le stime del Fondo monetario internazionale di un crollo del Pil russo del 10%. Non solo, l’effetto delle sanzioni, secondo Draghi, sarebbe diventato giorno dopo giorno più potente. Più di due anni dopo è il presidente statunitense Donald Trump che torna a parlare di un “imminente collasso” dell’economia russa.

Le affermazioni di di Draghi erano opinabili e, alla prova dei fatti, tali si sono dimostrate. L’effetto delle sanzioni è spesso imperscrutabile e, raramente, queste misure sono da sole risolutive. In realtà, più passa il tempo, più un sistema economico si riorganizza e mette in atto contromisure per fronteggiare le sanzioni, il cui effetto pertanto tende a diminuire. Questo è vero soprattutto se il paese obiettivo ha la possibilità di dirottare i suoi flussi commerciali verso altri paesi, esattamente ciò che ha fatto la Russia potendo contare sul fatto che circa i due terzi delle nazioni del mondo non aderiscono all’impianto sanzionatorio. Con la possibilità di appoggiarsi a Cina, India, Turchia, Brasile etc, non è stato impossibile attenuare l’impatto delle sanzioni.

Da parte degli alleati occidentali ci sono stati errori di valutazione piuttosto gravi, a cominciare da una sottostima delle reali dimensioni dell’economia russa. Se valutata a parità di potere d’acquisto la sua dimensione è paragonabile a quella della Germania piuttosto che a quella della Spagna. Il risultato di tutti questi svarioni è che negli ultimi tre anni la crescita economica della Russia ha regolarmente sopravanzato quella della zona euro e dei singoli paesi membri. La corsa al riarmo, la forzata conversione a fini bellici di alcune industrie, la capacità di aggirare le sanzioni su petrolio e l’impossibilità di tagliare fuori dal mercato il primo esportatore di gas al mondo, hanno sostenuto il Pil russo. Tuttavia, un’economia di guerra spinge la crescita all’inizio ma non può reggere all’infinito e tende a produrre alti tassi di inflazione.

Avere notizie precise sulle reali condizioni dell’economia russa non è facile. Alcune statistiche sono secretate per ragioni strategiche e spesso le valutazioni vanno fatte su indicatori indiretti, con l’approssimazione che da ciò consegue e non è raro leggere rapporti piuttosto contraddittori. Negli ultimi due mesi sono aumentate le stime che segnalano una situazione di difficoltà. C’è un dato certo, dall’inizio dell’anno le quotazioni del petrolio sono sensibilmente diminuite (circa 20 dollari in meno al barile), portandosi a ridosso dei 60 dollari (mentre le quotazioni del gas restano su valori storicamente molto alti). Dall‘export di greggio Mosca incassa la fetta principale dei sui proventi. Nel 2019, ultimo anno “normale”, il greggio portò nelle casse di Mosca 188 miliardi di dollari, a fronte dei 50 miliardi incassati con la vendita del gas.

Per il 2025 la Russia ha ridotto del 24% le sue previsioni sui ricavi da petrolio e gas. Con i flussi di denaro garantiti dagli idrocarburi che si assottigliano, il governo prevede prevede di chiudere l’anno con un deficit pari all’1,7% del prodotto interno lordo, oltre il triplo rispetto alle stime iniziali. Le entrate complessive sono indicate a 38,5 trilioni di rubli (470 miliardi di dollari), inferiori all’obiettivo iniziale di 40,3 trilioni di rubli. Ma la guerra va comunque finanziata e assorbe più del 7% del Pil.

Il Fondo nazionale russo per il benessere economico, cioè le riserve del paese per i momenti difficili, sono diminuite in maggio di quasi 6 miliardi di dollari, ovvero del 14%. Le risorse prontamente utilizzabili del fondo sono scese a 2,8 trilioni di rubli (35,7 miliardi di dollari), ha fatto sapere il ministero delle Finanze. Dall’inizio dell’invasione il valore del “tesoretto” è calato di due terzi ma ci sono ancora abbastanza soldi per sostenere altri due anni di guerra con un petrolio a 50 dollari al barile. Nonostante ciò e le aspettative moderate sui proventi derivanti dalle esportazioni di energia, la previsione sulla spesa è stata aumentata del 2% rispetto a quanto inizialmente previsto dalla legge di bilancio e ora ammonta a 42,3 trilioni di rubli. Questa cifra include una spesa record per le spese militari, mentre la Russia continua la sua guerra contro l’Ucraina.

Da inizio 2025 il rublo si è piuttosto rafforzato. Ora ne servono 79 per cambiare con un dollaro, a inizio anno erano oltre 110. I valori attuali sono paragonabili a quelli precedenti l’invasione dell’Ucraina. Una moneta più forte tende a contenere le spinte inflazionistiche poiché i beni comprati dall’estero costano di meno. Viceversa frena le esportazioni visto che i beni made in Russia costano di più fuori dal paese. Il cambio del rublo è sostenuto dagli alti livelli dei tassi di interesse che la Banca centrale russa mantiene al 2o%, dopo un piccolo taglio dell’1% deciso venerdì, il primo dopo tre anni. L’inflazione è calata negli ultimi mesi ma resta intorno al 10%. La governatrice della Banca centrale russa, Elvira Nabiullina, ha parlato di “inizio di una graduale uscita dalla fase di acuto surriscaldamento” dell’economia. Ha però anche osservato che la crescita economia sta rallentando: il primo trimestre 2025 si sarebbe chiuso con un -1,2%. Per l’intero anno si stima, comunque, ancora una crescita dell’1%.

L’economia rallenta anche perché i consumi stanno diminuendo, a cominciare da quelli di auto e prodotti elettronici per cui è diventato via via più costoso avere un finanziamento. Gli alti costi di indebitamento pesano sui consumi non legati all’esercito e frenano gli investimenti aziendali. Pure i conti di molti colossi industriali statali sono in sofferenza, stretti tra alti costi di indebitamento e un rafforzamento della moneta che frena l’export. Così si tagliano dividendi e investimenti. Nei primi 4 mesi dell’anno la produzione industriale è cresciuta dell’1,2% ma c’è una frattura sempre più profonda tra le aziende legate al comparto della difesa e le altre. Le prime prosperano, le seconde soffrono.

Nello scenario peggiore ipotizzato dalla banca centrale, ovvero crisi globale, deterioramento delle relazioni tra Cina e Stati Uniti, un calo del prezzo del Brent a 55 dollari al barile e un aumento della pressione delle sanzioni, l’inflazione potrebbe salire fino al 15% mentre l’economia scivolerebbe in recessione. “La sfida per la banca centrale ora sta nel scegliere tra due rischi”, ha affermato Olga Belenkaya , economista di Finam a Mosca, parlando con l’agenzia Bloomberg. “Mantenere i tassi su livelli attuali rischia di far precipitare l’economia in recessione, mentre i tagli potrebbero far innescare una spirale inflazionistica difficile da riportare sotto controllo”, ha aggiunto.

Le stime governative sono più ottimistiche ma forse meno attendibili. Il ministero dello Sviluppo Economico vede una crescita del 2,5% nel 2025, circa il doppio rispetto a quelle della banca centrale. Il presidente russo Vladimir Putin ha affermato che un raffreddamento dell’economia russa è inevitabile. Allo stesso tempo, ha chiesto che le azioni siano intraprese “con molta attenzione” e che si eviti “un raffreddamento eccessivo”.

La governatrice Nabiullina ha conquistato molti crediti riuscendo a stabilizzare l’economia russa nel periodo immediatamente successivo all’invasione dell’Ucraina, assai turbolento. Tuttavia oggi è sottoposta a pressioni politiche crescenti per una riduzione dei tassi che darebbe una spinta all’economia. Ma la governatrice teme l’aumento di deficit e debito come ulteriore fattore di spinta all’inflazione. Il piccolo taglio di venerdì ha forse calmato un po’ le acque, temporaneamente.

La Commissione Ue intanto dubita dei dati ufficiali che arrivano dal Cremlino e ritiene che le condizioni dell’economia siano più deteriorate di quello che viene documentato. Il differenziale tra inflazione e tassi di interesse (7% e 21%) sembra eccessivo, non giustificato dalla sola necessità di arginare l’aumento dei prezzi. Va però ricordato che, negli ultimi 3 anni, le previsioni europee su Mosca si sono rivelate essere più desideri che valutazioni accurate. È indubbio che l’economia russa non possa reggere questa situazione in eterno ma ciò non significa che non possa farlo per più tempo di quanto auspicato in Europa.

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