El Rodeo, la prigione “invivibile” dove è detenuto Alberto Trentini. La madre: “Dobbiamo ribellarci”
- Postato il 18 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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“Otto mesi sono troppi e dobbiamo ribellarci”. Più chiare che mai le parole di Armanda Colusso, madre di Alberto Trentini, mentre denuncia il silenzio del governo Meloni sul dramma di suo figlio, il cooperante veneto di 45 anni, detenuto in Venezuela dal 15 novembre 2024, mentre lavorava per l’Ong “Humanity and Inclusion”. Parole ancor più incisive se si tiene conto del contesto in cui sono state pronunciate: piazzale Clodio, a margine dell’udienza per Giulio Regeni, con anche il sostegno dei genitori del ricercatore ucciso nove anni fa al Cairo. Il monito è chiaro: salvare Trentini imparando dal passato, e quindi senza temporeggiare.
È vero, otto mesi sono troppi, soprattutto se si tiene conto delle condizioni detentive che rendono El Rodeo I una prigione invivibile. Basta spostarsi in Venezuela per rendersene conto. Proprio ieri, a Caracas, il partito di opposizione Primero Justicia ha chiesto al governo centrale la “chiusura” definitiva della struttura penitenziaria. La richiesta è stata avanzata da María Beatriz Martínez, legale rappresentante della formazione politica, che ha denunciato “l’isolamento totale” dei detenuti, sottoposti a “temperature estreme” all’interno di celle “di due metri quadrati” nelle quali “l’aria non circola”. Martínez ha anche denunciato la “scarsa alimentazione” dei detenuti, ai quali non è neppure permessa l’entrata di provviste da parte dei familiari. Inoltre i detenuti avrebbero solo “due minuti di acqua al giorno” per potersi lavare.
Il carcere – El Rodeo I è una delle tre prigioni che compongono l’omonimo complesso, El Rodeo, con una capienza di 750 detenuti mentre ne ospita il doppio, accusando condizioni di sovraffollamento. Un male assai conosciuto in Italia. Il carcere, con sede nel municipio Zamora, stato Miranda, è stato costruito nel 1980 e dal 2024 – su decreto presidenziale di Nicolas Maduro – è gestito dalla Direzione generale di controspionaggio militare (Dgcim), il che rappresenta “un passo indietro” nella tutela dei diritti fondamentali, come si legge nel rapporto steso dall’Alto commissario per i diritti umani Volker Türk. Quanto ai prigionieri politici, El Rodeo I ne ospita quarantacinque di cui alcuni stranieri detenuti nell’ambito delle tensioni che dalle elezioni presidenziali dell’estate scorsa dominano la vita politica del Paese sudamericano. Fonti diverse sostengono che le condizioni detentive degli stranieri, che si trovano in un settore ad hoc, siano più umane rispetto a quelle in cui si trovano i prigionieri locali. Tuttavia gli stranieri non possono ricevere beni di nessun tipo né visite consolari – finora non permesse neppure per Trentini – o di familiari, rendendo quasi impossibile l’accertamento delle loro condizioni di prigionia. “Se avete qualcuno là dentro fate presto a liberarlo: imparate dagli americani”, dicono da Caracas, facendo riferimento alle operazioni di mediazione eseguite dall’inviato Usa Ric Grenell.
Le preoccupazioni – A El Rodeo I i familiari hanno appena venti minuti di colloquio a settimana con i detenuti, che equivalgono a ottanta al mese. “Ogni settimana faccio cinque ore di strada per poter incontrare mio figlio, ma le guardie a volte non mi fanno accedere al penitenziario: anche questa è una forma di castigo per i detenuti”, dice a Ilfattoquotidiano.it la madre di uno dei detenuti, che ha chiesto di rimanere anonima per “evitare rappresaglie di ogni genere”.
Un’altra madre, che appartiene al Comitato per la libertà dei prigionieri politici, confessa le proprie preoccupazioni per lo stato psicofisico di suo figlio. “Avrà perso almeno dieci chili, da quando è lì dentro. Ma non ci fanno entrare gli alimenti”, ha osservato, “tra noi familiari è nata un’importante rete di sostegno: ci aiutiamo a vicenda portando medicinali e vestiti per i parenti detenuti, tenendo conto che molti vivono nelle aree interne e non hanno risorse a sufficienza per sostenere viaggi né spese di vario genere”. Fatima Sequea, sorella del capitano Antonio Sequea, anch’egli detenuto al Rodeo I, che commenta le condizioni disumane del penitenziario. “Quando mia madre entra lì le inseriscono un cappuccio in testa, finché non arriva alla stanza dei colloqui con mio fratello”, spiega Sequea sottolineando che “le conversazioni sono registrate e se le guardie si insospettiscono la visita viene interrotta”.
Un ambiente malsano – Malattie cutanee, respiratorie e di altro genere sono all’ordine del giorno, al Rodeo I, dove le condizioni di igiene non risultano tutelate al meglio dalle autorità venezuelane. “Più volte abbiamo chiesto condizioni igieniche e di ventilazioni più umane, al fine di tutelare la salute già delicata dei prigionieri”, sostengono i membri del Comitato per la libertà dei prigionieri politici, “tuttavia nessuno ci ha dato ascolto”. Anzi, secondo alcuni familiari, di recente le condizioni detentive della prigione si sono ulteriormente aggravate. A renderlo noto è stata l’ong “Justicia, encuentro y perdon”, che sostiene di aver ricevuto diverse denunce su “possibili focolai di dengue e tubercolosi” a El Rodeo I e II, denunciando “scarse condizioni igieniche” e “attenzione medica insufficiente”.
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