Elezioni regionali 2025: boom di astensionismo, la mappa del voto in Campania, Puglia e Veneto
- Postato il 26 novembre 2025
- Politica
- Di Paese Italia Press
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Nel fine settimana del 23 e 24 novembre 2025 gli elettori di Campania, Puglia e Veneto sono stati chiamati alle urne per rinnovare i governi regionali. In tutte e tre le regioni i presidenti uscenti – Vincenzo De Luca in Campania, Michele Emiliano in Puglia e Luca Zaia in Veneto – non erano più ricandidabili a causa del limite di mandati. Il voto ha dunque sancito un passaggio di testimone generazionale e politico: Roberto Fico in Campania, Antonio Decaro in Puglia e Alberto Stefani in Veneto sono i nuovi presidenti regionali.
Roberto Fico, sostenuto da una coalizione ampia di centrosinistra, ha ottenuto il 60,63 % dei voti (1.286.188 preferenze). Dietro di lui Edmondo Cirielli, candidato del centrodestra, ha raccolto il 35,72 % (757.836 voti), seguito da Giuliano Granato 2,03 % (43.055), Nicola Campanile 0,95 % (20.235), Stefano Bandecchi 0,49 % (10.497) e Carlo Arnese 0,17 % (3.663). Così la lunga era di De Luca, al governo per due mandati, si è conclusa.
In Puglia Antonio Decaro ha prevalso con il 63,97 % (919.665 voti). Luigi Lobuono del centrodestra si è fermato al 35,13 % (505.055), Ada Donno della lista civica “Puglia pacifista e popolare” ha raccolto lo 0,70 % (10.070), Sabino Mangano dell’Alleanza Civica per la Puglia lo 0,20 % (2.819). Con la vittoria di Decaro si chiude il mandato di Michele Emiliano dopo due legislature.
In Veneto Alberto Stefani, sostenuto dal centrodestra, ha vinto con il 64,39 % (1.211.356 voti). Dietro di lui Giovanni Manildo del centrosinistra ha ottenuto il 28,88 % (543.278), il candidato civico Riccardo Szumski 5,13 % (96.474), Marco Rizzo 1,09 % (20.574) e Fabio Bui 0,51 % (9.590). Con questa vittoria si conclude l’epoca di Luca Zaia, al governo della regione per quindici anni.
Ma al di là dei risultati, il dato più allarmante è stato il crollo dell’affluenza. In Veneto ha votato il 44,6 % degli aventi diritto, in Campania il 44,06 %, in Puglia il 41,82 %. Il dato medio nazionale si attesta su circa il 43,6 %, molto al di sotto del 57,6 % registrato nel 2020.
Il calo di partecipazione non è stato trascurato dai commentatori nazionali e internazionali. Da un lato questa tornata conferma le tradizionali “geografie del voto”: il centrosinistra resta forte al Sud, il centrodestra conserva le sue roccaforti al Nord. Dall’altro, l’astensionismo record è stato interpretato come un segnale di crescente disaffezione civica, un campanello d’allarme per la qualità della rappresentanza e la legittimità delle istituzioni.
Analisi di studiosi e sociologi mostrano che il fenomeno non è episodico, ma riflette dinamiche strutturali: parte degli elettorato più istruito e consapevole sceglie di non votare per protesta o per disillusione, percependo la politica come distante dai propri interessi. Altri semplicemente non votano per motivi pratici – lavoro, impegni familiari, difficoltà logistiche – o perché considerano le elezioni regionali meno decisive di quelle nazionali o europee. Fattori generazionali, di genere e di capitale sociale locale contribuiscono a radicare l’astensionismo in alcune aree dove la partecipazione è cronicamente bassa.
La distribuzione territoriale del voto delinea una “mappa narrativa” chiara. Le vittorie sono state costruite nelle aree metropolitane e nelle province più densamente abitate: nel napoletano e nelle aree urbane della Campania, nelle zone costiere e urbane della Puglia, nelle province venete più popolose. È soprattutto nelle aree interne, periferiche o montane che l’astensionismo ha raggiunto i picchi più alti, riducendo drasticamente la rappresentatività del voto. In Veneto, l’importante 5 % per una lista civica alternativa indica anche un’insoddisfazione crescente verso i partiti tradizionali.
Questo risultato pone una domanda urgente alla politica italiana: come ricollegare i cittadini alle istituzioni quando una vittoria elettorale su larga scala viene espressa da meno della metà degli aventi diritto? I partiti e le coalizioni – per preservare la propria legittimità – saranno chiamati a rafforzare il radicamento territoriale, a proporre politiche concrete e a sperimentare nuove forme di partecipazione e di mobilitazione civica, forse rivedendo le modalità di voto.
Dal punto di vista nazionale, la vittoria del centrosinistra al Sud e il consolidamento del centrodestra al Nord confermano l’equilibrio politico tradizionale. Ma l’astensionismo rappresenta un vulnus che potrebbe influenzare le dinamiche alle Politiche 2027: l’opposizione potrebbe essere rafforzata se riuscisse a coinvolgere gli elettori disillusi; i nuovi governi regionali dovranno governare con un mandato espresso da una minoranza significativa.
Le elezioni regionali 2025 dimostrano non essere solo un passaggio generazionale nella leadership locale. Sono un indicatore di una crisi più profonda della partecipazione e della rappresentanza democratica. Se la tendenza non si inverte, la democrazia italiana sarà chiamata a ripensare modalità di coinvolgimento, legittimazione e ascolto dei cittadini. @Riproduzione riservata
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