Emanuela Orlandi, 40 anni di falsi e bugie finalmente svelati dalla Commissione
- Postato il 13 luglio 2025
- Cronaca
- Di Blitz
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Della batosta ricevuta con la audizione parlamentare della perita e specialista grafologa forense veneziana Sara Cardella, una delle migliori d’Italia, dalla cosiddetta “pista inglese” tanto cara a Pietro Orlandi, che l’ha lanciata nel lontano 2011, Blitzquotidiano ha già scritto.
La batosta era inevitabile: Sara Cardella aveva infatti già parlato chiaro lo scorso dicembre.
La novità dell’ultima ora è che Pietro Orlandi, in vista di una inevitabile nuova convocazione da parte della Commissione parlamentare, è alla affannosa ricerca di un qualche perito che si presti a contraddire Cordella.
In modo che quando la Commissione lo metterà di fronte alla realtà di quei falsi “inglesi” da lui diffusi e legittimati con ostinazione, possa avere qualcosa cui appigliarsi nel tentativo di salvare la faccia.
Difficile però che ci sia qualcuno disposto a contraddire le incontrovertibili DIMOSTRAZIONI della grafologa veneziana. Ma per mandare avanti l’ormai traballante Emanuela Orlandi Show può succedere di tutto: al peggio non c’è mai fine.
Riguardo le famose lettere con le firme copincollate con la tecnica del dropping, quella che risalirebbe al 1993 a firma del cardinale Vicario Ugo Poletti diretta al funzionario del governo britannico Frank Cooper – per ringraziarlo delle sue attenzioni per la asserita gravidanza di Emanuela Orlandi “ospite forzata a Londra” – oltre a quelle grafologiche messe in luce da Sara Cordella ha altre due pecche:
– Cooper, il presunto destinatario della lettera, ha già fatto sapere di non averla mai ricevuta. L’ha perciò disconosciuta;
– nel momento in cui Poletti avrebbe scritto quella lettera non ricopriva più la carica di Vicario da ben due anni.
Alla brutta frana delle lettere, nella “pista inglese” ci sono però altre frane già indicate dalla grafologa veneziana.
Pietro Orlandi in tv

1) – La fotografia della collanina.
Pietro Orlandi ha mostrato in televisione circa 2 anni fa una fotografia in bianco e nero della presunta mano sinistra di Emanuela con adagiata sul palmo una collanina giallo- rossa. Tale fotografia gli sarebbe stata messa a disposizione dalla persona a suo dire vicina all’ambiente dei NAR che gli avrebbe raccontato della lunga permanenza londinese di Emanuela. La foto costituirebbe quindi la prova della verità del racconto dell’ignoto interlocutore.
La collanina, che aveva i colori della squadra di calcio della Roma, sarebbe quella che secondo Pietro Orlandi Emanuela portava abitualmente al collo e anche il giorno della scomparsa. Strano quindi, molto strano, che la collanina a suo tempo NON sia mai stata citata da amiche, amici e insegnanti di musica di Emanuela.
E addirittura assurdo che NON figuri affatto negli articoletti fatti scrivere su alcuni giornali da zio Mario Meneguzzi nei giorni immediatamente successivi alla scomparsa.
A parte queste stranezze, che facciamo rilevare per la prima volta, Sara Cordella ha svolto uno studio anche su tale foto. E ha concluso, DIMOSTRANDOLO, che anche in questo caso si tratta di un fotomontaggio: effettuato ritagliando la collanina da una fotografia vera ed applicandola poi sulla fotografia di una mano.
La collanina infatti, come ci ha sempre tenuto a dire lo stesso Pietro Orlandi, è fatta di materiale morbido, che perciò si adegua anche se di poco al punto del corpo dove si trova. Se si trova appoggiata sul palmo di una mano, l’allineamento della collanina dovrebbe essere non sempre perfettamente rettilineo e sullo stesso piano. Invece nel caso delle due fotografie esibite dall’Orlandi come prova certa la linea formata dalla collanina NON presenta nessuna curva, neppure la più leggera. Ciò dimostra inequivocabilmente che nelle due foto ricevute da Pietro Orlandi la collanina sul palmo della mano è stata ritagliata dalla fotografia di Emanuela con la collanina al collo.
3) Il biglietto con scritto “Con tanto affetto la vostra Emanuela”.
Il telefonista soprannominato l’Amerikano fa rinvenire in un cestino della spazzatura in piazza del Parlamento (nel cui edificio lavorava lo zio Mario Meneguzzi con suo figlio Pietro) la fotocopia di un biglietto manoscritto in cui si legge in corsivo “Con tanto affetto” e nella riga sottostante “la vostra Emanuela”.
Riguardo tale biglietto Sara Cordella ha concluso che le due frasi sono state scritte con ogni probabilità da Emanuela, sì, ma in tempi diversi e ritagliate dalle pagine di un suo diario o da un altro suo scritto per essere incollate su carta: il bigliettino non è altro che la fotocopia di tale collage.
Tutto ciò però significa che il bigliettino in questione è stato prodotto da chi disponeva davvero di scritti di Emanuela: forse quelli preplevati nella sua stanza dopo la sua scomparsa dagli agenti dei servizi segreti civili italiani (all’epoca SISDE)? O prelevati da uno dei parenti spesso presenti nell’abitazione degli Orlandi?
Veniamo ora ad altre cose che non sarebbe male chiarire avvalendosi magari del contributo della stessa grafologa Cordella.
4) Le quattro lettere spedite da Boston arrivate tra il settembre 1983 e il gennaio 1984 al giornalista Richard Roth, corrispondente a Roma della rete CBS. In questo caso è stata recentemente acquisita la prova sicura della presenza in questa faccenda del fotografo e regista amatoriale di nicchia Marco Fassoni Accetti.
Una ragazza romana
Infatti la ragazza romana Gabriella B., nel 1983 diciannovenne, interrogata dal magistrato della procura di Roma Stefano Luciani ha di recente ammesso di aver registrato, a richiesta di Fassoni Accetti, una parte del messaggio fatto rinvenire in una audiocassetta allegata a una delle lettere inviate a Roth.
Quando era titolare dell’indagine il magistrato Domenico Sica in base alla indagini delle polizia giudiziaria ha concluso che tutte le quattro missive hanno in comune la stessa grafia e la carta usata.
Tutto ciò significa che le lettere inviate da Boston sarebbero tutte opera Fassoni Accetti. Perché le ha scritte?
5) – Il pomeriggio del 4 settembre una telefonata all’Ansa di Roma attribuita al cosiddetto Americano consentiva di rinvenire in un furgone della RAI a Castelgandolfo una lettera manoscritta e in un cestino dei rifiuti a Porta Angelica, molto vicino all’abitazione della famiglia Orlandi, una busta con all’interno una lettera manoscritta, un’audiocassetta e la fotocopia del frontespizio di un album di spartiti per flauto del compositore Luigi Hugues.
Sul frontespizio dello spartito erano appuntati a penna, con frammenti di carta appiccicati a collage per essere fotocopiati, i nomi e gli indirizzi di tre amiche di Emanuela scritti con una calligrafia riconoscibile come sua.
La lettera manoscritta faceva cenno a “Pierluigi” e “Mario”, nomi citati in telefonate a casa Orlandi, come due elementi dell’”organizzazione” (quella che avrebbe “rapito” Emanuela), accusava di falso i comunicati firmati Fronte Turkesh e insisteva per la scarcerazione di Ali Agca minacciando in caso contrario altre azioni punitive.
Secondo gli accertamenti condotti a suo tempo da Sica, il manoscritto sarebbe stato redatto dalla stessa mano del messaggio inviato da Boston il 28 settembre e del messaggio recapitato alla madre di Mirella Gregori il 5 settembre 1983, del quale parliamo nel punto successivo.
Anche in questo caso la fotocopia comporterebbe stranamente un contatto diretto con Emanuela dopo la sua scomparsa o immediatamente precedente.
5) – Il 5 settembre 1983 la signora Arzenton madre di Mirella Gregori ha ricevuto un messaggio manoscritto, consegnato l’8 settembre 1983 alle autorità dell’epoca dall’avvocato Gennaro Egidio, legale sia degli Orlandi che dei Gregori, anche se da parte di quest’ultimi la nomina pare non sia mai stata formalizzata.
Il messaggio chiedeva un intervento immediato della famiglia Gregori per ottenere un appello pubblico del Presidente della Repubblica Sandro Pertini al rilascio delle due ragazze. Secondo la relazione tecnica comparativa della Polizia Scientifica il messaggio rinvenuto nel furgone a Castel Gandolfo e la lettera giunta ai Gregori il 5 settembre presentano la medesima grafia. La
Tutto ciò induce a pensare alla possibilità di un intervento unico e contemporaneo nelle vicende Orlandi e Gregori da parte di qualcuno che inviava messaggi anche senza avere un legame reale con i due casi e senza il “possesso” delle due ragazze.
Insomma, una sorta di “centrale” di messaggi. Diversa dalla centrale che da Berlisno Est inviava i comunicato a firma Fronte Turkesh.
CONCLUSIONE
Sarebbe una buona idea se la Commissione o i magistrati di Roma e/o del Vaticano affidassero a Sara Cordella il compito grafologico di appurare se si può davvero attribuire, come sembra, alla stessa persona l’invio dei quattro messaggi giunti da Boston, di quello rinvenuto il 4 settembre 1983 a Castel Gandolfo e di quello inviato alla famiglia Gregori il giorno successivo.
Visto che si tratta di depistaggi, anche alquanto sgangherati e frutto di probabile se non evidente protagonismo egomane e mitomane, potrebbe essere utile capire perché sono stati fatti. In modo da farla finita con elucubrazioni fini a se stesse. E che hanno avuto l’unico scopo di confondere e ostacolare le indagini giudiziarie.
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