Eppure questo Giro d'Italia non è tanto male
- Postato il 13 maggio 2025
- Di Il Foglio
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Eppure questo Giro d'Italia non è tanto male
Il Giro d'Italia è ripartito da Alberobello per raggiungere Lecce dopo il primo giorno di riposo, riposo si fa per dire visto che c'era una nave da prendere e un Adriatico da superare, e dopo tre tappe che hanno reso contenti (due volte) Mads Pedersen, Joshua Tarling, Primoz Roglic e pochi altri. E, soprattutto, scontenti i più. A partire dal direttore del Giro d'Italia, Mauro Vegni, che se ne è uscito con un "non capisco perché nessuno abbia provato nulla", riferendosi a quanto accaduto, o meglio non accaduto, nel corso della terza tappa. Non è chiaro se Vegni ce l'avesse con i direttori sportivi o con i corridori. Quel che è certo è che le parole del direttore sono state intese come un attacco a chi non ha attaccato.
Poteva essere diversa la prima tre-giorni del Giro? Poteva. È stata noiosa? Qui si crede di no. Certo non è stata scoppiettante come la grande partenza di un anno fa dal Piemonte. Ma noiosa, no. Il problema principale è che siamo abituati troppo bene e la prima e la terza tappa del Giro sono semplicemente state due tappe come tante ne abbiamo viste. Soprattutto la terza.
È che veniamo da una primavera di grandi corse, di grandi battaglie a pedali. Grandi battaglie, però, di un giorno e non di tre settimane e che soprattutto avevano come protagonisti due corridori che non sono al Giro d'Italia: Tadej Pogacar e Mathieu van der Poel.
Il Giro d'Italia 2025 soffre una crisi di astinenza da Tadej Pogacar. Il campione sloveno non c'è in gruppo e si giudica il Giro come se invece ci fosse, con il metro di giudizio di un anno fa, quando iniziò a scattare alla prima tappa e alla seconda era già in maglia rosa dopo aver rimontato pure la sfortuna sulla salita che porta al Santuario d'Oropa.
Siamo abituati al suo modo di intendere le corse, che poi è lo stesso di Mathieu van der Poel, di Julian Alaphilippe, in buona parte di Remco Evenepoel, tutta gente che al Giro non c'è. Che è lo stesso di Tom Pidcock, di Wout van Aert e Mads Pedersen, che al Giro invece ci sono. Ma che chi, per un motivo chi per un altro, stanno correndo diversamente. Perché l'inglese sta capendo se fare classifica o concentrarsi sulle vittorie di tappa (qui la speranza è che sia la seconda ipotesi). Perché il belga è in condizione precaria e sarebbe strano fosse diversamente dopo il 2024 che ha vissuto. Mads Pedersen invece doveva pensare a vincere e a lui, che è veloce come un velocista, bastava arrivare a uno sprint senza i migliori sprinter in gruppo.
Attaccare sempre, da lontano, alla garibaldina – come si diceva un tempo – è ciò che li contraddistingue, qualcosa di minoritario che ci è apparso, per distorsione della prospettiva, maggioritario. Non è però così. E forse per fortuna. Dobbiamo farcene una ragione.
Al Giro d'Italia di attacchi ce ne sono stati, ma di squadra, nella prima tappa. La Lidl-Trek ha frantumato il gruppo con il ritmo, rendendo difficile, se non impossibile, scattare a quei corridori che lo potevano fare. Era però una salita corta con pendenze dure dure solo in un chilometro.
Nella terza tutto è stato meno avvincente. Un po' perché la cima del Passo di Llogara era distante una trentina di chilometri dall'arrivo; un po' perché il Giro d'Italia di quest'anno è stato disegnato alla maniera di sempre, ossia con una terza settimana troppo piena di salite. E senza un Tadej Pogacar in corsa, c'è chi ci pensa due volte prima di prendersi dei rischi (energetici) il terzo giorno.
Era davvero lecito aspettarsi qualcosa di più dalla tre giorni in terra d'Albania? No. È stata una tre giorni forse modesta ma non certo mesta, capace di farci apprezzare nuovi luoghi e nuovi panorami. E al di là di tutto, della corsa, delle battaglie ciclististiche, è anche questo uno dei motivi per cui vogliamo bene a questo sport. Se davvero gli vogliamo bene.
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