Escalation in Medio Oriente: Israele attacca obiettivi Houthi in Yemen
- Postato il 24 agosto 2025
- Di Panorama
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Nel pomeriggio di domenica, Israele ha lanciato un’operazione militare mirata contro obiettivi Houthi nello Yemen, nei pressi della capitale Sana’a. Secondo quanto riferito da fonti di sicurezza, l’azione ha preso di mira centrali elettriche, il palazzo presidenziale e un deposito di carburante, strutture che – secondo l’esercito israeliano – venivano utilizzate per sostenere le attività belliche della milizia sciita. L’operazione arriva dopo i ripetuti attacchi con missili e droni che, negli ultimi giorni, hanno preso di mira città e infrastrutture civili israeliane. Per Gerusalemme non si tratta di una missione offensiva, bensì di un atto di legittima difesa: eliminare alla radice la minaccia proveniente da una delle milizie più aggressive manovrate dall’Iran.
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno precisato che i raid hanno colpito «le infrastrutture del regime terroristico Houthi nella zona di Sana’a, tra cui un sito militare che ospita il palazzo presidenziale, le centrali elettriche di Asar e Hizaz e un deposito di carburante». Secondo l’IDF, gli Houthi trasformano regolarmente siti civili in strutture militari, una strategia che consente loro di nascondere arsenali e centri di comando all’interno di aree densamente popolate. «L’attacco alle centrali elettriche danneggia la produzione e la fornitura di energia per scopi militari. È la prova di come la milizia utilizzi infrastrutture civili per attività terroristiche», hanno sottolineato i portavoce militari. Secondo fonti interne alla leadership yemenita, i raid israeliani hanno provocato la morte di due comandanti degli Houthi e il ferimento di altri cinque. Mentre erano in corso i bombardamenti, Hazem al-Asad, membro dell’ufficio politico della milizia terroristica, ha diffuso un messaggio di sfida sui social: «Continueremo a sostenere Gaza, a prescindere dal prezzo. L’aggressione contro il popolo yemenita è un fallimento, porterà solo delusione al nemico. Ciò che ci preoccupa è fermare l’aggressione e togliere l’assedio a Gaza. Il nostro popolo continuerà a sostenere e assistere la nostra gente a Gaza, a prescindere dal prezzo». Parole che confermano il legame diretto tra gli Houthi e la causa di Hamas, ma soprattutto l’allineamento strategico alla regia iraniana: un messaggio destinato tanto all’opinione pubblica yemenita quanto a Teheran.
Gli Houthi non colpiscono solo Israele. Negli ultimi mesi hanno intensificato gli attacchi contro navi mercantili e petroliere nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, mettendo a rischio la sicurezza di una delle rotte commerciali più strategiche al mondo. Washington ha parlato di «aggressione sponsorizzata dall’Iran», mentre l’Arabia Saudita – già vittima in passato di droni e missili lanciati dallo Yemen – teme che l’escalation possa riaccendere il conflitto lungo i suoi confini meridionali. L’ONU, attraverso il suo inviato speciale per lo Yemen, ha espresso «profonda preoccupazione» per l’allargamento del conflitto e ha invitato le parti a evitare ulteriori escalation. Ma a Gerusalemme la linea è chiara: finché gli Houthi continueranno a lanciare missili verso il territorio israeliano, gli attacchi preventivi proseguiranno. Gli analisti ritengono probabile un maggiore coinvolgimento degli Stati Uniti e dei Paesi del Golfo nella protezione delle rotte marittime e nella neutralizzazione delle minacce Houthi. Una possibilità è l’espansione delle missioni navali internazionali già presenti nel Mar Rosso, coordinate dal Comando Centrale americano (CENTCOM). Israele, dal canto suo, sembra determinato a non lasciare corridoi scoperti: la dottrina della difesa attiva impone di colpire i nemici ovunque si trovino, prima che possano colpire. La sfida ora sarà contenere l’espansione di un conflitto che rischia di trasformare lo Yemen in un nuovo fronte aperto della guerra regionale guidata dall’Iran.
Il paradosso iraniano: miliardi in armi, blackout in patria
Dietro la forza militare degli Houthi c’è sempre il supporto costante dell’Iran, che fornisce missili balistici, droni di ultima generazione, sistemi radar e componenti elettronici. Le forniture viaggiano attraverso rotte clandestine via mare e via terra, in violazione delle risoluzioni ONU sull’embargo. Eppure, in patria, milioni di iraniani vivono senza accesso regolare ad acqua potabile ed energia elettrica. Nelle ultime settimane, diverse province hanno registrato proteste per blackout prolungati e scarsità di risorse idriche. La popolazione denuncia la scelta del regime di destinare risorse a milizie estere, mentre i servizi essenziali collassano. Per molti osservatori, la strategia di Teheran è chiara: usare i proxy armati – Hezbollah in Libano, Hamas e Jihad Islamica a Gaza, gli Houthi nello Yemen – per accrescere la pressione militare su Israele e i suoi alleati, distogliendo l’attenzione interna da una crisi economica e sociale sempre più drammatica. Sempre domenica il leader supremo iraniano Ali Khamenei è tornato a parlare pubblicamente dopo una lunga assenza, lanciando un duro messaggio agli avversari internazionali. «I nostri nemici hanno subito pesanti sconfitte sul piano militare e hanno compreso che né il sistema islamico né il popolo iraniano possono essere piegati o costretti a sottomettersi con la guerra», ha dichiarato Khamenei. Secondo la sua analisi, l’ostilità degli Stati Uniti nei confronti di Teheran ha radici complesse. «In passato – ha affermato – Washington accusava l’Iran di terrorismo e di violazioni dei diritti umani, invocando il sostegno alla democrazia e ai diritti delle donne per tentare di modificarne la condotta. Oggi, però, l’attuale presidente Donald Trump ha reso esplicito il vero obiettivo: affrontare l’Iran per costringerlo a eseguire gli ordini degli Stati Uniti o a piegarsi alla loro volontà».