Esplosione al porto di Bandar Abbas in Iran: 46 morti e oltre 1.200 feriti, le ultime notizie
- Postato il 28 aprile 2025
- Di Panorama
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Un membro del parlamento iraniano, Mohammad Siraj, ha accusato Israele di essere responsabile, sostenendo che ordigni esplosivi erano stati piazzati all’interno dei container coinvolti ma non ha mostrato nessuna prova.
Il bilancio della devastante esplosione avvenuta nel porto iraniano di Bandar Abbas è salito ad almeno 46 morti e oltre 1.000 feriti (190 ricoverati in ospedale), secondo quanto riportato domenica dai media statali. Le autorità iraniane stanno ancora indagando per determinare le cause dell’incidente. L’esplosione di sabato ha colpito la sezione Shahid Rajaee del porto, il principale hub di container dell’Iran, frantumando vetrine nel raggio di chilometri, strappando lamiere dai container e causando gravi danni alle merci custodite al loro interno, secondo quanto riportato dai media statali. Un membro del parlamento iraniano, Mohammad Siraj, ha accusato Israele di essere responsabile, sostenendo che ordigni esplosivi erano stati piazzati all’interno dei container coinvolti. Siraj ha affermato che «prove evidenti »indicherebbero il coinvolgimento israeliano, pur ammettendo che potrebbero esserci stati anche fattori interni. Tuttavia, non ha fornito prove concrete a sostegno delle sue dichiarazioni mentre la Guida suprema dell’Iran, l’ayatollah Ali Khamenei, ha ordinato alle autorità di avviare un’indagine approfondita sull’esplosione.
Un funzionario israeliano, citato dai media ebraici, ha negato qualsiasi coinvolgimento nell’esplosione, mentre la leadership di Israele non ha rilasciato commenti ufficiali. Durante la risposta al massiccio attacco missilistico iraniano dello scorso ottobre, Israele aveva già preso di mira siti strategici dove Teheran utilizza miscelatori industriali per la produzione di combustibile solido destinato ai suoi missili. Nel frattempo, il New York Times ha riferito -citando una fonte anonima legata al Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica iraniana- che l’esplosione sarebbe stata causata dal perclorato di sodio, una sostanza chimica utilizzata come componente del combustibile solido per missili. Secondo la società di sicurezza privata Ambrey, il porto aveva accolto un carico di perclorato di sodio già a marzo, proveniente dalla Cina tramite due navi. Anche stavolta emerge il ruolo della Cina come fornitore di materiali utili alla guerra contro Israele esattamente come accade con la Russia rifornita di materiali sensibili da usare contro l’Ucraina attraverso Paesi terzi. I cinesi continuano a negare di essere coinvolti nei due conflitti ma ormai è evidente che mentono.
Il Financial Times aveva documentato a gennaio l’arrivo della spedizione. Il ministero della Difesa iraniano ha però smentito l’ipotesi di un’esplosione dovuta a una cattiva gestione del combustibile missilistico. Un portavoce, intervistato dalla TV di Stato, ha definito queste notizie «parte delle operazioni psicologiche del nemico» e ha assicurato che nella zona colpita non erano presenti carichi militari. Non è chiaro perché l’Iran non abbia provveduto a rimuovere le sostanze chimiche dal porto, soprattutto dopo l’esplosione avvenuta nel porto di Beirut nel 2020. In quell’occasione, l’innesco di centinaia di tonnellate di nitrato di ammonio altamente esplosivo provocò oltre 200 morti e più di 6.000 feriti. Sabato scorso, Stati Uniti e Iran si sono avvicinati ai negoziati sul nucleare, ma restano profonde divergenze, in particolare sulla possibilità per Teheran di continuare ad arricchire l’uranio. I colloqui si sono conclusi senza un accordo, ma con l’impegno a riprendere presto le discussioni. «Alcune delle nostre divergenze sono molto serie», ha ammesso il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi alla televisione di Stato. «Possiamo raggiungere un’intesa? Sono fiducioso, ma anche molto cauto». Da parte americana, un alto funzionario dell’amministrazione Trump ha definito l’incontro «positivo e produttivo», pur senza entrare nei dettagli delle questioni ancora irrisolte. Il prossimo round di colloqui è previsto a breve in Europa. La riunione di sabato, durata oltre quattro ore, è stata il terzo incontro negoziale di questo mese. Vi hanno preso parte Araghchi e l’inviato speciale degli Stati Uniti, Steve Witkoff, arrivato in Oman dopo un vertice a Mosca con il presidente russo Vladimir Putin. Per la prima volta, inoltre, team tecnici di entrambe le delegazioni hanno affrontato temi concreti, tra cui le modalità per limitare le attività nucleari iraniane e l’eventuale rimozione delle sanzioni. Come ha ricordato il Wall Street Journal ogni mese, l’Iran produce abbastanza uranio arricchito per realizzare una singola arma nucleare e, secondo funzionari statunitensi, basterebbero solo una o due settimane per convertirlo in materiale adatto alla costruzione di ordigni. La fabbricazione di una bomba vera e propria richiederebbe invece alcuni mesi in più. Tuttavia, l’intelligence americana ritiene che la guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, non abbia ancora autorizzato il passaggio alla fase militare.
Trump ha concesso due mesi per chiudere un accordo, minacciando esplicitamente il ricorso alla forza militare se Teheran si rifiutasse di negoziare. «Penso che troveremo un accordo, preferisco di gran lunga un’intesa piuttosto che l’alternativa», ha dichiarato venerdì ai giornalisti. Le parole di Araghchi lasciano tuttavia intendere che il processo sarà tutt’altro che rapido: «I negoziati sono un percorso difficile e richiedono tempo», ha sottolineato.Il team tecnico statunitense nei negoziati era guidato da Michael Anton, capo dell’Ufficio di Pianificazione politica del dipartimento di Stato ed ex portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale durante la prima amministrazione Trump. Anton si è confrontato con i veterani negoziatori iraniani Majid Takht–Ravanchi e Kazem Gharibabadi. Il prossimo round di colloqui potrebbe coinvolgere anche un esperto dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), l’ente che supervisiona le ispezioni sul programma nucleare iraniano, ha anticipato Araghchi. L’Aiea, che ha in programma di inviare una squadra in Iran nei prossimi giorni, ha chiesto chiarimenti sulla presenza di tunnel nei pressi dell’impianto nucleare di Natanz, dove sono installate le centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Giovedì scorso, l’Istituto per la scienza e la sicurezza internazionale di Washington ha diffuso immagini satellitari che mostrano un nuovo tunnel e un perimetro di sicurezza rinforzato attorno al sito. Alla domanda che cosa fosse quel tunnel gli iraniani non hanno risposto. E Israele? Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, intervenendo alla conferenza politica del Jewish News Syndicate a Gerusalemme, ha affermato un accordo nucleare con l’Iran deve eliminare la sua capacità di arricchire l’uranio, ha mentre gli Stati Uniti sono impegnati in negoziati diretti con Teheran. «Un vero accordo è quello che rimuove la possibilità per l’Iran di arricchire uranio a fini militari», ha sottolineato Netanyahu. La posizione americana appare allineata: il segretario di Stato Marco Rubio ha dichiarato la scorsa settimana che Washington mira a un’intesa che vieti l’arricchimento dell’uranio da parte di Teheran. Una linea che incontra tuttavia la ferma opposizione iraniana: il capo negoziatore Araghchi ha infatti definito l’arricchimento dell’uranio «non negoziabile». Una cosa è certa; se Israele non vedrà soddisfatte le sue richieste agirà militarmente con o senza gli Stati Uniti.