Ex Ilva, accordi al palo e vertici infiniti: Taranto resta sospesa

  • Postato il 15 luglio 2025
  • Di Panorama
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Taranto, estate 2025. La temperatura si alza, il mare è splendido, l’aria un po’ meno. Ma l’unica cosa che ribolle più della cokeria è il tavolo sull’ex Ilva. O meglio: il tavolo dei rinvii, delle dichiarazioni entusiaste e delle firme simboliche. Perché anche questa volta, dopo quattro ore di discussioni al ministero delle Imprese e del Made in Italy, il risultato è stato un rinvio:  nuovo appuntamento il 31 luglio, per la precisione.

Nel frattempo, però, c’è un verbale. Firmato. Con tanto di entusiasmo ministeriale. Un successo – dicono – in nome di un «clima collaborativo». Tradotto: non si è litigato troppo forte. Almeno non davanti ai sindacati.

La verità? Gli accordi non si firmano perché i protagonisti istituzionali – sindaco di Taranto e presidente della Regione Puglia – sembrano giocare a Risiko invece che a costruire un futuro per lo stabilimento siderurgico più grande d’Europa. La nave rigassificatrice che deve garantire la decarbonizzazione più che una soluzione è diventata il simbolo di una guerra fredda tutta pugliese.

Da una parte il sindaco appena eletto, Piero Bitetti, che chiede tempo, rimanda al consiglio comunale, invoca partecipazione e responsabilità condivisa (una volta scaricabarile, oggi  “democrazia deliberativa”). Dall’altra Michele Emiliano, presidente della Regione e attore instancabile della scena politico-mediatica, che a ogni dichiarazione alterna drammaturgia  e sfiducia istituzionale: «L’Italia delega a Taranto il proprio destino industriale». Ma intanto non si prende nemmeno la briga di dirci cosa vuole fare davvero col rigassificatore.

E così, mentre il governo prova a mettere in piedi l’acciaieria green più avanzata d’Europa (otto milioni di tonnellate di acciaio “buono”, sei solo a Taranto), il Sud si divide, le decisioni slittano e il piano di decarbonizzazione resta incastrato tra le valutazioni tecniche e i dubbi politici. Del resto, è noto: senza la benedizione del consiglio comunale, i forni elettrici non si accendono.

Per evitare che anche stavolta il tavolo finisse come una riunione di condominio con più deleghe che decisioni, il ministro Urso ha estratto l’asso dalla manica: una commissione tecnica. Una per tutte, tutti per una. Ci saranno dentro tutti: ministeri, enti locali, Snam, porti, comuni, e forse anche un paio di tecnici con la voglia di lavorare davvero. Entro il 28 luglio dovranno decidere tutto. O almeno qualcosa. Tipo se il gas serve, se la nave si può parcheggiare, se i forni si possono accendere senza far esplodere il dibattito.

Intanto, il 30 luglio il consiglio comunale di Taranto si riunirà per fare ciò che si doveva fare già mesi fa: prendersi la responsabilità politica di scegliere. Che sia un sì, un no, o un altro “ni” travestito da mozione interlocutoria.

Il giorno dopo, tutti di nuovo a Roma per il grande tavolo – lo stesso, rinnovato, rimpastato, rivisitato – con la speranza che questa volta si firmi qualcosa di più di un verbale. Magari un accordo vero. Magari un piano operativo. Magari un impegno che vada oltre i titoli dei comunicati stampa.

Nel frattempo, l’unico vero atto concreto è l’istituzione di un «impegno formale» per i lavoratori in esubero. Un punto importante, per carità. Ma ancora una volta, sembra che la politica stia giocando a scacchi con pedine umane.

Alla fine, forse, sarà l’Europa a doverci spiegare cosa fare di Taranto. Oppure saranno gli azeri della Baku Steel, in attesa che la gara venga riaperta “alla luce delle nuove condizioni”. Ma attenzione: la luce, a Taranto, è ancora quella dei forni. E non è detto che illumini la strada.

Autore
Panorama

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