F1 Pitt e Bardem film supersonico e adrenalinico. Produce Bruckheimer di Top gun: Maverick
- Postato il 27 giugno 2025
- Cinema
- Di Il Fatto Quotidiano
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“Non ce la fa più? O non ce l’ha mai fatta?”. Sarà, ma a noi l’attempato, acciaccato e comunque spericolato pilota Sonny Hayes, interpretato da Brad Pitt in F1 di Joseph Kosinski, è piaciuto assai. Disegna una mezza e sgualcita piega, una silhouette accidentata, un “incidente” tra gli eroi spacconi del cinema eroico sportivo, dentro ad un film supersonico, adrenalinico, dritto sparato verso le due ore e 37 che passano in un amen. In pratica Kosinski e lo sceneggiatore Ehren Kruger propongono una versione di Top Gun: Maverick ambientata tra box e circuiti di Formula 1.
Visti i magri risultati della sua scuderia di F1, la APXGP, il proprietario Ruben Cervantes (Xavier Bardem) offre all’amico ed ex collega Hayes (Pitt) la possibilità di tornare alle gare della massima serie monoposto dopo che negli anni novanta Hayes, superando Senna in curva (c’è il delizioso filmato vintage piallato in post con Pitt dal lungo capello) si era sfracellato contro un muro distruggendosi vertebre, ossa e carriera. Ritiratosi vagabondo ed itinerante sul proprio pullmino alla ricerca volontaria di ingaggi estemporanei su bolidi di ogni categoria, l’ex tassista Hayes ha comunque appena vinto la 24ore di Daytona, mantenendo un tale basso profilo pubblico che nessuno quasi lo riconosce. Alla APXGP il pilota vecchietto affiancherà Joshua Pearce (Damson Idris), il pivello spavaldo, tutto allenamenti ipertecnologici e sorrisi per social e stampa.
In pratica siamo sulla direttrice vecchio-giovane Pete Maverick (Cruise)/Bradley Rooster(Teller), con il vegliardo che ha ancora parecchie cartucce da sparare e di consigli da dispensare con irruenza al pur talentuoso pivello. Poi certo, i fantasmi del passato, di natura psicologica o di salute, obnubilano veglia e sonno di Sonny, ma è lui, prima consapevole di un auto che non va da nessuna parte a lavorare di ostruzionismo nelle ultime file della gara, poi con le migliorie tecniche alla vettura ottenute dalla direttrice tecnica del team (una sbarazzina Kerry Condon) al lancio di Joshua verso il trionfo che l’APXGP non ha mai conseguito.
F1 è un’immersione totale e mimetica nel “realismo” abituale della cronaca di una corsa in tv o dell’interattività del videogame. I punti macchina, pardon, sulla macchina guidata spesso realmente a 300 all’ora da Pitt si moltiplicano esponenzialmente – soggettive, profili sezionati tra destra e sinistra, scavalcamenti di campo, primissimi piani alla Leone.
Il fittissimo tessuto tra montaggio esasperato e commento pop musicale sparato di continuo spingono ad un galoppo percettivo che non solo non ha mai pause nel ritmo, ma che proprio grazie a questo stare dentro a circuiti, paddock, vetture e officine reali, o sempre più naturalmente prossimi a queste apparizioni vere dei campioni che escono o entrano nelle vetture (Hamilton, Leclerc, Alonso&co.), catapultano lo spettatore su una giostra lucidissima, verosimile, irresistibile dell’epica sportiva. Come per Top gun: Maverick e per decine di blockbuster del recente passato (il franchise Pirati dei Caraibi, Beverly Hills, ma anche Pearl Harbor e Black hawk down) la firma produttiva di Jerry Bruckheimer è una garanzia di spettacolo di eccellente livello tecnico, come drammaturgicamente non sciocco o superficiale. Pitt con l’andare degli anni trova sempre più ruoli nobili e ispirati. Sulla pit lane non solo appare Lewis Hamilton (che è tra gli executive del film), ma anche il suo bulldog Roscoe.
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