Febbre dei droni, tutti li vogliono ma non riescono a produrli

  • Postato il 16 ottobre 2025
  • Di Panorama
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La febbre dei droni da guerra, soprattutto di quelli piccoli e a basso costo, non accenna a ridursi. C’è però un problema: nessuno, tranne la Cina, oggi riesce a costruirne con la rapidità necessaria per poterli utilizzare in combattimento, quindi perdendoli. Il punto è questo: i sistemi a pilotaggio remoto più leggeri evolvono rapidamente dal punto di vista tecnico e riempire gli arsenali per poi non utilizzarli li rende inutili nel giro di poco tempo, anche meno di un anno. Lo sanno bene gli ucraini, che però li utilizzano in continuazione contro i russi, lo sanno cinesi, turchi e iraniani. Gli europei se ne sono accorti e proprio quello della produzione è uno degli argomenti più spinosi del progetto “Muro di droni” che Bruxelles ha annunciato ormai due settimane fa.

Lo stesso problema di tempistiche e forniture esiste negli Usa, per questo l’esercito americano sta rapidamente trasformando la sua base industriale in una moderna rete di fabbriche di droni, scoprendo quanto sia difficile passare dai prototipi alla produzione di massa. Il Tenente Generale Christopher Mohan, attuale comandante del Materiel Command, in una recente intervista alla testata Defense News ha dichiarato: “Sappiamo come produrre ciò che ci serve, ma i droni sono diversi. Possiamo realizzare i cablaggi, potremmo occuparci di parte della microelettronica, ma o non abbiamo le capacità di costruire componenti come i motori elettrici brushless (letteralmente ‘senza spazzole’, tecnologia appannaggio della Cina e per una piccola quantità di Slovena e di qualche azienda nordeuropea, ndr), e dobbiamo acquistare i macchinari per farlo.”

L’impegno dell’Esercito arriva sulla scia delle lezioni apprese dalla guerra in Ucraina, dove droni economici e le munizioni vaganti hanno rimodellato il campo di battaglia e in molti casi sopraffatto le forze convenzionali. Gli Stati Uniti, al contrario, hanno faticato ad aumentare la produzione, affidandosi a fornitori commerciali e a piccole realtà. Tale divario sottolinea la necessità di una filiera industriale nazionale ad alto volume in grado di schierare rapidamente migliaia di droni. Dunque, nonostante l’Esercito Usa si trovi ad affrontare ostacoli tecnici, burocratici e finanziari, sta anche trasformando depositi e arsenali che un tempo producevano parti di carri armati e proiettili di artiglieria in una rete distribuita di fabbriche di droni. E l’obiettivo è arrivare a una capacità di 10.000 sistemi al mese.

Nella stessa intervista, il colonnello Eloy Martinez, comandante del Rock Island Arsenal (Illinois), ha dichiarato: “A differenza dell’Ucraina, in stato di guerra, abbiamo molte leggi da rispettare; è la burocrazia, dunque come possiamo abbattere queste barriere? Come possiamo ridurre i tempi?” Secondo la generale di brigata Beth Behn, comandante dell’Army Tank, ora è imperativo che l’Esercito trovi il modo di muoversi il più velocemente possibile. E a differenza dei suoi colleghi, la generale Behn aveva trascorso sei mesi con il Security Assistance Group–Ucraina tra l’estate e l’autunno del 2023. Da quella esperienza ha ricordato: “Ho assistito in prima fila al conflitto e sono tornata impressionata. Non c’è altra scelta che adattarci, anche perché mi resi conto di quanto poco la minaccia dei droni, in continua evoluzione, avesse penetrato la mentalità dell’Esercito americano. Sono passati quasi due anni e ora abbiamo corsi per operatori di droni, stiamo lavorando alla produzione e abbiamo messo in campo le nostre capacità nelle formazioni muovendoci rapidamente. Penso quindi che siamo sulla buona strada.”

Ora prende però forma il progetto SkyFoundry di Rock Island, stabilimento pronto a stampare droni in 3D avendo investito in modo significativo nella costruzione di un impianto di produzione avanzato ad alta tecnologia. Un intero edificio del complesso è pieno di diverse stampanti in grado di produrre un’ampia gamma di parti e componenti in vari materiali, anche metalli e materiali compositi. L’arsenale sta già producendo corpi e telai di droni utilizzando la produzione additiva e attende l’arrivo di altre stampanti 3D da parte della società Impossible Objects per permettere ai militari di stampare 120.000 telai di droni all’anno. Una volta operativa, la stampante potrebbe produrre fino a 60 piccoli droni all’ora a costi inferiori ai 100 dollari a drone, consentendo all’esercito di creare sistemi che possono essere sacrificati in combattimento.

Il centro dell’Esercito di Tobyhanna (Pennsylvania) si sta invece concentrando su cablaggi, microelettronica e motori brushless, mentre il deposito dell’esercito di Red River (Texas) si occuperà della produzione delle batterie e dell’assemblaggio finale. A Tobyhanna saranno invece prodotti i motori brushless e la microelettronica. Tuttavia, l’Esercito Usa, ma anche quelli europei, non hanno ancora perfezionato i loro requisiti tecnici, fondamentali per progettare e costruire. E tali caratteristiche dovranno poi inevitabilmente essere portate anche innanzi ai comitati tecnici della Nato.

Non bisogna dimenticare che la spinta alla modernizzazione si collega anche a iniziative più ampie volte a ridurre la dipendenza da fornitori esteri. Il 90% dei componenti dei droni proviene da Cina e Taiwan e i sistemi che stiamo costruendo non contengono – e non devono contenere – componenti cinesi.

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Panorama

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