Festa della mamma, un occasione per riflettere sul concetto di maternità
- Postato il 11 maggio 2025
- Di Panorama
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Ogni seconda domenica di maggio si celebra la festa della mamma. Una data mobile, incerta, quasi sempre circondata da tenerezza e gratitudine. Ma se da un lato la ricorrenza porta con sé l’abbraccio dei figli, le poesie dei bambini, le vetrine fiorite e quest’anno un freddo fuori stagione, dall’altro può – e forse deve – essere anche un’occasione per interrogarsi su ciò che davvero si racconta della maternità. Non tanto come archetipo o funzione, ma come esperienza concreta, radicale, spesso ambivalente. E, più in particolare, su quanto poco spazio questa esperienza abbia avuto nella narrazione letteraria, musicale e culturale del nostro tempo.
Linda Terziroli, con il suo saggio Venire al mondo. Viaggio letterario nella narrazione del parto (e dell’aborto) (Oligo Editore, 2025), offre una riflessione profonda e coraggiosa su questo tema. Partendo da una domanda tanto semplice quanto scomoda – “perché il parto è quasi sempre assente nei romanzi?” – l’autrice compone un itinerario letterario fatto di citazioni, domande, testimonianze, che svela il grande rimosso culturale della nascita. Non la nascita astratta, quella mitizzata o spiritualizzata, ma quella reale, carnale, dolorosa e miracolosa, che troppe volte la letteratura ha preferito eludere o sintetizzare in poche righe.
Terziroli riscopre pagine dimenticate o trascurate, le raccoglie, le commenta, le collega. Scava nei testi di Mary Shelley, Dostoevskij, Barrera, Veladiano, e accosta riflessioni di filosofi, medici, femministe, ostetriche e scrittrici contemporanee. Il risultato è un libro denso e necessario, che rivendica il diritto della nascita a essere narrata, pensata, nominata. Che restituisce centralità alla madre non come simbolo, ma come corpo e voce.
Ma la riflessione può essere estesa anche ad altri ambiti culturali. Pochi, ad esempio, hanno saputo cantare davvero la maternità nella musica d’autore. Spesso si canta la madre, sì, ma come figura lontana, immobile, quasi sacralizzata, talvolta semplificata, stereotipata. Ne hanno scritto Zucchero, Bennato, Barbarossa, per ricordare i più noti. Ecco nella canzone pop la madre che piange, che aspetta, che accoglie. Raramente quella che partorisce, che sanguina, che sceglie o che si pente. La maternità vera, vissuta, pensata da dentro, resta marginale anche nei versi delle canzoni.
La letteratura, come la musica, sembra più a suo agio con l’epica della morte che con quella della nascita. Se si parla di madri di trovano pagine – a fiumi! – su amore, sesso e anche concepimento, ma raramente si parla di parto. È un paradosso che fa riflettere: tutti siamo nati, ma pochi sanno o vogliono raccontarlo.Eppure, tra le pagine più alte della nostra tradizione, c’è un’eccezione grandiosa: Dante Alighieri. Nel Paradiso, nel canto XXXIII, Dante rivolge a Maria una delle preghiere più sublimi e dense della nostra letteratura: “Vergine madre, figlia del tuo figlio”. In questo ossimoro divino, che tiene insieme maternità e mistero, Dante fa di Maria non solo la madre di Cristo, ma la madre dell’umanità redenta. La figura di Maria è il vertice della maternità spirituale e simbolica, colei che “in grembo tuo si raccese l’amore”, da cui scaturisce la possibilità stessa della salvezza. È un’immagine potente, altissima, che conferisce al ruolo materno una dignità teologica e cosmica. Festeggiare la mamma, e quindi la maternità, è atto tenero ma anche politico, culturale, simbolico. È un invito a riscrivere ciò che è stato taciuto. A dare parole nuove a un’esperienza antica. A riconoscere che il corpo della madre non è solo un veicolo biologico, ma anche un luogo narrativo, poetico, musicale.
In questa festa della mamma, forse possiamo regalare più di un mazzo di fiori. Possiamo regalare ascolto, lettura, tempo e voce. Possiamo riscoprire le parole mancanti – quelle che la letteratura e la musica d’autore stanno ancora cercando. Possiamo cominciare a scriverle. O, almeno, a non dimenticarle.