Filippo Turetta rinuncia all’appello: “Accetto l’ergastolo, voglio pagare per la morte di Giulia”

  • Postato il 14 ottobre 2025
  • Di Panorama
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Una calligrafia minuta, il tratto incerto ma deciso. È la mano di Filippo Turetta, l’assassino reo confesso di Giulia Cecchettin, a vergare poche righe che pesano come macigni: «Rinuncio all’appello. Voglio pagare interamente per la sua morte». La lettera, scritta a mano, è arrivata negli scorsi giorni sui tavoli della Procura Generale e della Corte d’Appello di Venezia, dove il 14 novembre sarebbe dovuto cominciare il processo di secondo grado.

Un gesto che, per quanto tardivo, segna un cambio di rotta nella narrazione di un caso che ha scosso l’Italia intera. Perché in quella rinuncia – dopo mesi di silenzio, di attesa e di rabbia – si legge la resa definitiva di un uomo che ha ucciso per non essere lasciato.

Il peso di un’ossessione

Turetta aveva impugnato la condanna all’ergastolo sostenendo, attraverso i suoi legali, che non ci fosse stata premeditazione. Una linea difensiva fragile, smentita da ogni indizio: la lista delle “cose da fare” trovata sul suo telefono, le ricerche, i messaggi, il coltello. Tutto raccontava una pianificazione fredda e lucida.

I giudici della Corte d’Assise avevano visto in quella sequenza di gesti l’ossessione di un ragazzo incapace di accettare la fine di una storia. E avevano scritto, nero su bianco, che la sua era stata una “volontà determinata a sopprimere la libertà e la vita di Giulia Cecchettin”.

“Non chiedo attenuanti”

Nella sua lettera, Turetta dice di non volere attenuanti. Scrive di essere «davvero pentito», di non cercare «sconti di pena» e di voler «pagare interamente». Parole che arrivano dopo mesi di tensione: l’aggressione subita in carcere, le minacce, la pressione mediatica, e soprattutto il gelo della famiglia Cecchettin.

Gino Cecchettin, il padre di Giulia, aveva respinto l’idea di un percorso di giustizia riparativa. “Non è il momento”, aveva detto. “Non ci sono state né scuse né richiesta di perdono. Mi sembra strumentale.” Una frase che chiudeva la porta a qualsiasi tentativo di riconciliazione simbolica, almeno per ora.

Il processo resta aperto

La rinuncia all’appello non chiude, però, ogni fronte. Anche la Procura di Venezia aveva impugnato la sentenza, chiedendo di aggiungere le aggravanti della crudeltà e dello stalking. Sarà questo, ora, l’unico punto su cui si discuterà nel nuovo processo.

Intanto Turetta resta nel carcere in cui è rinchiuso dal 25 novembre 2023, quando venne estradato dalla Germania dopo dieci giorni di fuga. La stessa fuga che aveva preceduto la confessione: “L’ho uccisa quando ho capito che non sarebbe più tornata con me”.

Una resa, non una redenzione

C’è qualcosa di profondamente tragico in questa rinuncia. Non è il gesto di un uomo che si libera, ma di uno che si arrende. Turetta accetta l’ergastolo come si accetta una condanna già scritta, quella dell’opinione pubblica, quella di un padre che non vuole perdonare, quella di un Paese che non dimentica.

Autore
Panorama

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