Filosofia del babà
- Postato il 11 giugno 2025
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- Di Il Vostro Giornale
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“Aje voglia ‘e mettere rumma: ‘nu strunzu nun addiventa maje babbà”; si tratta di un antico detto napoletano che si può tradurre con “Inutile aggiungere rum, uno stronzo non diventa comunque un babà”. Pare che l’espressione sia databile ai tempi della Repubblica partenopea quando il babà era stato importato in città dalla moglie di Ferdinando di Borbone, noto con diversi numeri romani a seguito del nome a secondo del regno relativo, che si chiamava Maria Carolina ed era sorella della più famosa e meno longeva Maria Antonietta di Francia; all’epoca il detto aveva relazione con le condizioni igieniche della città che certo avevano poco di regale e molto di cattivo odore, nel tempo, però assunse una connotazione popolare diversa: se sei una brutta persona c’è poco da fare, con tutta la buona volontà di migliorare con aiuti esterni, la tua natura più profonda rimarrà la medesima. È riflettendo su questo convincimento popolare che mi interrogavo sulla possibilità che uno stupido possa divenire altro e se, nel suo inevitabile permanere nella condizione di stupidità, il suo comportamento possa essergli imputato come responsabilità. Il passaggio successivo della riflessione può essere riassunto nell’interrogativo: uno stupido può essere cattivo? La domanda in qualche modo può essere rovesciata in un quesito che in napoletano suonerebbe “’nu strunzu può addiventà babbà”? Certo i termini non coincidono perfettamente, nell’espressione napoletana è chiaro il senso, se uno è cattivo può diventare buono? Ma quello che mi interessa analizzare è se una persona stupida che fa del male a qualcuno può essere considerata responsabile della sofferenza di quest’ultimo mentre do per acclarato che uno cattivo deliberatamente non possa divenire mai babà nemmeno se inondato di ottimo liquore. Se dobbiamo dare ascolto alla sentenza di Einstein “Solo due cose sono infinite: l’universo e la stupidità umana, riguardo l’universo ho ancora dei dubbi”, il problema diviene tragico, ma proviamo ad avvicinarlo con ottimismo e col sorriso.
Chi meglio del geniale Woody Allen può dare il via a una riflessione che vorrebbe essere “ottimista e col sorriso” ma anche puntuta e caustica? Ebbene, al riguardo affermava che “il vantaggio di essere intelligente è che si può sempre fare l’imbecille, mentre il contrario è del tutto impossibile” e questo ci porta immediatamente in medias res: per definizione lo stupido non sa di esserlo, e questo è già un problema che potrebbe riportarci alla tesi einsteniana, ma soprattutto non ha potuto scegliere di non esserlo, ebbene, se il suo comportamento causa sofferenza può mai essere in grado di comprendere ed emendarsi? Essere stupido spesso significa fare del male a qualcuno senza averne un utile personale, insomma, genero dolore senza nemmeno contro bilancialo con un piacere, certo squallido e egoista, ma almeno espressione di una volontà cattiva ma consapevole. Il padre del pensiero morale antico, mi riferisco a Socrate, sosteneva che il fare del male è conseguenza dell’ignoranza, ma è evidente che l’ignoranza può essere emendata, corretta, sconfitta, la stupidità è parte costitutiva della natura e uno stupido non diventerà mai “un babà”. Illuminante la riflessione di Martin Luther King “Nulla al mondo è più pericoloso che un’ignoranza sincera e una stupidità coscienziosa”, oggi poi che l’ignoranza viene esibita quasi fosse un titolo di merito, il pericolo cresce ma ci interessa maggiormente l’idea di una stupidità coscienziosa, va sottolineata la sostanziale differenza tra cosciente e coscienzioso. Il senso del termine utilizzato da Martin Luther King indica l’attenzione sistematica dello stupido a celebrare la coerenza perniciosa del proprio agire senza averne alcuna contezza. Lo stupido non ha dubbi, è solitamente convinto di essere nel giusto e si sente offeso da chi non è in grado di comprenderlo senza avere mai l’esigenza né la capacità di cogliere anche solo la possibilità di un differente punto di vista; ipotizzare un’alternativa sarebbe per lui devastante, meglio la facile sicumera che lo rasserena nell’inconsapevolezza ottusa.
Il fatto poi che una delle più alte espressioni di intelligenza possa essere riconosciuta nel dubbio, ribadisce paradossalmente la scelta vincente dello stupido, almeno dal suo punto di vista, la scelta inesistente del secondo lo avvantaggia sul tempo di riflessione richiesto al primo nell’affrontare una scelta. La domanda, più o meno retorica, diviene: lo stupido può scegliere? Ne segue l’inevitabile dubbio circa i vantaggi dell’intelligenza, questa, infatti, è la radice della responsabilità, questione che non compete agli stupidi, ma che può dar vita a considerevoli complicazioni. Mi si consenta un’aneddotica privata ricordando le parole di mia madre: “Chi ha la testa la usi”. Me lo ripeteva spesso, indicandomi, nemmeno tanto implicitamente, che la responsabilità era di chi era più intelligente. Certo, in fondo la sua stima mi ha sempre inorgoglito, ma che fatica! Credo che tutti conoscano la favola della rana e dello scorpione, l’aracnide non può che pungere mortalmente l’anfibio anche se questo comporterà la sua stessa condanna, questo significa che è un animale cattivo? Ovviamente no, il giudizio etico nei confronti degli animali, la cosa vale anche per il regno vegetale, è esclusivamente umano, non esiste morale nella natura, solo “elementare e vincente istinto di sopravvivenza perpetrazione della specie”. Solo l’essere umano, dall’alto della sua intelligenza, è capace di determinare la propria estinzione e di progettare guerre di conquista e di sterminio. Mi si consenta solo una breve tragica considerazione prima di tornare a registri più leggeri, non posso non ricordare il pensiero di Hannah Arendt espresso in “La banalità del male” quando, analizzando il processo ad Adolf Eichmann, sosteneva che la stupidità del criminale lo sollevasse dall’orrore delle sue azioni poiché non ne comprendeva le conseguenze, lui si sapeva come esecutore impossibilitato a una scelta e, pertanto, non responsabile delle proprie azioni. Ma un essere umano che non comprende, che non riflette, che non sceglie, conserva ben poco della dignità umana, questo è, pur condividendo le riflessioni dell’Arendt, “un male più tragico che banale”.
Faccio mie le parole di Musil pronunciate proprio in una sua conferenza sulla stupidità e che utilizzo come “preludiali e conclusive”: “chiunque voglia parlare o utilmente partecipare al discorso sulla stupidità, deve presupporre di non essere egli stesso stupido. Così facendo, fa vedere che si considera intelligente, anche se fare così è in generale considerato segno di stupidità”. Se uno stupido si considera intelligente potrà, ovviamente, argomentare sulla stupidità altrui, ma ci rimane la sorridente possibilità di verificare i suoi attestati di legittimità per una tale collocazione: sa comprendere le posizioni altrui con atteggiamento dinamico e inclusivo? Sa controllare l’insofferenza verso chi non lo condivide facendo addirittura tesoro di prospettive diverse? È disponibile almeno a un ascolto attento? Ha il coraggio di cambiare opinione? Si comporta come lo scorpione della fiaba? Avverte la banalità del male secondo i criteri della Arendt? Riconosce i limiti della propria presunta o reale intelligenza o è convinto assertore della propria onniscienza? Sa ridere di sé? Comprende quando ha generato sofferenza negli altri? Ebbene, se chi si pone come intelligente in grado e diritto di argomentare sulla stupidità non lo si può riconoscere nel comportamento qui sopra molto succintamente descritto, forse sarebbe opportuno scendesse dal podio e si concedesse a un lungo periodo di riflessione autocritica, per gli “intelligenti” valga il monito di Arthur Schopenhauer: “Di fronte agli sciocchi e agli imbecilli esiste un modo solo per rivelare la propria intelligenza: quello di non parlare con loro”, aggiungerei, però, con un modesto e comprensivo sorriso.
Per un Pensiero Altro è la rubrica filosofica di IVG, a cura di Ferruccio Masci, in uscita ogni mercoledì. Perchè non provare a consentirsi un “altro” punto di vista? Senza nessuna pretesa di sistematicità, ma con la massima onestà intellettuale, il curatore, che da sempre ricerca la libertà di pensiero, ogni settimana propone al lettore, partendo da frasi di autori e filosofi, “tracce per itinerari alternativi”. Per quanto sia possibile a chiunque, in quanto figlio del proprio pensiero. Clicca qui per leggere tutti gli articoli.