Finanza vaticana: i 30 denari di papa Bergoglio
- Postato il 10 maggio 2025
- Di Panorama
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Dicono che il gesuita Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano e ultimo a vestire la porpora cardinalizia sotto la Madonnina – è il segno della «vendetta» di Francesco – si sia pentito amaramente di aver presentato quel tal Jorge Mario Bergoglio alla «mafia» di San Gallo, il gruppo informale di alti prelati riformisti che si riuniva vicino alla località svizzera. Usando quel torvo sostantivo, viene in mente Giovanni Falcone che raccomandava di «seguire il denaro». Ecco, per capire l’altro Bergoglio, quello al di là delle celebrazioni, si devono seguire appunto i soldi e così si possono comprendere gli enormi problemi che il Papa scomparso lascia aperti nei conti della Chiesa.
Martini nel corso degli anni e prima della sua morte aveva mutato opinione su Bergoglio: troppo attento alle cose terrene, incapace di volare alto come lo spirito di San Gallo richiedeva, troppo poco politico e troppo populista. Eppure nel 2013 il cardinale argentino apparve a molti la soluzione più rapida per tappare la falla aperta delle dimissioni di Ratzinger. Una cosa a San Gallo di lui era piaciuta: ce l’aveva con la curia romana e voleva mettere mano ai soldi. Appena asceso al soglio di Pietro, Francesco di quello si è occupato: tagliare le unghie alla curia, accentrare su di sé le finanze vaticane. Tuttavia la riforma non gli è riuscita, anzi ha dato esiti disastrosi. E oggi il conclave è costretto a fare i conti dei debiti! Eppure il patrimonio riconducibile all’universo cattolico è enorme: oltre duemila miliardi di euro. Solo che Roma ne controlla un’esigua parte e questo è stato il cruccio di Francesco. La sua finalità? Forse aiutare davvero il Sud del mondo. Una cosa è sicura: le Ong hanno «munto» la Chiesa come la vacca sacra. Uno dei tanti esempi sono i bonifici che la Cei ha staccato a Luca Casarini per la sua Mediterranea e il «papabile» cardinale Matteo Maria Zuppi si è dovuto «difendere» per questi quattrini. Si tratterebbe di oltre due milioni di euro tra il 2021 e il 2023. Persino il «cardinal bolletta» Konrad Krajewski, l’elemosiniere del Papa diventato celebre perché ha riallacciato la corrente a occupanti abusivi di case, era contrario a tali esborsi.
Indossata la tiara, Bergoglio chiama a sé il cardinale George Pell e lo nomina prefetto per l’Economia. L’australiano ha un programma severo. Francesco si fida di lui, ma allo stesso tempo crea la Cosea, la commissione per rivedere l’amministrazione della Santa sede. C’è un solo prelato, monsignor Lucio Ángel Vallejo Balda, segretario della Prefettura degli Affari economici, un sottoposto di Pell. A sorpresa nella Cosea entra anche Francesca Immacolata Chaouqui. Arriva dal big della consulenza Ernst&Young, comunque ha un’ottima referenza: la vicinanza a Vallejo Balda legato all’Opus Dei. Lei e il suo amico prelato finiranno condannati nell’affaire Vatileaks per la fuga di documenti. La Chaouqui rispunta nell’affare Sloane Avenue: ce l’ha con Giovanni Angelo Becciu, potente cardinale che sussurra all’orecchio di Bergoglio.
Fa un certo effetto pensare che Francesco sia stato preso in mezzo in un chiacchiericcio, quello che lui – a parole – aborriva. Pare strano, ma le finanze vaticane sono state governate con questo chiacchiericcio. Becciu viene silurato perché convinto da monsignor Alberto Perlasca – che diverrà il suo accusatore, oggi reintegrato in curia – a comprare un palazzo a Londra con i soldi dell’Obolo di San Pietro. Uno scandalo immobiliare: processo, tutti sapevano, ma sono condannati solo quelli che il Papa estromette. Anche Pell è finito a processo per pedofilia. Lo assolvono, ma l’episodio è sufficiente per allontanarlo. Pure Libero Milone, il controllore dei controllori, l’uomo di fiducia di Pell viene rimosso.
Altro giro e si affaccia Reinhard Marx, porporato cardinale tedesco che, come il suo omonimo, ritiene che i soldi siano «lo sterco del diavolo». Risultato la segreteria di Stato di Pietro Parolin – che oggi viene indicato come papabile – si vede tagliati i fondi, così come il Governatorato. Marx ha dalla sua l’obolo che i fedeli tedeschi versano obbligatoriamente, ma governa una chiesa dilaniata dai contrasti interni. Il cardinale Gerhard Ludwig Müller gli imputa di averla portata su una deriva protestante.
Nel frattempo scoppia la pandemia Covid e i Musei vaticani non portano più risorse: il rosso dei conti della Santa Sede arriva a quasi 90 milioni di euro. La chiesa di Bergoglio non trova sostegno nei fedeli dell’Occidente: così nel 2023 – ultimi dati disponibili – su 110 milioni di uscite, l’Obolo di San Pietro che vive di offerte registra entrate per appena 52 milioni. Bergoglio chiama a far quadrare i conti un gesuita: Juan Antonio Guerrero Alves, soprannominato «mani di forbice». Il prefetto spagnolo mette a dieta tutti i dicasteri tranne Propaganda Fide dove regna, in quel momento, il cardinale Antonio Tagle, l’unico che spende senza limiti per il Sud del mondo. Eppure anche Guerrero Alves non dura.
Alla fine Bergoglio si convince che solo i laici possono far risparmiare soldi alla Chiesa. Così vara una riforma radicale dello Ior (l’Istituto per le opere di religione, un tempo la banca degli scandali) e vi pone al vertice Gian Franco Mammì.Del pari affida la prefettura economica a Maximo Caballero Ledo, offre al cardinale Kevin Farrell – l’attuale camerlengo che sovrintende al conclave – la gestione del personale compreso il fondo pensioni (si ricordi a tal proposito che si è rischiato il primo sciopero dei dipendenti laici vaticani in 18 secoli di storia) e nomina il cardinale Christoph Schönborn presidente della Commissione di controllo dello Ior. Infine, manda a casa Nunzio Galantino, presidente dell’Apsa l’operatore immobiliare del Vaticano, e ci mette a capo l’arcivescovo Giordano Pacinotti.
Non serve comunque a nulla: oggi il nuovo Papa potrebbe essere scelto proprio guardando ai soldi. Sono i famosi, evangelici 30 denari. Al centro ci sono sempre i contributi in calo dei fedeli: dimezzati quelli dalla Germania, diminuiti del 70 per cento quelli degli Stati Uniti. Ed è su questo che conta Raymond Leo Burke, uno dei cardinali protagonista dei dubia: americano conservatore, si è presentato in conclave con uno strascico damascato di nove metri. Questi usa la leva finanziaria per convincere i porporati ad abiurare al secolarismo bergogliano, a tornare alla tradizione e far convergere i voti sul cardinale Timothy Dolan, amico del vicepresidente Usa J.D. Vance.
Manovra eguale e di segno opposto è quella imbastita dal presidente francese Emmanuel Macron, primo sponsor del cardinale di Marsiglia Jean-Marc Aveline. È pronto Macron a «comprarsi» una parte di conclave. Se i 30 denari decidono il nuovo Papa c’è un cardinale italiano che potrebbe aggregare i soldi: Claudio Gugerotti, veronese settantenne del circolo di villa Nazareth. È l’alternativa a Parolin. E ha agganci nel mondo della finanza. Perché il Vaticano deve far cassa. Con lo Stato italiano è in debito di cinque miliardi di Ici pregressa – è in piedi la procedura d’infrazione europea – e uno studio assai attendibile dell’Unione degli atei stima in 7,4 miliardi all’anno il costo a carico dei contribuenti.
Eppure la Chiesa le risorse le avrebbe. Lo Ior e l’Apsa vantano bilanci in attivo. La banca nel 2023 ha registrato un utile netto di 30, 6 milioni di euro. L’Apsa con utili per 45,9 milioni è la principale fonte di finanziamento, con un patrimonio sconfinato di quattromila immobili. Che sono nulla a confronto dei possedimenti degli enti religiosi e su cui Bergoglio voleva dettare legge. Secondo Scenari immobiliari sono 45.927 edifici per 38,6 milioni di metri quadri e 42,5 miliardi di euro di valore.
Anche con i Cavalieri di Malta il Papa ha aperto un contenzioso patrimoniale. Perché la fame di soldi del Vaticano è inestinguibile. Non dipende dagli stipendi, né dei cardinali (circa cinquemila euro al mese di media), né dei vescovi (3.500 euro), tanto meno dall’appannaggio papale (2.500 euro mensili, ma il Pontefice può spendere ad libitum), piuttosto da cinquemila dipendenti (è stato varato un taglio dell’8 per cento degli stipendi dei laici che di media percepiscono 1.600 euro al mese) e da un pozzo senza fondo costituito da consulenze, sussidi e offerte. In Vaticano speravano nel Giubileo, ma i flussi sono deludenti. E così la curia in cerca di soldi ha messo a reddito gli immobili storici. Hanno costruito bed&breakfast di lusso, tra questi la Domus Paolo IV; Bill Gates ha comprato Palazzo della Rovere su via della Conciliazione per farci un hotel superlusso; tutti gli immobili di pregio del Vaticano, ovunque si trovino, sono in via di trasformazione con obiettivo turistico. Questa è l’eredità del Papa degli ultimi.