Flotilla, propaganda mascherata da missione umanitaria a 48 ore dallo scontro

  • Postato il 29 settembre 2025
  • Di Panorama
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Le navi della Global Sumud Flotilla hanno superato Creta e ora puntano verso sud-est, in direzione della Striscia di Gaza. Mancano meno di 48 ore al loro arrivo nella zona di guerra e la tensione cresce di ora in ora. A questo punto nessuno scenario è escluso, soprattutto se le imbarcazioni tenteranno di violare il blocco navale israeliano, in vigore da anni per impedire il traffico di armi verso Hamas.

Gli organizzatori parlano di «missione umanitaria», ma la versione ufficiale non regge alla prova dei fatti. Lo ha spiegato senza mezzi termini il ministero degli Esteri israeliano: «La Flotilla ha respinto la proposta del governo italiano e del Vaticano di scaricare tutti gli aiuti a Cipro e trasferirli pacificamente a Gaza, così come aveva già respinto altre due proposte israeliane. Più chiaro di così non si può: non si tratta di aiuti, ma di provocazione e di servire Hamas». Una dichiarazione che svela la vera natura dell’iniziativa: un’operazione di propaganda concepita per ottenere visibilità internazionale e non per alleviare concretamente le sofferenze della popolazione palestinese.

La sproporzione tra la retorica degli attivisti e la realtà è lampante. I carichi trasportati dalle navi sono minimi e non paragonabili alle migliaia di tonnellate di derrate alimentari e medicinali che ogni giorno transitano regolarmente attraverso i valichi terrestri, controllati da Israele ed Egitto. Gran parte di questi beni, ricordano fonti locali, finisce però nelle mani di Hamas, che li devia per alimentare la propria economia di guerra. La Flotilla, al contrario, sembra concepita per ottenere un impatto mediatico, costringere Israele a una reazione e trasformare lo scontro navale in un simbolo della presunta “resistenza” palestinese.

Non è la prima volta che accade. Già nel 2010, la Mavi Marmara — nave ammiraglia di una flottiglia organizzata da ONG turche vicine a movimenti islamisti — tentò di violare il blocco navale israeliano. L’abbordaggio della marina israeliana si concluse con morti e feriti e un’ondata di indignazione internazionale. Anche allora, più che gli aiuti, a contare fu il risultato propagandistico: Israele costretto a giustificarsi davanti alle telecamere e Hamas pronto a presentarsi come vittima di un’aggressione. La Sumud Flotilla si inserisce chiaramente in quella tradizione, con un copione già scritto.

Dietro le quinte, il Qatar svolge un ruolo centrale. Doha è da anni il principale sponsor politico e finanziario di Hamas: offre rifugio ai suoi leader, ospitati in lussuose residenze nella capitale, e fornisce fondi che si trasformano spesso in stipendi per i miliziani. L’emirato, abilissimo nel giocare su più tavoli, usa operazioni come questa per accreditarsi come difensore umanitario dei palestinesi, mentre in realtà rafforza l’apparato propagandistico dell’organizzazione islamista. Non è un caso che numerosi analisti abbiano sottolineato come la regia della Flotilla risponda più agli interessi strategici di Doha che a reali esigenze di soccorso.

Sul fronte italiano, il governo si muove con cautela. Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha avvertito: «Se la Flotilla decidesse di intraprendere azioni per forzare un blocco navale, si esporrebbe a pericoli elevatissimi e non gestibili. Parliamo di barche civili che si pongono l’obiettivo di sfidare un dispositivo militare». Parole nette, che ribadiscono la linea della responsabilità. Lo stesso ministro degli Esteri Antonio Tajani ha confermato che la Marina italiana segue le imbarcazioni solo per compiti umanitari e che «non accompagnerà la Flotilla oltre lo sbarramento israeliano».

Dall’altra parte, le opposizioni italiane hanno scelto una posizione opposta. Elly Schlein (Pd) invoca «un corridoio umanitario permanente» e arriva a chiedere una missione di scorta europea per proteggere gli attivisti, mentre Giuseppe Conte (M5S) definisce la missione «un atto simbolico contro un genocidio» e accusa il governo di «gettare fango su cittadini italiani». Le dichiarazioni confermano come la vicenda sia ormai diventata anche un terreno di scontro politico interno, con il rischio concreto che la propaganda di Hamas trovi sponde nelle stesse istituzioni europee.

Il contesto diplomatico, intanto, resta delicato. L’ambasciatore italiano in Israele, Luca Ferrari, è stato ricevuto dal presidente israeliano Isaac Herzog, in un incontro che testimonia la sensibilità del dossier. Israele non ha intenzione di arretrare: per Gerusalemme la Flotilla è e resta un atto ostile, funzionale solo a rafforzare Hamas e a garantire a Doha un nuovo palcoscenico internazionale. Il conto alla rovescia è ormai agli sgoccioli. Mancano meno di due giorni prima che le navi raggiungano la zona calda. Se decideranno di attraccare in un porto sicuro, la vicenda si chiuderà senza conseguenze. Ma se tenteranno di forzare il blocco, lo scontro con la marina israeliana sarà inevitabile. E forse è proprio questo l’obiettivo reale: non portare aiuti, ma trasformare il Mediterraneo in un teatro di propaganda, con Hamas e Qatar pronti a capitalizzare ogni immagine di conflitto. In fondo, la Flotilla non è che l’ennesima recita in costume: navi vecchie travestite da arca umanitaria, attivisti trasformati in eroi da copertina, slogan gridati come se bastassero a cambiare la realtà. Gli aiuti veri passano altrove, mentre il mare diventa palcoscenico per un copione scritto a Doha e recitato da Hamas. Più che solidarietà, qui c’è marketing politico. E la domanda finale è amara: davvero servivano barche sgangherate per convincerci che la propaganda sa travestirsi meglio di qualunque missione umanitaria?

Autore
Panorama

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