Francesca Albanese, la Madonna dei pro-Pal

  • Postato il 18 agosto 2025
  • Di Panorama
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Il 4 agosto il sindaco dem di Bari, Vito Leccese, ha donato le chiavi della città a Francesca Albanese, rapporteur per l’Onu sulla Palestina. Anche il presidente della Regione, Michele Emiliano, dem pure lui, si è genuflesso di fronte a questa pasionaria dei palestinesi che accusa Israele di genocidio portando a supporto prove come questa: «Sì il genocidio c’è perché lo dico io». Invece il presidente del Tar di Lecce, Antonio Pasca, ha scritto su Facebook un durissimo attacco alla senatrice a vita e deportata ad Auschwitz, Liliana Segre: «La vergogna del silenzio e dell’ignavia sanno di complicità con i criminali israeliani, Netanyahu e i suoi ministri e i coloni e i responsabili dell’Idf, responsabili di un efferato genocidio; signora Segre, le piaccia o meno, è l’unico termine possibile. Capisco pure il suo imbarazzo perché, credo, questo termine le ricorda qualcosa. Ma ora a Gaza è anche peggio e sia ben chiaro che chi parla di genocidio a Gaza non è antisemita».

La Puglia, insomma, è curiosamente diventata la terra promessa della Albanese la quale persevera, pure in questi giorni di rinnovata esposizione mediatica, a non esprimere alcuna parola di condanna sul 7 ottobre 2023, quando Hamas ha assaltato i kibbutz israeliani uccidendo 1.300 ebrei inermi, stuprando donne, uccidendo bambini e prendendo centinaia di ostaggi che in questi giorni – almeno i pochi sopravvissuti ancora nelle mani dei terroristi – sono stati filmati mentre scavano la fossa dove verranno seppelliti. Dimenticare quella giornata nefasta vuol dire nascondere la verità che è stata dichiarata da Ghazi Hamad, membro di spicco dell’ufficio politico di Hamas, il quale ha scandito: «L’iniziativa di diversi Paesi di riconoscere lo Stato palestinese è il frutto benedetto del 7 ottobre». Talmente mostruosa questa affermazione che la Lega Araba ha chiesto ai terroristi islamici di lasciare la Palestina. Invece, la Albanese ha trovato modo di dire: «Ma come possiamo collegare tutto questo con ciò che Israele sta facendo da 20 mesi?». Per la Albanese, infatti, il Paese ha pagato 80 anni di occupazione della Palestina perché, come scrive nel suo recentissimo rapporto Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, lo Stato ebraico è nato sul presupposto di un «progetto sionista» iniziato nel 1901 con l’acquisto di pezzi di Palestina da parte del Jewish National Fund e porta avanti dal 1948 una «sistematica pulizia etnica». Va da sé – secondo questa logica – che ciò che accade oggi a Gaza sarebbe la prosecuzione di quel progetto di annientamento dei palestinesi.

Che la storia sia un’altra e sia documentata alla pasionaria non interessa. E allora chi è davvero la rapporteur speciale per l’Onu sulla Palestina e come è diventata l’eroina alla quale il Pd o Avs starebbero pensando di offrire un seggio in Parlamento (in pieno stile Ilaria Salis)? Di certo è l’icona dei pro-Pal che la candidano addirittura al Nobel per la pace (e che si comporta come fosse la Madonna degli oppressi). Ma Francesca è diventata la Albanese nascondendo alcune verità. Se ne è accorto anche il presidente americano Donald Trump che ha imposto contro di lei delle sanzioni e ha chiesto all’Onu di allontanarla. Ottimo assist per scrivere un nuovo capitolo del proprio martirologio.

Nata ad Ariano Irpino 48 anni fa, studia giurisprudenza a Pisa. Sarà un caso, ma il rettore di quell’università ha deciso di interrompere ogni rapporto con Israele. Dopo la laurea si specializza in diritto internazionale e per soli due anni – ma sono decisivi – fa il legal officer presso l’Unrwa – l’organizzazione Onu che si dovrebbe occupare dei profughi palestinesi ma che intrattiene rapporti stretti con Hamas ed è finita sotto la lente di un’inchiesta che riguarda i legami di molti suoi operatori con l’apparato islamista dietro gli attacchi a Israele.

La carriera prosegue in Giordania con l’impegno nell’Arab renaissance for democracy and development e da lì il salto a special rapporteur dell’Onu. Non si sa chi l’abbia candidata: se le Ong, se i Paesi musulmani, se l’autorità palestinese. Il suo incarico – già rinnovato una volta – non prevede compenso, ma solo rimborso spese, e neppure lo status di diplomatico.  Eppure lei se ne va in giro per il mondo (spesso a spese altrui, un’indagine di Un Watch avrebbe accertato che l’Associazione australiana degli amici della Palestina ha annunciato sul suo sito Web di aver finanziato il viaggio della Albanese in Australia e Nuova Zelanda) a dire che è una diplomatica e che come legale conosce il diritto internazionale e può accusare Israele con prove ferree. La prova che non può fornire, però, è quella di essere avvocato: non ha mai acquisito l’abilitazione alla professione forense.

Tra le verità nascoste c’è anche quella che riguarda il marito. Non ha mai dichiarato all’Onu che Massimiliano Calì non è solo un economista della Banca mondiale ma è stato anche consigliere economico del ministero delle Finanze e dell’Economia dello Stato di Palestina a Ramallah. Ha anche redatto il rapporto I costi economici dell’occupazione israeliana per i territori palestinesi occupati. Ora sta in Giordania e da lì ha scritto che «Israele ostacola lo sviluppo economico della Cisgiordania, impedendo l’immigrazione araba». Si è dimenticato di dire che prima del 7 ottobre, che non nomina mai, oltre 150 mila palestinesi lavoravano come frontalieri ogni giorno in Israele.

Se l’ultimo rapporto della Albanese si occupa dell’economia del genocidio, con lei che è pronta a denunciare 48 imprese che lucrano «sulla strage di Gaza», forse un motivo c’è. Alla Camera dove ha presentato il suo rapporto ha detto: «C’è un genocidio e ci sono delle responsabilità internazionali che coinvolgono anche l’Italia». La pasionaria che da oltre un anno non mette piede in Palestina ma si fa fotografare dalle riviste femminili, continua a inviare all’Onu rapporti contro Israele affermando «l’occupazione israeliana è illegale, va smantellata, occorre smantellate le colonie, si devono ritirate le truppe, bisogna smettere di sfruttare le risorse naturali». Ma dice pure che i popoli sottomessi hanno il diritto a resistere, con uno scivolosissimo riferimento neanche troppo velato agli attacchi di due ani fa.

Non ha voluto prendere atto, però, di un altro rapporto, quello del Dinah Project, che documenta gli stupri, le mutilazioni genitali compiute dai terroristi sulle israeliane, militari e civili. Si è voltata dall’altra parte come ha fatto UN Women guidata da Reem Alsalem, ovviamente mussulmana. Francesca Albanese ormai ha sceneggiato il Gaza horror picture show e lo racconta sui social dove è diventata una martire-star. Ed è ciò che conta per lei.

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Panorama

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