Frank Miller: gli eroi cupi che hanno trasformato il mito del fumetto

  • Postato il 9 agosto 2025
  • Di Panorama
  • 4 Visualizzazioni

E’ difficile trovare un fumettista che abbia avuto più influenza di Frank Miller sull’immaginario occidentale. L’autore americano classe 1957 ancora oggi ispira il cinema, le serie televisive, persino i videogiochi. Se dopo tanti anni le masse adorano Batman è soprattutto grazie alla sua reinterpretazione del personaggio in opere di enorme successo, come Il ritorno del cavaliere oscuro e Batman: anno uno. Quando Miller lo prese in mano a metà degli anni Ottanta, Batman era, spiace dirlo, un bellimbusto in calzamaglia, grottesco residuato di epoche passate.

Frank gli riservò lo stesso trattamento utilizzato per il Daredevil della Marvel: lo rese adulto, urbano, contemporaneo. Batman non era più un ridicolo fustacchione che tirava cazzotti a criminali in abiti carnevaleschi. Era un vigilante pieno di cicatrici, con le mani pesanti e il cuore torturato. Attorno a lui, la città era protagonista. Gotham City – New York, fumosa e corrotta, diventava la principale avversaria dell’uomo pipistrello e insieme la sua più intima amica. Batman poteva esistere soltanto lì, fra i miasmi dei tombini e l’asfalto rigido, tra i vicoli puzzolenti di malvagità appena rischiarati dallo sfavillio delle insegne in lontananza. Gli Eighties del post punk, della musica gotica e industriale sembravano la colonna sonora perfetta per un super eroe pieno di limiti e difetti, ferito dalla vita, problematico come i mostri che affrontava, in lotta contro gli incubi partoriti dalla sua mente e dalla realtà. Miller apprese dal maestro Neal Adams l’arte del fumetto più dark, modernizzò il personaggio e insieme lo riportò alle origini, alle storie seminali di Bob Kane e Bill Finger uscite dal 1939 in avanti. Il loro Batman era spaventoso e duro come un romanzo di Faulkner. Frank Miller riprese quelle atmosfere, le fece esplodere. Valorizzò il lato oscuro e problematico dei suoi personaggi ma allo stesso tempo comprese una grande verità: abbiamo ancora e sempre bisogno di eroi.

Mentre altri fumettisti, per modernizzare i grandi personaggi dei comics avevano cercato di dissacrarli e portarli al livello del lettore comune, Frank fece il contrario. Certo, mise sulla carta con potenza l’umanità dolente di Bruce Wayne (e altri) per ribadirne i limiti e gli angoli bui. Ma proprio questa umanità rendeva tali gli eroi: ne valorizzava le imprese cavalleresche, li rendeva ancora modelli. «Il mondo è pieno di eroi. Il problema è che la gente li cerca nelle persone sbagliate», ha detto Miller qualche tempo fa in un’intervista concessa a Wired. «Mia madre era un’infermiera. Instancabile nel suo lavoro. Si lanciava senza esitazione per conficcare un ago nel cuore di chi aveva un infarto. Trascorreva ore con persone dipendenti dalla droga. Lei era eroica. Così come lo sono le madri casalinghe, o tutti quelli che sacrificano ore della propria vita per gli altri».

In queste poche frasi c’è tutto l’universo di Miller. I suoi eroi sono figure eccezionali non perché in possesso di enormi poteri, ma perché dotate di grande coraggio. Il critico di fumetti Paul Young, qualche anno fa, ha pubblicato un interessante libro intitolato Frank Miller’s Daredevil and the end of heroism. A ben vedere, però, Miller non fa tramontare l’eroismo, al contrario lo rinnova mostrandolo per quello che è: la capacità di ogni uomo di superare sé stesso, i propri limiti e i propri traumi.

Potremmo quasi dire che Frank è l’antidoto alla cultura woke e alla prevalenza del piagnisteo. Per quanto fragili, doloranti e titubanti siano i suoi personaggi, essi trovano sempre la forza per compiere straordinarie imprese. Divengono – uomini e donne – cavalieri dell’era moderna. Certo, oscuri, perché l’esistenza umana è un impasto di luci e ombre, bene e male, piccinerie e grandezza. In questo senso si può arrivare a definire il fumettista statunitense un conservatore. Più volte negli anni è stato accusato di essere destrorso (e non ci sarebbe ovviamente nulla di male), soprattutto quando parlò di terrorismo islamico nella graphic novel Sacro Terrore, ma nel suo caso destra e sinistra sono categorie del tutto caricaturali, superflue. Se c’è conservatorismo in Miller sta tutto nell’aspirazione a un ideale cavalleresco e appunto eroico, che però è alla portata di tutti e dunque perfettamente democratico. I suoi eroi sono anche deboli e perdenti, non soltanto palestrati in costume. Tutto ciò è perfettamente visibile nelle storie del ciclo di Sin City, di cui Star Comics ha appena pubblicato il terzo splendido volume. In quelle pagine troviamo Miller al suo meglio, nel suo ambiente naturale. Le ombre che popolano Basin City sono una versione aggiornata dei noir di Dashiell Hammet, James Cain e altri grandi autori. Miller indaga le anime marce dei cattivi e in qualche modo ce le rende comprensibili e affini. Allo stesso tempo mostra le debolezze dei buoni, le loro carenze.

Ancora una volta, Frank rimarca i limiti degli esseri umani per spingere tutti noi a superarli. Questa visione è molto ben esplicitata in un altro ciclo di grande successo, ripreso da Zack Snyder al cinema. Stiamo parlando ovviamente di 300, versione pulp dei racconti di Erodoto sulle guerre persiane, nello specifico della battaglia delle Termopili, dove gli eroici guerrieri guidati da Leonida si opposero fino alla morte alle orde persiane comandate da Serse. Sempre Star Comics pubblicherà fra qualche mese il volume Xerxes, proseguimento della saga dei combattenti spartani, ambientato una decina d’anni prima, ovvero all’epoca della battaglia di Maratona. Protagonisti, in questo caso, non sono gli spartani, ma gli ateniesi.

In entrambi i casi, si tratta di storie di lotta all’oppressore venuto da lontano. «Per me, il problema più grande è il concetto stesso di civiltà», ha spiegato Miller alla rivista Vulture, «e lo scontro tra la visione del mondo occidentale e orientale, che è in corso da allora, sta ancora giocando un ruolo». Secondo il fumettista americano, le opere sulle guerre persiane svelano «chi siamo e da dove veniamo. Perché le stesse forze che hanno combattuto allora sono ancora oggi in gioco. Molto di ciò che sta accadendo, in particolare in Medioriente nei conflitti fra Oriente e Occidente che persistono, è radicato in quelle ere. Gli stessi problemi esistono anche oggi». 300 e Xerxes ritraggono prima di tutto un popolo in lotta contro la sottomissione. Parlano di uomini che difendono la propria terra, i propri confini, le proprie tradizioni contro l’arroganza di un aspirante dominatore che si crede una divinità. Serse, in 300, chiede agli spartani un atto di sottomissione.

Li lascerà vivi, promette, se Leonida si inchinerà davanti a lui. Le sue orde sono mostruose, i suoi guerrieri più temibili sono vestiti di nero, col volto coperto. Armate senza volto e senza identità. Serse rappresenta l’Impero globalista, è a capo di un «sistema per uccidere i popoli». Vuole uomini disponibili, tutti uguali. Cerca di sedurre Leonida, il coraggioso capo degli spartiati: «Io sono un dio generoso», gli dice, posso renderti ricco oltre ogni limite». Il Grande Re ragiona secondo la legge della perdita e del profitto, e pensa che tutti facciano altrettanto. La sua prima forza è la ricchezza.

In questo senso, Serse rappresenta la forza oscura della globalizzazione. Il suo esercito è multiculturale, infrange i confini e le barriere. Egli stesso nel fumetto e nel successivo film è un essere androgino, anzi neutro, né uomo né donna. Egli è il desiderio senza limiti, per certi versi anche il turbocapitalismo sfrenato e conquistatore. Un feroce nemico che promette la pace e si ammanta di belle parole: propone persino il rispetto della diversità, a patto che il popolo greco diventi schiavo. Leonida, ovviamente, rifiuta. È celebre la scena in cui il re spartano, con un calcio, getta l’ambasciatore persiano dentro una voragine, gridandogli «Questa è Sparta!».

Anche Leonida è un eroe umano, umanissimo. Ha il cuore dolente per la moglie e il figlio che gli tocca abbandonare, soffre per i suoi compagni caduti sul campo. Ma non abbandona la lotta. È un cavaliere con qualche macchia ma senza paura, un cavaliere oscuro a sua volta. È il tipico eroe di Miller: quello che tutti noi potremmo diventare.

Autore
Panorama

Potrebbero anche piacerti