Ft: Boston Consulting lavorava al piano di “sgombero” di Gaza. La società allontana i due responsabili del progetto
- Postato il 11 luglio 2025
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- Di Il Fatto Quotidiano
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A proposito del “business del genocidio” descritto nel rapporto della giurista e relatrice Onu Francesca Albanese, una delle più importanti società di consulenza al mondo, la statunitense Boston Consulting Group (Bcg) si era già messo da tempo al lavoro per delineare il futuro economico e commerciale di una Striscia di Gaza “sgombrata” dai suoi abitanti palestinesi. Secondo un’inchiesta del quotidiano inglese Financial Times la società ha siglato un contratto milionario con Israele che prevede anche una valutazione dei costi del “ricollocamento” della popolazione di Gaza. È stato ipotizzato lo spostamento di mezzo milione di persone, con un costo complessivo di circa 5 miliardi di dollari.
Bcg ha pure contribuito alla costituzione della discussa Gaza Humanitarian Foundation, entità militarizzata costituita da Israele e Stati Uniti per soppiantare Onu ed organizzazioni umanitarie nella distribuzione degli aiuti alimentari nella Striscia. Da quando il programma GHF è iniziato, le Nazioni Uniti calcolano che 800 palestinesi sono stati uccisi dai soldati israeliani mentre erano in fila per la distribuzione delle razioni.
In base a quanto ricostruito dal Financial Times, Boston consulting ha incassato per questi incarichi oltre 4 milioni di dollari ed è al lavoro su questi dossier da almeno 7 mesi. Dodici gli esperti della società destinati in pianta stabile al progetto. Dopo che il coinvolgimento del gruppo è stato reso pubblico, i vertici della società hanno rinnegato il lavoro, attribuendolo all’iniziativa di singoli partner a cui erano state date indicazioni differenti. Si tratterebbe, in particolare, di Adam Farber, responsabile dei rischi, e di Rich Hutchinson, responsabile della divisione impatto sociale. Entrambi si sono dimessi.
In un messaggio al personale, l’amministratore delegato di BCG, Christoph Schweizer, ha affermato che un’indagine sul lavoro a Gaza “ha chiarito che Adam [Farber] non aveva alcuna intenzione di trarre in inganno la società ma che lui stesso è stato ingannato. La sua decisione di dimettersi riflette un forte senso di leadership e responsabilità”. “Il nostro coinvolgimento nel lavoro a Gaza è stato il risultato di una condotta individuale scorretta, favorita da eccezioni procedurali, mancati segnali di allarme e fiducia mal riposta”, ha scritto ancora Schweizer.
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