Garlasco è un assist per la riforma Nordio
- Postato il 5 novembre 2025
- Di Panorama
- 3 Visualizzazioni

Anni fa, nello studio di Porta a porta, chiesi ad Antonio Di Pietro se si fosse mai pentito degli errori giudiziari compiuti. Lui mi rispose ridendo di non aver mai sbagliato a mettere in galera qualcuno. Al che io gli mostrai le fotografie dell’ex direttore generale di Assolombarda, Daniel Kraus, di un ex assessore regionale lombardo, Serafino Generoso, e di un ex consigliere regionale, Giuseppe Adamoli, tutte persone spedite in carcere sotto i flash dei fotografi e poi riconosciute innocenti con sentenza della Cassazione. Ricordo che l’ex pm ormai diventato leader politico sgranò gli occhi e poi con sarcasmo disse che la decisione di disporre l’arresto delle persone non era sua, ma del giudice per le indagini preliminari, perché le richieste di limitazione della libertà personale passavano al vaglio di un magistrato terzo. Allora replicai citando un bigliettino trovato da un avvocato nel fascicolo d’indagine di un filone di Mani pulite: «Cambia capo d’imputazione, altrimenti non posso concederti la custodia cautelare». Di Pietro, non sapendo che cosa dire, a questo punto minacciò querela, che a dire il vero non arrivò.
La riforma Nordio e la fine del sistema delle correnti
Ho raccontato l’episodio che credo risalga a una ventina di anni fa, perché mi pare il più adatto a commentare la riforma della giustizia varata dal ministro Carlo Nordio. Dopo oltre trent’anni che se ne discute è arrivata la separazione delle carriere e insieme a essa anche la separazione del Consiglio superiore della magistratura, che non sarà più unico sia per i pm sia per i giudici. Inoltre, dopo trent’anni è giunto pure un sistema che sottrae alle correnti della magistratura il potere di condizionare carriere e procedimenti disciplinari. Se fino a ora abbiamo avuto dei sindacati che si occupavano di contrattare le promozioni e le sanzioni, adesso a decidere sarà una commissione di cui faranno parte magistrati scelti con un sorteggio. Insomma, basta con i gruppi di pressione che fanno l’interesse di sodalizi politicizzati, che abbiamo imparato a conoscere grazie alle confessioni di un ex leader delle toghe come Luca Palamara. Stop a un sistema di potere che si contrappone minacciosamente al Parlamento ogni volta che Camera e Senato decidono di intervenire sul funzionamento della giustizia. Le leggi sono compito della politica e ai giudici tocca applicarle, senza interpretarle o commentarle. L’articolo uno della Costituzione dice che la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione, ovvero attraverso i propri rappresentanti. Non dice che la sovranità appartiene ai giudici, né che questi hanno diritto di condizionare o addirittura impedire l’esercizio della sovranità che il popolo ha delegato al Parlamento.
Pm e giudici troppo vicini
Non ho citato a caso Di Pietro (che oggi fra l’altro è favorevole alla separazione delle carriere), gli errori giudiziari e la commistione di rapporti fra pm e gip. In un caso particolarmente controverso, accaduto in una cittadina di provincia, mi presi la briga di contare i passi che separavano l’ufficio dei pm da quello del giudice per le indagini preliminari. Era evidente che in quel Palazzo di giustizia dovevano incontrarsi ogni giorno, alla macchinetta del caffè oppure in pausa pranzo. E la sera quasi sicuramente erano invitati alle stesse cene o agli stessi incontri. Insomma, il pubblico ministero e chi doveva decidere gli arresti o i proscioglimenti non potevano essere sconosciuti l’uno all’altro e dunque non potevano non essere influenzati l’uno dalle relazioni con l’altro. Anche perché appartenenti allo stesso ordine, soggetti allo stesso Csm, soprattutto condizionati dalle stesse logiche di carriera.
Perché separare è necessario
In altre parole, fin da quel dibattito con Di Pietro mi fu chiara una cosa: chi sostiene l’accusa e chi deve scegliere fra le ragioni della difesa e quelle della Procura non possono condividere la stessa carriera e la stessa sezione disciplinare. Pm e giudici non sono la stessa cosa e infatti in altri Paesi chi deve decidere della libertà o della carcerazione, ma in certi casi anche della vita e della morte di una persona, sta su un altro piano rispetto a chi invece ha il compito di chiederne la condanna. Separare i destini di pm e giudici, dunque, non solo è giusto, ma è un passo avanti per riequilibrare i rapporti fra accusa e difesa.
Il referendum dell’Anm e il caso Garlasco
L’Anm, ovvero il sindacato delle toghe, dice che in questo modo si mettono i pm sotto il potere esecutivo. In realtà, impedendo la riforma si lasciano i giudici sotto il tacco dei pm, perché spesso il potere della magistratura requirente travalica quello della magistratura giudicante. Leggo che l’Associazione nazionale magistrati è intenzionata a sostenere un referendum contro la riforma del governo Meloni. È un diritto previsto dalla Costituzione (articolo 138), ogni volta che la si modifica senza una maggioranza qualificata. Dunque, non c’è nulla da eccepire. Tuttavia, se io fossi Nordio trasformerei il caso Garlasco nel manifesto per la riforma. A leggere gli atti dell’inchiesta, come ha fatto il nostro Giacomo Amadori, si capisce che la commistione di interessi e forse di malaffare ha generato un caso giudiziario oscuro e allarmante, con magistrati accusati di archiviare indagati in cambio di mazzette, e uomini delle forze dell’ordine sospettati di aver piegato le inchieste ai propri vizi. Garlasco, che qualcuno rappresenterà come un esempio sostenendo che le toghe sono in grado di emendarsi, in realtà è l’immagine di una magistratura che va cambiata, la prova che gli interessi di chi esercita il potere giudiziario sono tanti e non sempre il linea con chi ritiene che in democrazia l’unico sovrano riconosciuto non sia il giudice ma il popolo.